Un paese che soffre la fame non ha tempo per il calcio.
Se si vuol decifrare l’imprevedibile “caos calmo” che sta dominando l’attualità in Corea del Nord, il calcio offre chiavi di lettura ed analisi quanto mai singolari per decifrare una realtà così distante dalla nostra. Pyongyang, capitale e centro economico del paese, come mai prima d’ora, sembra avvolta dall’incertezza e il macrocosmo sportivo nazionale ne sta pagando le inevitabili conseguenze.
Il politic bureau, guidato dal “Grande Successore” Kim Jong-un, ha scelto di perseguire la strada del “zero casi/zero rischi” nella prevenzione pandemica: quindi paese sostanzialmente isolato, confini chiusi (limitando anche gli ingressi di merci nel paese e rimpatriando i connazionali all’estero con una lunga quarantena) ed eliminazione di qualsiasi situazione che potesse far scaturire possibilità di contagio. Nonostante la nazione sia sull’orlo di una grave crisi alimentare, paragonabile solamente alla terribile carestia degli anni Novanta, il governo centrale ha scelto di indirizzare tutti i suoi sforzi nei confronti della sicurezza nazionale a livello sanitario, prima di ogni cosa. A farne le spese è stato anche lo sport più popolare al mondo che è passato da prezioso strumento di propaganda e soft power, ad attività di rilevanza secondaria, per utilizzare un eufemismo, per i quadri alti del Partito dei Lavoratori.
Nel maggio di quest’anno, l’Asian Football Confederation (AFC) ha annunciato il ritiro della Selezione nazionale nordcoreana dalle qualificazioni per la prossima Coppa del Mondo; nonostante la rosa allenata da Yun Jong-Su fosse in piena corsa per il passaggio del turno. L’incontrollata diffusione del virus e la complessa gestione della campagna vaccinale nazionale (Pyongyang ha rifiutato categoricamente i vaccini cinesi per la scarsa fiducia nella loro sicurezza ed efficacia), ha però fortemente condizionato le scelte del governo.
Il dittatore nord-koreano Kim Jong-un
L’ultima gara ufficiale della nazionale si è giocata il 19 novembre del 2019, in Libano. Non si scende in campo per un match della DPR Korea Football League (massima serie nordcoreana) dall’ottobre dello stesso anno e, nelle ultime settimane, l’AFC ha ufficializzato il ritiro dei Chollima (mitico soprannome della Selezione) anche dalla Coppa d’Asia under 23 e dalle qualificazioni femminili per la prossima World Cup. Un’autentica sistematica dissoluzione, almeno in campo internazionale, di un movimento calcistico nazionale unico nel suo genere.
Esemplificativa la parabola di Pak Kwang Ryong: ex capitano della nazionale nordcoreana, con un glorioso passato al Basilea, costretto lo scorso agosto a lasciare la prima divisione austriaca per via delle sanzioni Onu che impedivano al St. Pölten di rilasciargli un comune permesso di lavoro. La Billionaire Sport Management, società che gestisce i diritti dell’attaccante attualmente svincolato, ha recentemente pubblicato sul proprio canale YouTube una compilation di gol per cercare di attirare l’interesse di società straniere.
L’impossibilità di misurarsi in campo internazionale ha contribuito al rovinoso crollo dei Chollima nel ranking Fifa (circa 20 posizioni perse dal 2019 ad oggi) con il realistico timore di poter, malauguratamente, eguagliare il record del 1998, quando la nazionale toccò la 172° posizione. Dato quanto mai sorprendente se equiparato alla qualità del potenziale starting eleven nordcoreano, chiaramente inferiore a quello delle principali selezioni asiatiche, ma in grado di superare il Libano e fermare sullo 0-0 gli eterni rivali della Sud Corea negli ultimi impegni ufficiali disputati.
Sembrano quanto mai lontani i tempi degli ambiziosi annunci di Kim, pronto ad investire sostanzialmente per rendere radioso il futuro del calcio in Corea del Nord. La Pyongyang International Football School, inaugurata nel maggio del 2013 rappresentava, sotto quest’ottica, le ambizioni dell’élite politica della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Un’Academy unica nel suo genere dove venivano selezionati i migliori talenti del paese (dai 7 ai 17 anni), senza distinzioni di genere, cresciuti da allenatori internazionali, per provare a dare un seguito concreto agli incoraggianti risultati raggiunti, negli ultimi anni, dalle compagini giovanili. L’attaccante classe ’98 Han Kwan-song, diventato il primo calciatore nordcoreano ad esordire e poi segnare in Serie A è stato, fino a pochissimi anni fa, una testimonianza vivente dell’ottimo lavoro sportivo e diplomatico, svolto dalla Pyongyang International Football School, prima degli ultimi impronosticabili eventi.
L’Academy, tra l’altro, si erge maestosa a pochi passi dal Rungrado May Day Stadium, ulteriore motivo di vanto ed orgoglio per la RPDC. La mastodontica costruzione, secondo i quadri del Partito dei Lavoratori, rispetta le rigide disposizioni del “Grande Leader” Kim Il-sung (nonno dell’attuale lider maximo Kim Jong-un). Inaugurata il 1 maggio del 1989, la struttura ha una capienza di 150.000 spettatori che la rendono lo stadio più grande del mondo. L’attaccante Jong Tae-Se, il 15 giugno del 2010, bagnò l’esordio della Selezione Chollima ai Mondiali sudafricani con un pianto liberatorio, letteralmente esploso alle prime note dell’inno Nazionale Aegukka. Anni dopo, il “Rooney del popolo”, soprannome affibbiatogli dal The Guardian, dichiarò:
“Giocare la Coppa del Mondo è stata la sensazione più bella della mia vita”.
L’attualità ha però un sapore amaro, diametralmente opposto rispetto a quel pianto intriso di autentica gioia. Neppure la macchina propagandistica nordcoreana può farle assumere un aspetto diverso.
Passato e presente dello sport in Corea del Nord, a metà tra rivoluzione e propaganda. Con particolare attenzione al calcio, lo sport più seguito ma anche quello meno vincente.