A suon di milioni, s'intende.
Fossi un tifoso del PSG, da domani non saluterei più Neymar da Silva Santos Júnior, in arte Neymar. Non lo inciterei più mentre si trova in campo, e non scandirei più il suo nome nemmeno dopo un gol. Non lo considererei più come un membro della mia squadra dopo aver letto le ultime rivelazioni sul contratto che lo lega, al pari di catene di diamante, a Parigi.
Che il suo trasferimento abbia “fatto epoca” è cosa risaputa. Fino al 2017 nel mondo del calcio non si erano mai viste cifre del genere – 222 milioni per il cartellino, a lui 185 netti per tutta la durata dell’accordo. Ma ciò che ha recentemente riportato il quotidiano spagnolo El Mundo ed è stato subito ripreso dalla nostra stampa nazionale, è ancora più sconcertante di uno stipendio faraonico. Pare che Neymar, sempre così disponibile verso i tifosi, in realtà fosse ben ricompensato addirittura per quei pochi secondi passati a ringraziare chi spende tempo e denaro per sedere sugli spalti a idolatrarlo:
da contratto, 541.680 euro lordi al mese per essere «cortese, puntuale e gentile», «disponibile con i tifosi».
Si capisce allora come non sia più in questione uno sport e quanto somigli a una mastodontica bolla economica, bensì l’essere umano, in generale, finito sinistramente in casi come questo oltre ogni limite tracciato dalla morale. Perché se in una qualsiasi società – non di calcio, ma umana – è necessario pagare delle persone perché si comportino da persone, il messaggio chiaro è che altrimenti non lo farebbero, e che viviamo quindi sull’orlo della barbarie. È giunto il momento di dire basta a questa escalation di marciume, che ha trasformato il gioco più bello del mondo in un laboratorio sperimentale che mette a dura prova le basi dell’affettività umana: tra calciatori-brand distinguibili solo per le tinte dei capelli, expected goals e fan token. Chi crede che questo calcio sia sentimentalmente sostenibile ignora che tutte le relazioni tra esseri umani – persino gli scambi di beni – si basano e si baseranno sempre e solo sulla sincerità reciproca.
Se e quando questa massima partorita dal buonsenso tornerà finalmente in auge, per far crollare il castello di carte basterà solamente dire la verità. Comincia allora il sottoscritto, col piglio barricadero che contraddistingue questa rivista: fossi veramente un tifoso del PSG, in realtà mi drogherei.