Alla scoperta dell’Italia del calcio a 5: tre milioni e mezzo di praticanti, centomila tesserati e oltre duemilacinquecento società.
Quel diminutivo, quasi a voler indicare una presunta inferiorità rispetto al calcio, chi corre sul parquet con la palla tra i piedi non ci tiene proprio a pronunciarlo. È calcio a cinque o, se si volesse passare per esperti, futsal (termine che è la crasi di fútbol de salón, ovvero calcio da sala). La stagione 2022/2023 del massimo campionato italiano si è conclusa ieri. La Feldi Eboli, nata nel 2002, dopo essersi imposta sul campo dell’Olympus Roma nella gara di andata delle finali play off, ha bissato la vittoria al Palasport di Cisterna di Latina. È la prima volta che una squadra campana riesce a cucirsi sul petto il tricolore.
In Italia questo sport è arrivato solo negli anni ’80, ma il suo debutto a livello mondiale è datato addirittura 50 anni prima. A inventarlo è un professore di educazione fisica nato a Buenos Aires, Juan Carlos Ceriani Gravier, che nel 1930 insegnava in un liceo di Montevideo. La palestra era troppo piccola: impossibile in quello spazio ristretto giocare a calcio.
Di necessità, virtù. Il professore inventò il calcio a 5, ispirandosi al calcio giocato in 11, ma prendendo spunti anche da altre discipline.
Il numero dei giocatori e la durata dei tempi vennero presi dalla pallacanestro, dalla pallamano le dimensioni del campo e delle porte e, addirittura, dalla pallanuoto le regole dei portieri. Lo sport venne codificato con un vero e proprio regolamento qualche anno più tardi, nel 1933, e da quel momento in poi iniziò a viaggiare velocissimamente per tutto il Sudamerica, trovando terreno particolarmente fertile in Brasile.
In Italia il processo di crescita del movimento è stato lento. Il primo campionato andò in scena solo nel 1984, stesso anno nel quale la nazionale debutta in una partita ufficiale, il 10 novembre contro l’Olanda. La creazione della Divisione Calcio a 5, l’organo della FIGC che gestisce l’attività di questo sport, avviene qualche anno più tardi nel 1989. Da quel momento in poi il futsal inizia a piacere. Soprattutto a livello amatoriale: pratico, veloce, divertente. Nel 2018 un articolo de Il Sole 24 ore parla di 3 milioni di praticanti. Piace anche a livello agonistico. Oggi sono più di 100mila i tesserati e oltre 2500 le società. Uno sport che è molto diffuso, quindi, nel nostro paese. Ma che potrebbe godere di una salute perfino migliore.
In Italia, all’inizio, è Roma a farla da padrone. La Capitale, infatti, è piena di circoli sportivi. Sono soprattutto quelli tennistici che riadattano i loro campi proponendo l’alternativa.
Dal cimentarsi per gioco a farlo diventare uno sport agonistico il passo è brevissimo. Nelle prime 18 edizioni del massimo campionato per 16 volte vince una squadra romana o della provincia (Roma, Roma RCB, BNL, Torrino, Lazio, Genzano o Marino), una volta a vincere è una squadra comunque laziale, l’Ortana. L’unica occasione che lo scudetto uscirà fuori dalla regione è nella stagione 1998/99 quando sarà il Torino a vincere il tricolore. Lo strapotere di Roma e provincia, però, termina negli anni 2000. Il calcio a 5 si trasferisce nei piccoli centri.
Seppur a livello amatoriale rimane un passatempo da grande città, il comparto agonistico si sposta in provincia o in comuni non densamente abitati. Squadre come Prato, Arzignano, Luparense e Montesilvano salgono sul tetto d’Italia in diverse e più occasioni, per poi togliere il disturbo. Emblematico il caso della Luparense, club di San Martino di Lupari in provincia di Padova, che è il più titolato a livello nazionale. In circa dieci anni vince 6 scudetti (record italiano), 6 supercoppe italiane e 3 coppe Italia. Dopo la finale scudetto della stagione 2017/2018, persa contro il club abruzzese dell’Acqua e Sapone, il presidente Stefano Zarattini decide di ritirare la squadra.
«Non c’è un unico motivo che ha portato a questa sofferta decisione – raccontava alla stampa Zarattini – se non la consapevolezza che un ciclo incredibile costellato di innumerevoli successi si è concluso. Potrei dire che negli anni sono aumentate le difficoltà per mantenersi a certi livelli, constatare che la burocrazia è sempre più soffocante per gli imprenditori che si avvicinano al mondo dello sport».
Ancor più impattante è un altro addio illustre. Il Montesilvano, società in provincia di Pescara, è l’unica società italiana ad aver vinto la massima competizione europea. Nella stagione 2010/2011 è campione continentale vincendo in finale contro lo Sporting Lisbona. Il Montesilvano conquistando la Coppa Uefa (questo il nome della competizione) detiene inoltre un altro record, è la città meno popolosa del continente ad averla vinta. Un paese di appena 50.000 abitanti che però non regge la scalata, gli imprenditori dietro la società fanno altri investimenti e nel 2017 la squadra sparisce.
Il caso Montesilvano, però, qualcosa lascia in eredità. Nella cittadina del litorale adriatico rimane agibile uno degli impianti più prestigiosi d’Italia. Il PalaRoma (dedicato a Corrado Roma, ex giocatore e allenatore) è un campo dove gioca anche la nazionale. È proprio la carenza di palazzetti adeguati nelle grandi città, probabilmente, uno dei motivi che ha allontanato questo sport dalle metropoli. Anche le recenti parole del Presidente della Divisione Calcio a 5 hanno sollevato la questione:
«Siamo alle porte di una crisi energetica non trascurabile, i problemi di impiantistica e tante sfide da affrontare. Ripartiamo dai giovani, dalle scuole, il nostro DNA».
Dai giovani riparte proprio la città di Montesilvano che da dieci anni organizza la Montesilvano Futsal Cup. Una competizione giovanile che vede partecipanti da ogni parte del mondo. Quest’anno, dal 24 giugno al 1 luglio, per la prima volta saranno presenti squadre in grado di rappresentare tutti e cinque i continenti contemporaneamente. Nella sua storia, da queste parti, sono transitati i più prestigiosi club mondiali come gli spagnoli dell’Inter Movistar (il club più titolato d’Europa), gli argentini del Rosario Rowing, i brasiliani dell’Atletico Paranaense e i lettoni del Nikars. Oltre al fatto che tanti giovani, grazie anche a questa manifestazione, sono poi diventati giocatori di livello internazionale come gli attuali portieri della nazionale italiana Germano Montefalcone e Lorenzo Pietrangelo in A1 con Pescara e Napoli o come il polacco Michal Katuza tesserato in Primera Division spagnola con il Pescados Rubén Burela FS.
In Italia, quindi, sembra esserci uno spartiacque tra professionismo e livello giovanile molto evidente. Sono tante, come si è visto le squadre che provano a cimentarsi nella massima serie che poi sono costrette a fare i conti con bilanci, fallimenti e rinunce.
Sono altrettante, invece, i club che decidono di dedicarsi esclusivamente al contesto giovanile. Due mondi paralleli che non si toccano, un caso unico dello sport nazionale. All’estero, nazioni come Spagna, Portogallo o Brasile, hanno club che fanno crescere i giovani per poi portarli nelle prime squadre. Prime squadre che, al contrario dell’Italia, godono di grande visibilità mediatica e dove i contratti dei giocatori sono al livello del professionismo. In Italia un buon giocatore (il più delle volte straniero) guadagna stipendi da operaio specializzato. Salari che possono permetterti una vita degna mentre giochi, ma che potrebbero non garantirti un futuro una volta appesi gli scarpini al chiodo. La mancanza di un dialogo tra contesto giovanile e prima si squadra si riflette anche sulla nazionale.
L’Italia del calcio a 5, nella sua relativamente breve storia, ha anche ottenuto buoni risultati. Spesso, però, questo è accaduto attraverso il fenomeno della naturalizzazione.
Le rose azzurre sono state ricche di oriundi, perlopiù brasiliani che grazie a lontani avi italiani hanno indossato la maglia azzurra. Gli oriundi, è vero, hanno portato all’Italia il titolo europeo del 2003 e nel 2014, e sono arrivati a disputare la finale del mondiale nel 2004 quando per l’infortunio a Gianfranco Angelini, nessun giocatore sceso in campo per la nazionale azzurra era nato in Italia. Risultati prestigiosi, senza dubbio, ma che non hanno incentivato il comparto giovanile nazionale. Nel complesso, quindi, il futsal italiano gode di buona salute? Possiamo dire di sì, non è lecito lamentarsi. Bisogna lavorare però alla svelta per creare quel collegamento tra “under” e prima squadra, diffuso in tutto il mondo, che dalle nostre parti manca.