A lui il nostro calcio deve successi e identità.
Saba, Svevo, Boris Pahor. Ma anche James Joyce e Margherita Hack. Sono molte le personalità legate a Trieste, città che ha dato i natali, o ha accolto, le più brillanti menti del Novecento e non solo. Ma c’è un altro triestino che ha fatto parlare di sé in Italia e nel mondo; non per le lettere o le scienze, ma per l’arte del pallone. Nereo Rocco nasce il 20 maggio 1912 e, dopo svariate peregrinazioni lungo lo Stivale, lascerà questa Terra proprio nei suoi luoghi il 20 febbraio 1979.
In pochi – quasi nessuno – lo ricorderanno in divisa e scarpette, nonostante la sua carriera da calciatore: una carriera che si era sviluppata nei campi di Trieste, Padova e Napoli, se consideriamo le piazze più importanti. Eppure il nome di Rocco è esclusivamente associato, nelle menti degli appassionati, alla panchina, laddove è ricordato come uno tra i più influenti allenatori della storia italiana. La sua avventura comincia alla Libertas Trieste, seconda squadra della sua città, che milita nell’allora campionato di Serie C. E fin dai suoi primi allenamenti il tecnico comincia a lavorare con il metodo di gioco che diventerà il suo marchio di fabbrica e la sua fortuna, ovvero il catenaccio.