Alla fine il governo si è arreso ai presidenti (e a Lotito).
Tra una fetta di panettone e una di pandoro, tra un bicchiere di vino bianco e uno di prosecco, il governo guidato da Giorgia Meloni ha approvato, nella mattinata del 24 dicembre, la nuova manovra di bilancio. In piena zona Cesarini, per dirla in gergo calcistico, è entrata a farne parte anche la norma “salva-calcio”, invocata dai presidenti dei club ed esclusa (con i fatti e con le parole) dall’ultimo decreto Aiuti quater.
La cambiale pagherò
L’avvento del Covid-19 ha definitivamente messo a nudo il movimento calcistico italiano, evidenziandone le contraddizioni strutturali e accelerando di qualche anno l’implosione di questa supernova. Implosione che più o meno tutti denunciavano e credevano imminente, persino quei presidenti di Serie A che, sprezzanti del pericolo e dei conti, hanno continuato a drogare il mercato calcistico per anni, contando poi su condoni o leggi ad hoc. Da tempo infatti sentiamo parlare di un calcio sempre più in bancarotta, della necessità inderogabile di ridurre ingaggi e trasferimenti faraonici, dell’obiettivo di mettere un freno alle percentuali dei procuratori; un mare di buone intenzioni poi puntualmente naufragate.
Lo scandalo plusvalenze, che ha coinvolto inizialmente la Juventus e poi anche altri club, è solamente la punta di un iceberg che sta venendo a galla. La partita è molto più ampia, e a testimoniare la gravità della situazione è stato il presidente della Lazio (e da poco senatore) Claudio Lotito: il patron biancoceleste, nell’aula del Senato, ha infatti chiesto e ottenuto un aiuto fiscale per i club di Serie A che pesa ben 889 milioni di euro. A forza di nascondere la polvere sotto il tappeto e di esercitare la finanza creativa nel pallone, era inevitabile che prima o poi qualcuno alzasse bandiera bianca. E si rivolgesse direttamente allo Stato.
A metterci la faccia è stato Claudio Lotito, che al senato ha chiesto e ottenuto la “norma salva-calcio”, inserita nella manovra di bilancio appena approvata.
Grazie a questo provvedimento i presidenti di Serie A, B e C potranno spalmare i debiti tributari in 60 comode rate, per la durata di 5 anni e con una misera maggiorazione del 3% – senza questo “aiuto”, i presidenti di Serie A sarebbero stati costretti a saldare le ritenute Irpef e Inps entro il 22 dicembre scorso. Il governo rinuncia così a quasi un miliardo di euro di entrate previste per dicembre, causando gli inevitabili malumori di una parte della politica, su tutti quelli di Matteo Renzi che non ha usato mezzi termini e ha definito il tutto “una vera follia.” Il leader di Italia Viva ha poi proseguito:
«regalare 890 milioni alle società di Serie A è una marchetta ai presidenti di un calcio pieno di debiti. Sono un tifoso appassionato, ma penso che i soldi debbano andare ai dilettanti, ai giovani, non alla Serie A. Finchè ciò non accadrà, il calcio italiano sarà destinato a perdere, perchè le aziende di calcio devono imparare a gestire i bilanci, non a chiedere l’aiuto dello Stato appena ne hanno bisogno». Un duro attacco il suo, a cui il patron biancoceleste ha prontamente risposto: «Renzi? non esprimo giudizi. Ma voi state attenti a posizioni strumentali per interessi di squadre a città». Come se il Claudio Lotito senatore e il Claudio Lotito presidente della Lazio fossero due persone diverse.
Un atteggiamento arrogante quello del consigliere federale della Lega di Serie A (l’altro è Giuseppe Marotta), soprattutto considerato il periodo storico e il contesto economico. Ma che quella della Lega di Serie A sia ormai una potentissima casta lo sa anche il presidente del CONI Giovanni Malagò, che intercettato dalla Guardia di Finanza durante una conversazione con Andrea Zappia, ex manager di Sky, si è espresso cosi sui presidenti di Serie A: «I presidenti dei club di Serie A delinquenti veri. E la Lega di via Rosellini è un’organizzazione di diritto privato… perché altrimenti li arrestavano tutti perché li avevano trovati colpevoli di corruzione sei anni fa…. E ancora, a proposito dei singoli. Preziosi, ex presidente del Genoa, “un vero pregiudicato”, mentre Lotito: il capo».
Il finto stupore
Adesso che lo “scandalo Juventus” è venuto fuori, tanti si stupiscono. Ma come potevamo non aspettarcelo? Operazioni evidentemente artificiose, e architettate per rispettare parametri che i club, altrimenti, non avrebbero mai potuto rispettare. Chiunque ha ormai gli elementi per capire quanto il mondo del calcio italiano sia quasi fallito, una bolla che si è sempre più gonfiata, in un continuo e non sostenibile gioco al rialzo delle stesse società. L’Inter deve – o meglio doveva – fare i conti con 50 milioni di euro di arretrarti, a seguire Lazio e Roma, quindi la Juventus (a quota 30), il Napoli (25 milioni) e il Milan (10 milioni).
Così l’idea di salvare il calcio a livello statale era già maturata da qualche mese, e un provvedimento in tal senso era stato presentato in occasione del “pacchetto aiuti quater”, ricevendo però un secco e deciso no dal mondo della politica; diceva infatti il presidente dello sport Andrea Abodi, persona degna di stima e probabilmente la migliore e più credibile candidatura il Ministero dello Sport:
“l’opinione pubblica non capirebbe questo provvedimento”.
Ebbene, che cosa è cambiato a distanza di un mese? Lo chiediamo al ministro così come al governo. La risposta non ci è dato saperla: probabilmente, dopo qualche conto, si è compreso che la situazione, senza la sponda legislativa, era destinata davvero a precipitare, così come alcuni grandi club. Di certo questa è stata l’ennesima testimonianza del potere politico di cui dispongono i presidenti di Serie A. E la dimostrazione di come il sistema-calcio italiano non abbia la più pallida idea di come risolvere le sue contraddizioni e i suoi problemi; a meno che lo Stato, ovviamente, non continui a usare la carota con il calcio e il bastone con gli altri settori.