Calcio
28 Febbraio 2023

Nel ventre di Napoli

Laddove sacro e profano si mischiano, aspettando il Tricolore.

Se c’è una cosa che i napoletani sanno bene è che la nuttata deve passare. Non è uno stereotipo figlio del fatalismo che comporta la resa allo scorrere inesorabile degli eventi, quanto una legge morale che tempra anima e corpo confidando in un domani migliore. Vale sempre, vale per tutto, e non fa difetto per il calcio. Del resto all’ombra del Vesuvio l’amore per la squadra di calcio, come fior di intellettuali hanno ben spiegato nel corso degli anni, è un fiume di passione pura, che scorre di pari passo alle sorti stesse della città, e vi si intreccia fino a risultarne speculare, in un delta che sfocia nel sogno e nell’ansia quasi eterna, messianica del riscatto.

“Un grande Napoli per una grande Napoli” tuonava Achille Lauro, il comandante corifeo del primo vero tentativo post bellico di lanciare gli azzurri verso l’alloro nazionale.



E lo stesso primo cittadino, Gaetano Manfredi, che abbiamo intervistato per questo articolo, abbina il nuovo e vincente Napoli pallonaro alla nuova Napoli per la quale lui lavora dallo scranno più alto di palazzo san Giacomo. Squadra e città, come vasi comunicanti, destini incrociati. Se le cose girano bene per l’una, vanno a mille anche per l’altra, e viceversa. E così la traversata nel deserto che parte dall’indomani di quell’ormai lontano 1990, in cui Maradona e compagni adornarono l’altare della sirena Partenope con il secondo ed ultimo tricolore listato d’azzurro, sembra finalmente volgere al termine.

Cedendo all avvento di un nuovo giorno di gloria che, nel cuore acceso di speranza d’ogni napoletano, è immaginato come tappa d’inizio di una nuova epopea pullulata di trionfi e trofei.

Insomma, toccando sempre ferro e non disdegnando mille altri scongiuri tipici dell’armamentario scaccia malocchio di chi vive nella ex capitale borbonica, pare che stavolta sia davvero quella buona. D’altronde, se rassicurante è il distacco impresso alla classifica da Osimhen, Kvaratskhelia e compagni, la superiorità tecnica ed agonistica mostrata in campo è addirittura schiacciante, ai limiti dell’imbarazzante. Ed un rovescio della situazione suonerebbe più che clamoroso.

Non che non sia capitato per il passato. L’incredibile parabola autolesionistica del 1988 ancora brucia, e con essa il ricordo di chi vide gettare alle ortiche un titolo praticamente già vinto a causa di una serie di sconfitte a dir poco clamorose. Ma questa volta… E poi ci sono loro due. Il santo patrono e il mito ormai assurto al rango di santo laico: san Gennaro e san Diego, sacro e profano che si sfriorano, si toccano, a volte si mescolano fino quasi a fondersi. Distintisi per aver compiuto prodigi e miracoli in terra, sono in costante competizione per la palma del più gettonato del reame, col secondo insidiosamente canalizzatosi sulla corsia di sorpasso a danno del primo.

Nei Quartieri Spagnoli, feudo del culto maradonista

Ma chi si intende di cose dell’altro mondo, dà per certo che lassù nel cielo (azzurro), i due numi tutelari abbiano per l’occasione messo da parte ogni rivalità: unendo le forze per orientare in direzione scudetto la marcia dell’invincibile armata che patron De Laurentiis ha affidato alla saggia guida di Mister Spalletti – e dietro alle quinte alle gestione oculata e visionaria di Cristiano Giuntoli. Scudetto, sì. Finalmente. Dopo più di trent’anni, pronunciare con accettabile credibilità questa mielosa parola non è più un tabù. Napoli questa volta ci crede, non ne fa un mistero; non si schermisce, e può permetterselo.

Ci crede il suo ventre, quello fatto di gente che popola e anima una città unica dove, per dirla con le parole di Eduardo, ci si alza al mattino e si recita senza cuncierto, si soffre e si spera. Un popolo che, dopo più di tre decenni di amarezze e delusioni, contiene a fatica la smania di vittoria e l’anelito di perdersi in un’orgia di divertimento. E che, il dì fatidico della gran festa, lo sta preparando con cura meticolosa, spuntando il calendario con puntuale trepidazione. Ci crede Gennaro Zambello, da quarant’anni in piazza Garibaldi con la sua edicola che resta sul lato sinistro uscendo dalla stazione:

«Siamo orgogliosi di questa squadra – dichiara con gli occhi gonfi di felicità – Stiamo vivendo un sogno», aggiunge indicando il garrire delle bandiere che circondano il suo gabiotto.

Gli fa eco dall’altra parte della piazza, versante destro, Gennaro Sportiello, medesima attività e anche lui termometro dell’umore di frotte di lavoratori che, uscendo dallo scalo ferroviario alla sua edicola, si fermano per acquistare i giornali: «Ci sottovalutavano, invece abbiamo in Osimhen e Kvaratskhelia una coppia stratosferica che farà molto strada anche in Champions, vedrete». Poi ci tiene a fare sapere, con le lacrime agli occhi, che anni fa il suo papà suggerì alla società di stampare sul retro delle magliette, come sarebbe avvenuto molto dopo, i nomi dei calciatori. Ed infine ci esorta a riprenderlo mentre srotola una mega bandiera sulla quale già campeggia il numero 3, quello del terzo scudetto ormai dato per acquisto.

Il 3, a Napoli, non è più scaramanzia. Anzi…

Più avanti in zona Rettifilo, all’incrocio di via Nolana, c’è Enzo Esposito con la sua bancarella di sciarpe, maglie e bandiere azzurre: «La gente compra le bandiere fortunatamente, sa che la vittoria non mancherà. Abbiamo una squadra che fa del collettivo il suo punto di forza». Cinquecento metri più su, proprio di fronte alle scale dell’università Federico II, si materializza l’ombrellone del banco di Antonio Moccardi.

Vende intimo Antonio, da trent’anni tra i suoi clienti tantissimi studenti. Ha il polso di un altro segmento sociale, e ha la fortuna di confrontarsi con quel caleidoscopio che è l’universo femminile. Non a caso mentre gli stiamo per chiedere una considerazione arriva la signora Serenella Finizio, funzionaria della pubblica amministrazione:

«Quest’anno non si scappa, lo scudetto è nostro. Chi si troverà a Napoli nel giorno della festa si consolerà. Io ho vissuto con i miei figli piccoli l’entusiasmo del primo titolo, non vi dico cosa fu».

Il Napoli calcio come argomento e preghiera quotidiana, e anche come legame

Parole che sollecitano l’intervento di Antonio, che ci tiene a rinverdire il ricordo di quel profumatissimo maggio del 1987. «Il punto di forza della squadra è che sono tutti per uno e uno per tutti, assatanati, senza invidia, affiatati. Giù al porto si stanno già allestendo le auto per la sfilata, c’è una preparazione come per il Carnevale. È come nei giorni che precedettero la conquista dello scudetto numero uno». Poi Antonio e la signora Finizia hanno un pensiero per Maradona: «non c’è un giorno che a Napoli, dicono, non si pronunci il nome di Maradona.

Diego è un mito che vive con noi e dentro di noi, e guai a chi ce lo tocca».

In zona Santa Maria la Nova, dove nacque ed abitò da fanciullo Pino Daniele, c’è Nando Sparnelli, di professione ottico. Ha un telefono che è uno scrigno di chicche. Lo mostra con orgoglio. Vi spuntano foto a Fuorigrotta con Diego e con altri calciatori dell’epoca. Nando, per il tramite della Gazzetta dello Sport, scrisse una lettera piena d’amore a Diego quando questi saggiò la tristezza degli arresti. «Con questo scudetto – ci dice – credo che De Laurentiis stia per regalare una grande emozione soprattutto a tutti i nati dopo il ’91, ragazzi trentenni che non che non hanno mai vissuto la stupenda sensazione di vincere il tricolore. Il Presidente ha fatto anche crescere in tutto il mondo il numero dei tifosi del Napoli».

Maradona, illuminato da un fascio di luce divina, mentre segna la più bella punizione della storia del calcio. Contro la Juventus poi… (per quei pochi che non la conoscessero, vedere qui)

Sulle scale che da Monte Oliveto portano a piazza della Posta incontriamo Peppe. Si capisce al volo che è uno spuntista improvvisato. La sua mercanzia di giornata sono dei libri impolverati. Colpisce di lui la tuta azzurra d’ordinanza: «È fatta è fatta, esclama tronfio ed orgoglioso. Superato l’imponente edificio fascista della posta centrale si arriva in piazza Carità, il cuore di via Toledo, di fronte alla quale si apre in tutto il suo frenetico brulicare via Pignasecca.

È una delle piazze calde del tifo azzurro.

Non per nulla qui c’è Ciro Maradona ’66, nome d’arte di un pittoresco personaggio bardato d’ogni stoffa azzurra che mentre mangia una invitante pasta e patate dispensa pensieri poetici per l’occasione; e per la gioia dei tanti turisti che si accalcano per immortalarlo in un selfie, ai quali lui mostra impettito il suo negozio con ogni tipo di casacca del Napoli.

Ciro Maradona 66: la strada è il suo palcoscenico, nel nome di Diego

È tutto un crescendo di vessilli azzurri con il tre, la Pignasecca, e fa molto bene a chi ama lo sport imbattersi in persone come Giorgio Albano. Una vita da fotografo del Museo Archeologico nazionale di Napoli. Giorgio, nel fare sfoggio di una ammirevole conoscenza della storia di Napoli alla presenza della sua consorte, fa appello alla civiltà del tifo, prendendo le distanze da facinorosi e violenti. E invita a vincere con rispetto come Napoli ha già dimostrato di saper fare.

La stessa posizione di un un altro signore, cliente ed amico di Ciro Maradona 66, che ci spiega come la festa di Napoli non può e non deve essere sporcata dai violenti che non hanno nulla a che vedere col colorito e genuino tifo partenopeo.

«Io ero anche amico di Hugo, il fratello di Diego», ci riferisce con fibrillante entusiasmo. Ognuno, in città, sembra avere il suo pezzo di storia.

In foto Giorgio Albano con la moglie, fotografo per 40 anni per il Museo Archeologico di Napoli, che stava girando la città per immortalarla l’ennesima volta

Mario Talarico è invece il titolare di un’impresa storica della città. La sua famiglia confeziona artigianalmente ombrelli che finiscono per riparare dalla pioggia le teste di vip e grandi della terra. Dal papa a re Carlo, da Totò a Berlusconi e via dicendo. Mario ci mostra gli ultimi prodotti sfornati in vista del grande giorno. Sono un manico con la testa di Maradona e un fodero con il numero tre al centro di un tricolore.

«La squadra è forte e vincerà sicuramente il campionato». E aggiunge – «gli azzurri hanno una energia che gli viene trasmessa da un grande “angelo” che li protegge e che si chiama Diego Armando Maradona, il più grande di sempre».

Nell’anno dell’Argentina, quello del Napoli. Sempre con Don Diego a vegliare. In effetti siamo ormai nel cuore dei Quartieri Spagnoli e qui non c’è un solo angolo, nel dedalo di viuzze che li caratterizzano, che non rimandi a Diego e al suo mito. Infatti, non lontano da quello che è stato ribattezzato ‘largo Maradona’, c’è un banco che serve la “bomba di Maradona”, una limonata eccezionale che proprio come le finte di Diego, assicurano gli addetti alla sua preparazione e vendita, fa sangue assai.


Anche loro sono certi che stavolta non ce n’è per nessuno. Stessa convinzione di una coppia di negozianti di detersivi di via De Deo, sempre nei quartieri. Il loro esercizio non ha insegne esterne, ma sul vetro della porta d’ingresso è affissa la prima pagina della Gazzetta dello Sport pubblicata il giorno seguente al successo in campionato del ’90. «Aspettiamo da allora», affermano felici mentre si rendono disponibili per una foto. Contagiati dall’entusiasmo che trasmette la gente dei Quartieri, due turisti di Bergamo, marito e moglie, guardano in alto a bocca aperta.

Sono attirati dal suggestivo sbandieramento degli striscioni azzurri che vanno da balcone a balcone. Avvertono l’importanza del contesto storico e sociale e, forse per poter essere creduti quando un giorno diranno “noi c’eravamo”, acquistano il cuscino di Kvaratskhelia, quale prova di presenza. Nella città in cui è nata anche la torta Osimhen, il folclore si mescola al sacro, come accade per il culto di certi santi, e diventa linguaggio di popolo. Dall’altro lato della città, precisamente a San Gregorio Armeno, strada che non ha bisogno di descrizioni, incontriamo Carmine De Maria.

La sua famiglia ha due negozi: uno appunto nella strada dei presepi, l’altro nella confinante san Biagio dei librai. Carmine è il padre dei pastori in movimento ed è fiero delle ultime statuine forgiate: quelle dei calciatori del Napoli, stravendute. «Siamo troppo forti quest’anno, completi in ogni reparto. In Europa nessuno gioca il calcio del Napoli. La città sta vivendo una favola che durerà per molti anni: i calciatori sono giovani, il ciclo non sarà effimero. I tifosi napoletani sono i migliori che ci siano. Faremo una festa spettacolare!».


Npoli festa
Tra statuette, favole e realtà

È insomma una febbre che rischia di far esplodere i termometri quella che si misura in città in questi giorni. Una febbre che non dà scampo nemmeno ai rappresentanti istituzionali. Il sindaco Manfredi ha il peccato originale di esser tifoso della Juve, ma Napoli è luogo d’amore e glielo hanno già perdonato. E tuttavia il primo cittadino ha vista lunga, sa che un ottimo Napoli determina riverberi di crescita e affermazione per la stessa città, pronta dunque ad ottimizzarne l’indotto. Incontrato a piazza Municipio ci dice:

«Il successo sportivo del Napoli ha un sapore diverso rispetto al passato. Con Maradona vinceva il genio e la sregolatezza. Ora con De Laurentiis vince una squadra fatta di nuovi talenti, con grande gioco ed organizzazione e soprattutto con ottimo management».

E continua: «Un nuovo Napoli che rappresenta la nuova Napoli. Conservare la tradizione ma fuori dagli stereotipi. Con talento straordinario e buona amministrazione. Una squadra come una città cosmopolita e capace di includere nuovi mondi. Un nigeriano ed un giorgiano sono i nuovi profeti del calcio napoletano. E il calcio diventa a Napoli fenomeno sociale ed identitario, movimento turistico internazionale e rilancio imprenditoriale. Simbolo di una città che sta voltando pagina in cerca di un nuovo protagonismo globale».

Il sindaco Manfredi con il golfo di Napoli sullo sfondo

Calcio come rito di popolo orizzontale, condiviso, come la morte per Totò: una livella che rende tutti uguali, ricchi e poveri, potenti e umili. E così il pallone non solo unisce ma addirittura possiede alto e basso in un’attesa elettrica, insonne, quasi febbrile. Aspettando il ritorno dello Scudetto come quello del Messia. Lì la città tutta e il suo ventre risorgerà in una gioia liberatoria, dionisiaca. Eppure già adesso, nell’aria e nei vicoli, qualcosa si avverte: qualcosa che montava da tempo ed è pronto ad esplodere. Napoli, è qui la festa.

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