Nel mondo di oggi la scritta “vendesi” campeggia quasi ovunque. E il mondo sportivo di certo non rappresenta un’eccezione. Lo spirito del tempo non fa prigionieri, tenergli testa è una sfida al limite del possibile. Una sfida che in pochi accettano. Quei pochi in genere sono i più valorosi. Stavolta si è trattato degli All Blacks: la squadra per antonomasia. L’impellente bisogno di liquidità da parte della NZR, l’organo che governa il rugby professionistico neozelandese, ha spinto i suoi vertici a prendere in seria considerazione l’ipotesi di vendere il 15% dei diritti commerciali del brand legato alla nazionale al fondo d’investimento statunitense Silver Lake.
Come sottolinea “Il Post”, quello degli All Blacks è il marchio più importante nell’universo del rugby e uno dei più preziosi nell’intero panorama dello sport professionistico. La federazione però ha confermato una perdita tra i 40 e 50 milioni di dollari nel 2020 e ha preventivato il dimezzamento delle riserve di cassa da 93 a meno di 50 milioni: la pandemia non ha fatto sconti neppure ai maori. Silver Lake, fiutato l’affare, ha valutato complessivamente il marchio 2 miliardi di dollari, più o meno 1 miliardo e 700 milioni di euro, e perciò ha offerto 276 milioni di euro per acquistarne una fetta.
Dietro gli All Blacks c’è un intero popolo (Ph Phil Walter/Getty Images)
È risaputo che il popolo della Nuova Zelanda sia gelosissimo delle proprie discipline sportive: rugby e vela sono baluardi intrisi di sacralità irrinunciabile. I più attenti osservatori dunque non sono rimasti sorpresi dalla levata di scudi dell’associazione dei giocatori in completo nero di fronte a questa offerta straniera. Lo scorso 29 marzo, con una lettera firmata in calce dai capitani delle squadre maschili e femminili e da alcune bandiere come Aaron Smith, Sam Whitelock e Dane Coles, gli All Blacks sono scesi in mischia ancora una volta. Un’unione d’intenti inscalfibile:
«Riteniamo di dovervi già comunicare che non concederemo la nostra approvazione alla vendita di quote. La decisione è stata presa dopo un’attenta valutazione da parte del nostro consiglio di amministrazione, il quale ritiene ci siano altre soluzioni da valutare, come il rilancio della strategia aziendale o l’emissione di obbligazioni. I giocatori neozelandesi giocano per sé stessi, per le loro famiglie e per il loro Paese con un impegno nei confronti del successo richiesto dalla storia ed ereditato dalla tradizione. I tifosi comprendono questo impegno e ci riconoscono l’essenza di ciò che significa essere neozelandesi.
È questo che stiamo vendendo: 129 anni di storia, e talento, e risultati che hanno portato a successi straordinari, raggiunti perché siamo quelli che siamo. Nessun altro l’ha fatto. Nessun altro avrebbe potuto farlo».
Gli All Blacks non sono in vendita: il messaggio è chiaro. La sovranità, che passa anche e soprattutto per l’economia, non può essere messa in discussione. L’impegno nei confronti della propria gente non accetta invasioni esterne. I capitali devono rimanere in patria. Quella degli All Blacks è anzitutto una lezione di dignità: i giganti, anche se azzoppati, non devono cedere un centimetro. In campo come in CdA.
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