Una misura necessaria, che speriamo sia d'esempio.
Domenica la FINA, la federazione internazionale degli sport acquatici, ha introdotto il divieto per le donne trans di partecipare alle gare femminili. Una decisione storica che quindi non vedrà più i transgender gareggiare con le donne, con la sola eccezione di chi ha completato il processo di “transizione” entro i 12 anni o nelle prime fasi della pubertà.
È stato infatti riconosciuto, dopo il rapporto scientifico di un gruppo di esperti, che aver attraversato la pubertà maschile costituisce un netto vantaggio fisico per chi sceglie poi di cambiare sesso (non lo avremmo mai immaginato!). Gruppo composto da «esperti indipendenti nei campi della fisiologia, dell’endocrinologia e delle prestazioni umane, compresi specialisti nelle differenze sessuali nelle prestazioni umane e nella medicina transgender» (il quale aveva al suo interno anche una rappresentanza di atleti e di esperti legali e di diritti umani), che secondo quanto riporta la FINA ha valutato
«le migliori prove statistiche, scientifiche e mediche disponibili riguardanti le differenze sessuali nelle prestazioni sportive e qualsiasi vantaggio maschile associato basato sul sesso».
Emblematico e decisivo è stato il caso di Lia Thomas, passato/a dall’essere il numero 462 nelle competizioni maschili delle 200 yard al diventare il numero 1 in quelle femminili. Un caso che aveva dimostrato quanto fosse assurdo credere che il “trattamento ormonale” potesse essere sufficiente a eliminare un vantaggio fisico e biologico – i danni dell’ideologia, quando vuole prevalere anche sulla natura. Allo stesso tempo la FINA ha annunciato che nei prossimi mesi verrà introdotta una “categoria aperta”, nella quale potranno competere tutte le donne transgender come appunto Lia Thomas.
Un indirizzo questo che ha già scatenato le proteste di associazioni inclusive come Athlete Ally, la quale ha parlato di scelta “discriminatoria, dannosa, non scientifica“, mentre da noi ad esempio ha tuonato Vladimir Luxuria: «è il fallimento del principio di inclusione dello sport». Eppure un esempio, quello della federazione degli sport acquatici, che speriamo venga seguito presto anche da altre federazioni.