Spingersi oltre i propri limiti, conquistando le donne e beffando la morte.
Comprendere i motivi per cui l’erotismo sia da sempre un elemento connaturato allo sport dei motori significa scavare a fondo nelle complesse pulsioni dell’essere umano, nella dialettica tra vita e morte. Semplificare la questione, affermando che i motori siano solo status symbol, manifestazioni di ricchezza e benessere, riducendo tutto a un estetismo decadente, risulta dunque fuorviante. L’incontro tra James Hunt e un’infermiera nel famoso film “Rush” di Ron Howard è d’ispirazione:
«Ho una teoria sul motivo per cui alle donne piacciono i piloti. Non è una questione di rispetto per quello che facciamo, girare intorno con una macchina per ore e ore, anzi, pensano che questo sia patetico. E probabilmente hanno ragione. Il motivo che le attrae è la nostra vicinanza alla morte. Perché più sei vicino alla morte più ti senti vivo. E più sei vivo, più loro lo vedono, lo sentono».
Questo il monologo recitato da Chris Hemsworth, nei panni del campione britannico di Formula 1, che vinse il Campionato del Mondo nel 1976 a bordo della McLaren e che sulla tuta portava l’emblematica scritta “Sex: breakfast of champions”. Ma come nasce quella tensione erotica così attraente?
Di per sé il concetto di sport è ciò che si avvicina di più all’idea che gli uomini hanno di guerra. È noto che i primi sportivi, gli atleti dell’antichità – dalla civiltà micenea alla Grecia delle Olimpiadi – non furono nient’altro che guerrieri impegnati in attività di esercizio fisico per la preparazione alla caccia o alle battaglie contro il nemico, attività per cui è naturale il legame tra sviluppo del corpo e dello spirito, nel rispetto di determinati canoni estetici.
E poi lotta per la sopravvivenza, avversari, allenamento, disciplina, superamento dei limiti fisici, mentali e spirituali (le Olimpiadi erano soprattutto un evento religioso), vittoria e sconfitta: la semantica entro cui lo sport si muove sin dagli albori è quella bellica. Non è un caso che molti atleti o allenatori contemporanei spesso si affidino a “L’arte della guerra” di Sun Tzu per trovare motivazioni e strategie.
Grandi battaglie dal sapore epico hanno continuato a contraddistinguere la storia dello sport dalle altre arti. Nel ‘900, per dirla con le parole di Marinetti, la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. “Un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia”. La modernità ha portato il rombante motorsport, nel quale è stato messo al centro della disciplina sportiva l’elemento estremo per eccellenza per l’essere umano: la morte.
«La morte è l’aroma dell’esistenza, essa sola dà sapore agli istanti, essa sola ne combatte l’insulsaggine. Le dobbiamo all’incirca tutto». (Emil Cioran)
E i piloti sono sportivi che l’aldilà lo percepiscono ad ogni curva. Alla morte devono il coraggio, la sensibilità, il talento, la tecnica e l’estro: tutti aspetti imprescindibili da sviluppare per guidare un’auto al limite tra coscienza e follia, nel tentativo di vincere sugli avversari e sulla morte stessa. Questa lotta infernale tra uomo e macchina la espresse bene il finlandese Henri Toivonen nel 1986, in occasione di una commovente intervista durante il Tour de Corse, gara in cui morì tragicamente assieme al suo navigatore Sergio Cresto:
«non c’è essere umano che possa ragionare così velocemente, è un insieme di azioni difficilissimo da gestire senza fare errori».
Parole che esprimono l’eroica pazzia dei piloti che – se necessario – osavano spingersi oltre ai propri limiti, guardando in faccia la morte, per lo scopo supremo della vittoria.
È quest’ordine delle cose che scatena l’erotismo. Il legame platonico tra amore e follia, nel rapporto tra uomo e donna generatrice di vita, lo riempie di fascino. Freud ne parla diffusamente nel suo Al di là del principio di piacere, dove eros e morte trovano un posto nella psicologia e nella filosofia del profondo, rappresentando le forze primordiali che guidano i destini di ognuno.
Essenziale e definitiva nel motorsport è dunque – per dirla con Nietzsche – la componente dionisiaca del pilota, uno sportivo che dice sì alla vita sfidando la morte. Tratti autentici dell’irrazionale e degli impeti sessuali, vita totalizzante, linguaggi che l’essere umano riconosce e da cui è inesorabilmente attratto.