L’Armenia è una delle più antiche realtà politiche nella storia dell’umanità. Collettività ancestrale, le cui prime tracce si possono far risalire addirittura all’800 a.C., momento in cui andò a costituirsi il Regno di Urartu, il primo impero armeno. Attraverso i secoli, le popolazioni proto-armene ridefinirono costantemente la propria identità anche in relazione ai nemici, desiderosi di sfruttare la straordinaria posizione geografica dell’Armenia che dal cuore del Caucaso è vettore di influenza in Anatolia e verso le sorgenti del Tigri e dell’Eufrate.
Parlare dell’Armenia significa dunque riferirsi alle origini stesse della civiltà umana e al Caucaso sacro, in cui riecheggiano il mito di Prometeo e l’Antico Testamento.
Significa parlare del primo regno nella storia dell’umanità ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale. Di un territorio conteso e in grado di preservare la propria identità nei millenni. Da una simile eredità doveva scaturire un popolo orgoglioso e travagliato.
Per secoli, prima e durante l’annessione all’impero zarista nel XIX secolo, gli armeni furono straordinari mercanti e popolazione colta, classe intellettuale al servizio di ottomani, persiani e russi. La Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione russa, con annesso lo spaventoso – e mai pienamente riconosciuto – genocidio perpetrato dai turchi ai loro danni, con slittamento del baricentro della cultura armena dall’Anatolia interna al Caucaso vero e proprio, costituiscono ulteriori traumi di un lungo processo storico.
Un processo che è ancora in corso, laddove il duplice accerchiamento turco e azero ha portato all’occupazione del Nagorno-Karabakh nel settembre del 2023, con buona pace dell’unico alleato armeno l’Iran e con il tacito assenso della Russia. A denunciare la nuova questione armena già nel 2020, sparita dai radar degli Occidentali, con colpevole ipocrisia, è stata quella che probabilmente è oggi la più luminosa gemma del panorama sportivo e calcistico della repubblica caucasica, Henrikh Mkhitaryan, all’epoca in forza alla Roma:
“Sono un atleta professionista che rappresenta orgogliosamente in tutto il mondo l’Armenia, e oggi scrivo questa lettera con grandissime preoccupazioni. Mentre il mondo è testimone di una tragica guerra senza precedenti in Nagorno Karabakh, permettetemi di dar voce alla profonda preoccupazione che il mio Paese si trovi in grande pericolo”.
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