Uomini, altro che moduli e schemi.
I fatti li conosciamo, la Roma che dopo una prestazione scialba strappa un punto alla Juventus Stadium, e le dichiarazioni pure, soprattutto quelle con cui Mourinho ammette di aver avuto culo. D’altronde la sua Roma a Torino è stata lenta, imballata, a tratti deconcentrata; una squadra di cui il portoghese ha ammesso post-partita di essersi “vergognato”. «Cosa ho detto ad Allegri alla fine? Che abbiamo avuto un culo della Madonna nel primo tempo e poi nel secondo tempo abbiamo fatto qualcosa in più. Alla squadra ho detto che avevo vergogna di loro dopo il primo tempo, e non c’entra il modulo. Non possiamo avere questo atteggiamento, dicevo al mio collaboratore di pregare perché 1-0 dopo il primo tempo era fantastico (…) Abbiamo avuto fortuna, la gara poteva chiudersi nel primo tempo».
Ma il punto non è neanche tanto questo: “l’onestà”, con cui il tecnico portoghese ammette le mancanze dei suoi. Certo è una nota di merito parlare chiaro, soprattutto nel mondo così monotono del calcio contemporaneo – una virtù riconosciuta ad esempio in prima pagina sul Corriere dello Sport, che titola “Di speciale JM ha l’onestà”. Eppure non si esaurisce qui il discorso, alla brutale sincerità di Mou che tra l’altro fa parte della sua strategia dialettica, saggiamente alternata tra bastone e carota, tra responsabilizzazione dei suoi (quando li mette di fronte alle proprie responsabilità senza sconti), deresponsabilizzazione (quando chiama in causa invece nemici esterni) e incoraggiamento (quando li elogia pubblicamente, e largamente, ai microfoni).
È invece un piacere sentir parlare José Mourinho perché parla di uomini. Lo scrivevamo su queste colonne già tempo fa: quelli come lui vogliono uomini prima che giocatori.
E José di questi parla, restituendo a un calcio cervellotico, perso tra moduli e schemi, il suo carattere profondamente umano; perché sono gli uomini, e non gli schemi, a scendere in campo: «A me piace sentire qualche volta gente che è stata dentro il campo – ha detto dopo la partita –. Di Biagio diceva chiaramente “quando perdi palla nella prima fase non c’è tattica”. Quando perdi palla dopo due passaggi non c’è tattica. Non esiste la tattica, esistono capacità tecniche ed emozionali nella gestione. Quando dicevo che la partita di oggi non era collegata con quelle scorse qui (allo Stadium, ndr): bugia. Hanno pensato tutti lo stesso, i giocatori lo sentono». E ancora: «ovviamente è una questione di testa, nel secondo tempo abbiamo giocato 4-3-3 ma poi quando siamo tornati a 3 nel finale la squadra aveva comunque stabilità, non è una questione tattica ma di atteggiamento».
Ossigeno, ossigeno puro. Perché dopo partite del genere le heat maps, gli expected goals e le lavagne tattiche lasciano il tempo che trovano; così gli approfondimenti in studio sui moduli e gli opinionisti naufraghi nel mare della tattica, sballottati dai numeri come dalle onde. A parte il gol incassato il primo minuto dalla Roma, frutto di un sanguinoso pallone perso e di un fallo evitabile dopo un giro palla molle e indeciso, il problema giallorosso – almeno nel primo tempo – è stato l’atteggiamento, una variante insondabile e non identificabile, ma non per questo meno evidente agli occhi di chi “è abituato a stare in campo”.
Altro che la pretesa di trovare sempre una spiegazione, di analizzare tutto o quasi tutto con la tattica, con i 3-4-2-1 e i 4-3-3 (ieri).
Un’esigenza da maniaci del controllo che vivono il calcio come fosse matematica, come un calcolo che deve ridurre al minimo le variabili per approssimarsi all’esattezza. Ideologia degna e per certi versi obbligata dei nostri tempi, in cui i giocatori hanno sempre meno carattere e personalità, e dunque devono essere il più possibile catechizzati e “telecomandati”, per citare Nagelsmann. Mourinho a Roma ha ribaltato invece il paradigma di questi tempi molli e deboli, portando un valore aggiunto di personalità e trasformando buoni giocatori in uomini di personalità capaci di leggere i momenti della partita, di lottare restando concentrati, di far sentire tutto il proprio peso sul campo.
Il gioco di una squadra in fondo è visibile a tutti, il carattere solo a chi ha vissuto il pallone; è quello che ti porta a vincere le partite per 1-0, magari da calcio d’angolo, a conquistare trofei pur “giocando male”, a strappare punti anche quando si sta nelle più classiche delle giornate no. Mourinho ha portato questo, con i fatti e con le parole. E non lo ringrazieremo mai abbastanza per spiegarci (pure ai microfoni) che nello sport, e nella vita, a fare la differenza sono gli uomini. Pure in quest’epoca di fiocchi di neve in cui carattere e personalità sono concetti superati, fino quasi a sembrare una forma di violenza.