Con le Next Generation ATP Finals a Milano, il nome di Lorenzo Musetti è tornato sui radar dei cronisti del Bel Paese. Non tanto per l’interesse specifico del torneo – dedicato ai migliori giocatori del circuito under-21 e peraltro vituperato da un regolamento avvilente – quanto piuttosto per accendere i riflettori su uno sport che, in questo autunno, punta a consacrarsi come disciplina protagonista nel già ricco 2021 sportivo azzurro.
Dopo la kermesse giovanile al PalaLido sarà la volta dei grandi, con le ATP Finals al Pala Alpitourdi Torino e il nostro Matteo Berrettini a vedersela con i più forti giocatori del pianeta. Infine, sempre a Torino, inizierà la cavalcata degli azzurri in Coppa Davis: qui lo stesso Berrettini, Sinner, Musetti, Sonego e Fognini sognano, con buone possibilità di successo, di entrare nella storia del tennis tricolore.
Tennisti che si sono già affermati come protagonisti di una golden age della racchetta che, dopo anni di stenti, ha finalmente baciato le nostre coste. Tanti record, in questo anno di tennis azzurro. Sette tornei vinti dai nostri giocatori, e ad aprile per la prima volta lo storico traguardo di ben dieci giocatori tra i primi 100 del ranking mondiale. Da ultimo, qualche settimana fa, l’ufficialità di due giocatori in top 10 (Berrettini e Sinner): un traguardo che non era mai stato raggiunto dal tennis nazionale nella storia di questo sport.
Se insomma il movimento è stato alimentato in buona parte dall’exploit di Jannik Sinner e dalla conferma di Matteo Berrettini, proprio intorno a Lorenzo Musetti si sono concentrate le speranze e gli interrogativi per il prossimo futuro. Aspettative sacrosante perché, se il termometro si legge su una scala di talento, la colonnina di mercurio del carrarese è esplosa ormai da tempo.
I dubbi aleggiano invece su una tenuta mentale altalenante.
Nella prima parte di stagione la curva di crescita dell’allievo di Simone Tartarini si era impennata precocemente con le semifinali di Acapulco e Lione, in entrambe le occasioni sconfitto da Stefanos Tsitsipas, per oltre sei mesi il migliore giocatore dell’anno. Poi il sogno accarezzato di poter collezionare lo scalpo più prezioso quando, sulla polvere di mattone, è stato due set a zero contro l’imbattibile Nole (negli ottavi di finale dell’ultimo Roland Garros).
Poi una lunga pausa, fatta di viaggi intercontinentali e sconfitte al primo turno. Una manciata di partite vinte e i confronti ingenerosi con i coetanei: più cattivi, più vincenti, più costanti. Un metro di paragone stucchevole che ricopre di elogi sempre una sola parte della staccionata. Viene da chiedersi cosa ci sia di lodevole in questi teenagers perfetti, immacolati, robotici nella loro dedizione esclusiva al tennis.
Ragazzi come il nuovo astro iberico, quell’Alcaraz (favorito alla kermesse milanese) che porta ancora in viso i segni dell’acne giovanile, ma il cui volto si deforma in espressioni animalesche che incutono timore non solo al di là della rete, ma persino sugli spalti. Le canotte smanicate e i bicipiti unti di sudore e polvere in una versione contemporanea di Nadal – Paolo Bertolucci, osando forse un po’ troppo, ne ha parlato come di una “evoluzione” del maiorchino – di cui non sentivamo la mancanza.
O magari basterebbe guardare nella stessa scuderia azzurra e paragonarlo a Sinner, solo un anno più vecchio di lui. Lo sguardo glaciale e concentrato del sud-tirolese non trasmette empatia. L’espressione imperturbabile di chi studia a scuola da Đoković l’arte dell’imbattibilità. Paradigmi di modus vivendi elevati ad assoluto metro di valutazione con cui misurare tutto il resto, tutti gli altri.
Lorenzo Musetti è invece un ragazzo normale.
Diciannove anni e un fisico tutto da costruire, senza l’ipertrofia esasperata della new wave tennistica. Il cappellino indietro, la fascetta come i grandi, il codino sulla parte superiore della testa. Anche il look non trasmette sensazione di compiutezza, ma è l’espressione del taglio di capelli o del gusto del momento. Non è ancora codificato nell’immaginario di una copertina da riempire, le sue reazioni sono istintive e contagiose.
Non nasconde la delusione delle sconfitte, o la gioia delle vittorie. Recentemente non ha nemmeno nascosto le fragilità molto umane dei suoi diciannove anni, quando la luce si è improvvisamente spenta:
«Dopo i Giochi di Tokyo, sì, abbiamo impostato il lavoro con regolarità. Sarà un percorso lungo, però mi sta servendo. Il dottore mi fa riconoscere le emozioni e le cose che vivo, portandomici per mano. Con i miei genitori mi sono sempre espresso poco, con lo psicologo invece mi sono aperto subito e ora so apprezzare situazioni che prima invece rifiutavo: vincere giocando male, per esempio, smetterla di inseguire la perfezione, che non esiste».
Pazienza e perfezione. L’una miraggio per qualsiasi ragazzo, l’altra chimera per chiunque. Eppure, a vedere il rovescio di Lorenzo Musetti, sembra paradossalmente che la seconda sia tra le due quella più prossima.
Anche Cupido poi ha minato la crescita del toscano, lasciandogli un carico di delusione fisiologica che, per qualche strano motivo, sembra totalmente estranea alla vita degli sportivi professionisti. Leggere le sue dichiarazioni, in questo senso, smuove qualcosa:
«Sono contento, perché ho passato davvero un brutto periodo. Non avevo più la scintilla, la passione. Avevo rotto con la mia ragazza, cose che succedono a tutti i giovani ma diciamo che il malessere poi me lo sono portato in campo e a volte non avevo proprio voglia di giocare. Sono ancora in fase di guarigione, se così si può dire».
Un fendente che squarcia il velo di irreale artificialità di questo mondo, che ci avvicina a entità così ermetiche contraddistinte da tabelloni, sponsor e, al massimo, conferenze stampa, ricordandoci improvvisamente la loro natura umana. Transitati come tutti noi tra le forche caudine delle pene d’amore e della tristezza, tra lo scoramento e la voglia di mollare tutto.
A Milano Lorenzo aveva dichiarato di essere finalmente felice di giocare in casa, probabilmente fin troppo emozionato a giudicare dalla prima, sfortunata, uscita contro Baez: «Stasera non sono riuscito a trovare il feeling, cercavo sempre di rincorrere. Ho avuto un blocco per i primi due set, sono dispiaciuto perché ci tenevo a far contento il pubblico». Ha recuperato nella seconda giornata, sfoderando un grande match contro Gaston. Si è arreso ieri a un Korda decisamente superiore.
È uscito dal campo a testa bassa Musetti, deluso e forse consapevole che il percorso di guarigione morale richiede ancora qualche settimana. Magari giusto un paio, per essere pronti a provare a tingere d’azzurro la Davis. Ad ogni modo, un nuovo passaggio dal via è dietro l’angolo, dove incassare un anno di esperienza in più e con una carriera luminosa ancora all’orizzonte. Sullo sfondo la consapevolezza di essere diverso, forse rovescio, sicuramente umano. Beata gioventù.