È una crisi tutta politica quella che rischia di portare gli atleti italiani a Tokyo 2021 con lo status di apolidi. Niente inno né bandiera alle Olimpiadi, il che equivarrebbe a “un danno di immagine spaventoso”, per utilizzare le parole del presidente del Coni Giovanni Malagò. Lui si dice preoccupato ma ottimista, anche se per ora ascolta solo parole quando il tempo, risicato, richiederebbe fatti concreti.
Il pantano dove si è immersi riguarda l’incompatibilità tra la riforma dello Sport e la Carta Olimpica, “la nostra stella cometa” come l’aveva battezzata Malagò stesso, regalandone una copia ai giornalisti in conferenza stampa. Era il 2019, un’era politica fa, il matrimonio tra le forze di governo filava a rose e fiori – al massimo, quando serviva, si dava una spruzzata di profumo per non far sentire il cattivo odore – e tutto lasciava presagire una soluzione nel breve termine.
Quello che veniva richiesto era il conformarsi all’articolo 27 della Carta, inerente ai C.N.O. (Comitati Nazionali Olimpici), che devono avere “competenza esclusiva per quanto riguarda la rappresentanza dei propri Paesi” e, soprattutto, “devono preservare la loro autonomia e resistere a tutte le pressioni, incluso quelle di ordine politico, religioso od economico”. Con la riforma attuata dal governo Conte I, invece, il Coni si è visto ridurre la propria influenza con una possibilità d’azione ridotta e, quindi, incompatibile con i principi della Carta.
La preoccupazione di Giovanni Malagò è alle stelle in questi lunghi giorni d’attesa (Ph Pier Marco Tacca/Getty Images)
A fine novembre sono stati approvati dal Consiglio dei Ministri “cinque decreti legislativi di riforma dell’ordinamento sportivo”, come si legge in un comunicato stampa di Palazzo Chigi, ma nessuno di questi ha chiarito il punto più importante, il primo, riguardante l’indipendenza del Coni. Adesso, se questo nodo non verrà sciolto entro il 27 gennaio, l’Italia rischia una sanzione da parte dell’ Esecutivo del Comitato Olimpico Internazionale. A fine dicembre Malagò ci era andato giù pesante, sfogandosi contro il continuo – ed irritante – rinvio politico sulla decisione, “l’ennesima dimostrazione che noi italiani, fenomeni nelle emergenze, arriviamo sempre un po’ all’ultimo”.
Eppure, dal CIO, erano stati chiaramente specificati quali fossero i punti controversi che necessitavano un cambiamento, ma a Losanna non è ancora arrivata alcuna modifica sostanziale; né una soluzione è stata trovata con la Legge di Stabilità, né con il decreto Milleproroghe, né tantomeno con l’intervento del ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, il quale non sembra capace di trovare il bandolo di una matassa che si aggroviglia giorno dopo giorno.
Ciò che serve entro il 27 gennaio è un decreto, l’unico strumento ormai possibile per scongiurare una sanzione che accomunerebbe l’Italia alla Russia, già certa di non poter esporre la sua bandiera a Tokyo e ai Giochi invernali di Pechino l’anno prossimo. Un ridimensionamento enorme per Mosca al quale l’Italia non può, non deve, far eco.
Il problema è “tutto interno al governo”, attacca Matteo Salvini dall’opposizione, al quale risponde Goffredo Bettini, voce di spicco del Partito democratico, ricordando come “prima della riforma Giorgetti” – all’epoca segretario del Consiglio dei Ministri con delega allo Sport – “esisteva all’interno del Coni una società, la Coni servizi, che rispettava i principi della Carta olimpica. Ora Sport e Salute non entra in questa casistica, e dobbiamo correggere questo errore in modo drastico”. Su quest’ultimo punto, Pd e Lega sono però concordi. Meno una parte dei Cinque Stelle, quella vicina a Alessandro Di Battista, sulla quale si può provare ad insistere.
Chissà se il Capo dello Stato dovrà essere sollecitato in “zona Cesarini” affinché risolva anche il dossier olimpico (Ph Paolo Bruno/Getty Images)
Ma le ultime dichiarazioni in merito venivano rilasciate con una crisi di governo solo paventata. Ora le minacce si sono trasformate in vere e proprie rese dei conti.
Una situazione politica tossica che non fa bene a nessuno, sport compreso.
Facile ipotizzare che ora le priorità diventino altre per il governo, anche se il premier Giuseppe Conte nei giorni scorsi si era detto fedele al mantenimento della parola. Nel frattempo Malagò continua la sua intermediazione politica, probabilmente strappando con rabbia ogni giorno un foglio del calendario e cercando di evitare una sconfitta, politica e sportiva, che l’Italia non può permettersi.