Altri Sport
04 Aprile 2018

Negli inferi della Parigi-Roubaix

Le pietre del nord della Francia raccontano battaglie su due ruote, tra polvere, miniere, trincee, fango e gloria.

Ogni pietra racconta una storia. Si narra che una pietra che compone il ciottolato del Carrefour de l’Arbre, nella campagna di Gruson intorno a Roubaix, una volta fosse parte di un castello, di una chiesa o di qualche magnifico edificio ormai distrutto. Una pietra che, con la sua tipologia illegittima, viene trasportata e adagiata alle altre per andare a formare uno dei segmenti risolutivi del ciclismo delle Grandi Classiche.

 

Uno dei settori in pavé in manutenzione.

 

Qualche chilometro più a sud, ad Arenberg, le pietre invece sembrano lisce come un sospiro; conoscono storie di cavalieri senza nome e hanno abbandonato ogni velleità poetica lasciandosi alle spalle le leggende di prìncipi e principesse. Le pietre della foresta sono ingannatrici; sono tortuose come la via che nel nord della Francia si divide tra il trionfo e il fallimento. L’umidità delle fagacee rende vischioso e scivoloso il pavè a schiena d’asino, irriverente per la sua irregolarità agli occhi di chi guarda.

Il selciato della foresta di Arenberg è ricoperto di merda di cavallo e di fango, e il fetore delle miniere di carbone tutte intorno rapprende ogni cosa.

Lì vicino i nobili aristocratici dell’omonimo casato hanno provato a scrivere la storia, ma i veri protagonisti sono dei baldanzosi guerrieri su due ruote, simili a centauri, antieroici, col volto imbrattato come maschere indefinite, grondanti come bistecche al sangue mandati nel tempo a sfidare l’insidia di quello che nel mondo è conosciuto come l’Inferno del Nord. C’è quel belga, detto il Cannibale, che qui assaporò il gusto del trionfo in maglia iridata nel giorno del primo passaggio attraverso la Trouée d’Arenberg. Era la sua seconda partecipazione alla Parigi-Roubaix, l’appetito rimase tale che vinse altre due volte e non uscirà dai primi dieci per un decennio.

C’è quell’italiano che ora coltiva vino, duro e spigoloso come i sassi del nord della Francia; vinse tre volte consecutivamente, una volta da Campione del Mondo in carica.

 

Museeuw scortato dentro il velodromo di Roubaix da Tafi e Bortolami per un tripletta targata Mapei che scatenò non poche polemiche

 

Ci sono stirpi di belgi che su queste strade hanno fatto la guerra. Un ciclocrossista, era detto il Gitano, uno dei più grandi di sempre non solo quando la strada, mettendo a dura prova forza, equilibrio e destrezza, si trasformava in fuoristrada, di Parigi-Roubaix ne ha vinte 4. C’è chi ha vinto facendo epoca accompagnato nel velodromo come un oplita dalla sua falange e che proprio nella Trincea di Arenberg un giorno si è frantumato un ginocchio. È tornato e ne ha vinte altre due. C’è chi invece è stato potente come un rombo di tuono, elegante come uno squillo di tromba che taglia in due l’aria. Ha scritto il suo nome nell’albo d’oro per 4 volte, è stato magnifico, di rara bellezza, è caduto e si è rialzato, si è fatto dileggiare da un attempato carneade, ha attaccato vincendo da distanze poco conosciute al ciclismo contemporaneo. Ha fatto passerella qui, 12 mesi fa, abbandonando il ciclismo alla sua sorte.

C’è il campione bretone che odiava la gara più amata dai francesi, non sopportava districarsi in mezzo a selciati sconnessi come il tempo che inganna la giovinezza. Una porcheria, la definiva. L’ha profanata, l’ha vinta e l’ha continuata a odiare. C’è il toscano lottatore, altri avevano il talento, lui non mollava mai; è stato l’ultimo vincitore italiano. Anche lui in tricolore. C’è l’altro toscano, quello che fece l’impresa. Anzi ne fece due. Un cavaliere con il viso impolverato, una volta beffato anche al fotofinish. Poi beffato inesorabilmente su altre strade. C’è uno svizzero di origini lucane che qui ha scaricato talmente tanta potenza da far tremare la terra. Ha lottato con belgi, norvegesi, spagnoli, francesi e italiani. Ne ha vinte 3, poi si è fermato.

 

Erano Merckx, Moser, De Vlaeminck, Museeuw, Boonen, Hinault, Tafi, Ballerini e Cancellara. Domenica saranno Sagan vestito d’arcobaleno e Van Avermaet campione in carica. Sarà Gilbert alla ricerca dell’ennesima impresa e un pugno di altri belgi, da Naesen, a Vanmarcke a Stuyven, con il mirino sul bersaglio grosso. L’Italia punterà su Moscon pronto a riportare in Italia l’unica Classica Monumento mai vinta nel nuovo millennio. Oppure quel Terpstra che pochi giorni fa staccò tutti a pochi chilometri dal confine? Francesi, altri olandesi, norvegesi, i giovani rampanti danesi e pure un ceco, tutti con le carte in regola per vincere. Mentre gli outsider come sempre da queste parti saranno attesi a far saltare il banco nel velodromo.

“Allora mi getto a capofitto nella terra: apriti, terra. No, non mi dà riparo. Stelle che regnavate alla mia nascita e che mi avete dato morte e inferno, risucchiatevi Faust come una nebbia nelle viscere di quelle nubi incinte, affinché, quando vomitate in aria, il corpo cada dalle bocche fumose ma l’anima salga al cielo.” Marlowe, Dr. Faustus

È la conclusione della Settimana Santa del ciclismo. Ci sarà, come in un girone di dannati, polvere; se pioverà quella polvere diverrà fango, e sarà l’ennesimo capitolo da narrare. Ci sarà puzza di zolfo e di carbone, ad ogni angolo spunterà il ricordo della guerra. Ci saranno ancora loro, le pietre dette pavè, uniche testimoni di una storia che non annoia mai, che fa il giro del mondo in sella ad una bici, sarà la Parigi-Roubaix, la più sporca e più crudele. Sarà l’Inferno del Nord.

 

Immagine di copertina ©Imago

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