Calcio
28 Febbraio 2020

Il modello Atalanta viene da lontano

L'Atalanta non è solo scouting e pianificazione: storia recente della polenta meccanica.

È il 16 maggio 2010, ore 16:52, all’ex Atleti Azzurri d’Italia cala il gelo, neve fuori stagione per i sostenitori orobici: 1-2 del Palermo siglato da un doppio Cavani, e Serie B dell’ultima Atalanta targata Ruggeri. Oggi, un sogno a occhi aperti, e non uno qualsiasi: lo scanno delle prime otto poltrone del massimo torneo continentale, la Uefa Champions League. Oggi si può parlare di “modello Atalanta”: prendono vita i versi di Dea, inno scritto qualche anno fa da un tifoso illustre, dalle altissime note, Roby Facchinetti:

Dea magica fai sognare questa tua città… Atalanta, figlia del vento, sempre con te ci avrai

 

Ma Roma non si costruisce in un giorno e i saggi pervasi di atarassia prestati allo sport lo sanno bene. Ci sono voluti dieci godibili anni e quattro parole chiave: programmazione, scouting, formazione, coraggio. Il primo evento che rivoluziona la storia della società bergamasca accade in Corso Europa 46, Zingonia: Antonio Percassi ritorna presidente dopo aver ricoperto la carica per poco più di tre stagioni agli inizi degli anni Novanta. Un uomo della provincia, nato a Clusone, a trentacinque chilometri dalla “Liverpool di Lombardia”, che si specchiava bambino nel fiume Serio e si è ritrovato adulto ad afferrare saldamente le redini della holding Odissea, arricchita al proprio interno da marchi come KIKO, Madina, Womo e Bullfrog e Vergelio.

 

 

Percassi è determinante per la gestione e lo sviluppo nel precedente decennio delle reti di vendita di multinazionali come LEGO, Starbucks, Victoria’s Secret, Nike, Zara e Gucci, ma negli anni Sessanta è stato altresì virgulto centrale difensivo delle giovanili atalantine, conquistando la prima squadra con arcigne qualità da stopper negli anni Settanta e onorandola per tutta la sua carriera sul tappeto verde.

 

16 maggio 2010, la sconfitta casalinga contro il Palermo condanna l’Atalanta alla serie B, e questa è la protesta dei tifosi nel pre-gara. Non sanno che è l’inizio del ‘modello Atalanta’ (Foto Tullio M. Puglia/Getty Images)

 

 

Un uomo di campo, un uomo d’azienda: abbinate sapientemente il tutto, come polenta e osei di un pranzo domenicale in Val Brembana, e percepirete le basi del miracolo Dea. Il presidente parla poco, lavora fino alle luci dell’alba, si circonda di persone di fiducia: il figlio Luca come amministratore delegato, Gabriele Zamagna come direttore sportivo. Compra lo stadio, guardando avanti anni luce, e destinando il suo nome alla holding Gewiss, che ne paga profumatamente la cortesia.

 

 

Ma ogni primo ministro è anche baciato dalla buona sorte. In questo caso la fortuna nell’era Percassi ha il nome di una colonna portante del mondo nerazzurro: Maurizio Costanzi, responsabile del settore giovanile, un allevatore di talenti che ha portato il Centro Sportivo Bortolotti al livello de La Masia del Barcellona e dell’Academy dell’Ajax.

 

 

Il segreto vincente dell’Atalanta risiede infatti nella lungimiranza del proprio scouting: parte dalla Lombardia, si estende a tutta la nazione con oltre ottanta società affiliate, nell’idea di valorizzazione del territorio, fino ad arrivare con una rete capillare di osservatori al centro Europa e all’Africa. Caldara, Baselli, Gagliardini, Conti, Bastoni, Gollini, Mancini, Spinazzola ma anche Kessie, Kulusevski, Barrow, Hateboer, de Roon, Freuler, Gosens, per intenderci.

 

I giocatori orobici celebrano il presidente Percassi al termine della cavalcata che ha condotto il ‘modello Atalanta’ alla conquista della qualificazione diretta alla Champions League 2019-20 (Foto Alessandro Sabattini/Getty Images)

 

 

Quando lo staff di Costanzi individua un giovane talento, scatta la protezione dello stesso all’interno della struttura sportiva, con l’obiettivo della crescita umana e calcistica che può portare il calciatore a divenire un capitale sicuro. La scelta non è mai istintiva: si prediligono i requisiti tecnici abbinati a un atletismo alimentato da forza esplosiva legata alla rapidità, nell’ottica di un inserimento funzionale all’interno della squadra giovanile in cui approderà.

 

 

La struttura fisica e la capacità agonistica del calciatore non possono però prescindere dal tasso tecnico: Maurizio Costanzi chiede infatti ai suoi scagnozzi di rintracciare il talento dove altri non riescono, ossia nella proiezione della crescita potenziale e non sulle capacità offerte in una singola prestazione. Come un cacciatore di tartufi, batte la concorrenza con tempestività, osservando oltre quattromila profili l’anno, spesso più volte, per essere certi del possibile prospetto.

 

 

Somministrazione di contenuti tecnici in allenamento e forte legame con le famiglie degli oltre quattrocento atleti tesserati, ai quali si aggiungono gli oltre tremila dei campi estivi, per sensibilizzare i ragazzi all’educazione civica e al rispetto dell’altro, formando giocatore e uomo. Un’esperienza che prosegue in convitto per chi disputa i maggiori campionati nazionali con un’immersione h24 nelle attività nerazzurre, divise equamente tra scuola (dove sono richiesti risultati virtuosi), campo e vita sociale. Costanzi racconta il presente e il futuro della sua accademia con uno spirito raggiante:

“Per i ragazzi sono tappe di avvicinamento al mondo dei grandi che richiedono forti motivazioni, allenamento allo stress e continuità di prestazioni. L’appagamento non deve essere sicuramente una delle forme espressione di un calciatore. Il calcio è ogni volta un confronto spietato in cui vengono messe sul tavolo queste componenti e noi dobbiamo saperle usare.

 

La Società, a conferma della fiducia e delle aspettative che ha nel settore giovanile, ci ha messo a disposizione un investimento importante che porterà alla realizzazione di una palazzina dedicata, di una palestra, di due nuovi campi di ultima generazione. Una struttura molto bella che conferma quanto la società e la famiglia Percassi creda nel settore giovanile”.

 

Maurizio Costanzi, responsabile scouting, tra i fautori del successo dell’Atalanta (Foto bergamosport.it)

 

 

Un presidente di campo e d’azienda, una fucina di campioncini che sforna ogni anno risorse funzionali al progetto, ma per completare l’opera serviva un ultimo tassello: Gian Piero Gasperini. Dopo la vittoria nella cadetteria 2010-11 con Colantuono e le successive cinque salvezze in Serie A, firmate dal tecnico romano e da Edy Reja, il Gasp ha cambiato totalmente la prospettiva degli aficionados bergamaschi nell’era Percassi: quarto posto nella stagione 2016-17 con 72 punti, Europa League centrata l’anno successivo, raggiungendo nella ex Coppa Uefa i sedicesimi e terzo posto la scorsa stagione con 69 punti che valgono la Champions League diretta e attenuano l’amaro della finale di Coppa Italia persa con la Lazio.

 

 

Il 3-4-3 del mister di Grugliasco apprezzato al Genoa e che gli valse la panca dell’Inter, si evolve in un 3-4-1-2 camaleontico in cui l’aggressività nel recupero palla, l’irruenza nell’attacco verso la porta avversaria con sette-otto uomini e la tenacia nei raddoppi difensivi o nelle marcature preventive, fanno impallidire le grandi del massimo torneo nazionale. Da quattro anni il modello Atalanta è un meccanismo perfettamente oliato: reparti corti in cinquanta metri, inserimento celere di nuovi talenti, che sostituiscono capitali venduti per accrescere la ricchezza societaria, valorizzazione di reietti non accettati in altri lidi: Papu Gomez, Josip Ilicic, Duvan Zapata, per citarne alcuni.

 

 

Le caratteristiche fisiche e tattiche della ‘polenta meccanica’ – che emula l’idea di calcio totale dell’Arancia Meccanica di Michels con il gladio da provinciale – identificano il mito della Dea Atalanta, cacciatrice valorosa e perpetua che sconfisse con un semplice arco i centauri Ileo e Reco, colpevoli di aver tentato di stuprarla, secondo i racconti di Ovidio ne Le metamorfosi. A Bergamo si vede un’originale filosofia di calcio etichettabile in senso lato come “europea”: l’unica di tale spessore in Italia, osservando l’ultimo lustro.

 

Gian Piero Gasperini, il direttore d’orchestra della banda nerazzurra (Foto Emilio Andreoli/Getty Images)

 

 

La fanfara del Gasp è pronta a varcare il soglio del gotha del football mondiale, idealizzando le notti per il Vecchio Continente nella memoria di una città incredula. I bimbi non sono andati a scuola per poter vivere al Meazza la sfavillante impresa col Valencia. Il dilemma non è più immerso nel presente, ma nel futuro: può la Dea eseguire la trasformazione da bruco a farfalla, o per meglio dire da provinciale a grande club sportivo? La visione di sviluppo della dirigenza in fondo c’è, la struttura sportiva cresce progressivamente, la potenza della prima squadra sui campi internazionali si fa sentire: cosa serve?

 

 

Continuare a giocare regolarmente la Champions League, fonte di risorse economiche determinanti, puntando a superare il girone ogni anno. La continuità di risultati di alto livello porterebbero sponsor di alto livello, aumentandone la dimensione economica: è la legge del mercato.

 

Non solo: sarebbe necessario l’ampliamento della capienza dello stadio di proprietà. San Siro è una bella botta d’adrenalina, ma l’identità a certi livelli si cementa se si dispone di un catino in grado di far partecipare il dodicesimo alla lotta. Un elemento in più per accrescere il fatturato. Queste componenti proietterebbero la società ad avere un capitale importante, magari rimpinguato da qualche azionista di minoranza estero, permettendo un potere di acquisto in grado di aumentare i costi di gestione della rosa: in soldoni, accedere ai grandi giocatori. Anche perché, vedendo i bilanci e gli indebitamenti degli altri, l’Atalanta parte da ottime basi, e può davvero rappresentare un modello sostenibile ad alto livello.

 

 

Una cosa è certa: Percassi, Costanzi e Gasperini, gli uomini del modello Atalanta, sono gli uomini di domani. Già primattori di un exploit, pronti a provare la trasformazione finale del mondo atalantino: è nel loro DNA. Per adesso, cantano a Nyon come i Pinguini Tattici Nucleari a Sanremo, «in un mondo di Paul e di John io sono Ringo Star». Immaginano, nelle contese roboanti da vivere da underdog, di suonare I pazzi per progetto di Gaetano Donizetti, bergamasco che avrebbe bramato la polenta meccanica.

 

 

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