Nel 1832, gli indios Charrúa, sopravvissuti alla battaglia di Artigas, furono ingannati dal presidente Facundo Rivera, che promise loro terre e sopravvivenza in cambio della pace immediata. Nottetempo, dopo il banchetto loro offerto per festeggiare l’armistizio, gli indios charrúa furono trucidati dall’esercito del Presidente all’arma bianca, per non sprecare munizioni preziose, e i loro corpi gettati indistintamente sul fondo del torrente Salsipuedes. Come ricorda il grande Galeano, la storia, beffarda e irriverente, la chiamò ‘battaglia’ e
«ogni volta che noi uruguagi vinciamo un trofeo di calcio, celebriamo il trionfo della resistenza Charrúa».
L’importanza delle origini
La doverosa premessa aiuta a inquadrare meglio lo spirito indomito di una nazione (ben prima di una squadra) che ogni qualvolta giochi una partita di pallone, interpreta lo sport più bello del mondo come una lotta alle oppressioni. Ecco perché la celeberrima ‘garra charrúa’, invocata enfaticamente da alcuni commentatori sportivi, è un’espressione più alta dell’ostinazione nella ricerca di un gol, o l’indole combattiva di alcuni calciatori. È l’anima di un popolo. L’esemplificazione più florida di questa attitudine è rappresentata da un anziano di Montevideo che tra pochi giorni guiderà per la sesta volta in carriera la Celeste in Copa America.
Tabarez, scalfito nel corpo dal morbo di Guillan-Barré, non ha perso niente della sua forza d’animo e ha plasmato una squadra a sua immagine e somiglianza. La selezione ricalca la rosa del Mondiale russo e ben 7 giocatori hanno firmato l’ultimo successo dell’Uruguay, proprio in occasione della rassegna continentale del 2011. Esperienza al servizio della solidità. La coppia difensiva Godin-Gimenez è stata in questi anni la cassaforte antiscasso colchonera a servizio del Cholo Simeone. I polmoni di Nandez, le geometrie di Bentancur, l’imprevedibilità di Vecino e il talento di De Arrascaeta popoleranno il cervello del gioco. Davanti i fuochi d’artificio sono tutti per Suarez e Cavani, con il bomber del Girona Stuani pronto a incendiarsi nella mischia.
Tutta la delusione dopo la sconfitta con la Francia (Photo by Julian Finney/Getty Images)
Non saranno gli anni sulle spalle dei veterani a limitare la Celeste, così come non è stata una malattia neuro-degenerativa a sedare la voglia di combattere del loro condottiero. Chi affronterà l’Uruguay dovrà sudare ogni singolo minuto la vittoria, come sempre, anche a discapito del maggiore talento. E potete scommettere che chi scenderà in campo lo farà anche per quel Maestro che conduce gli allenamenti seduto su una carrozzina motorizzata, ma in panchina si presenta con una sola stampella senza impietosire nessuno, perché l’orgoglio non si compra e certamente lui non se lo farà portare via da nessuno.
Lo faranno per rivedere quel signore con i capelli bianchi agitare in aria la stampella come fece in Russia, simbolo di resistenza e abnegazione, simbolo che niente è davvero imbattibile, nemmeno la sfida che appare più proibitiva, quella con la vita. Perché Oscar Washington Tabarez è la Garra Charrúa e potete scommettere che anche in Brasile proverà a celebrare il trionfo della resistenza del suo popolo.