Dal tramonto del XIX secolo, la Francia ha stretto un legame ambiguo con il cosiddetto circo mediatico. Il termine affaire appositamente coniato, che denota un’intrigata vicenda di carattere politico, sociale, giudiziario discusso nell’opinione pubblica, è un francesismo di largo utilizzo in tutti i vocabolari. Rispetto a ciò, la storia ci restituisce un preciso casus belli nel conflitto tra Stato e audience francese: il caso Dreyfus.
1993. Ai colonnelli si sostituiscono i dirigenti sportivi, i generali sono rimpiazzati dai calciatori, e un semplice presidente di club recita da agente segreto. L’Olympique Marsiglia è prossimo alla doppietta scudetto-Coppa dei Campioni, la seconda finalissima europea nel giro di un biennio. Quella squadra è semplicemente straordinaria, con Barthez tra i pali, Deschamps e Desailly come spina dorsale per un attacco guidato da Rudi Voller, Boksic e Abedi Pelè.
A competere con l’OM in patria c’è soltanto il PSG di Ginola e Weah; i parigini danno filo da torcere ai provenzali per tutta la stagione, ma il Marsiglia vive un’ineguagliabile epoca d’oro, sospinto dai gruppi Commando Ultras 84, Virage Nord e South Winners, le tre falangi del tifo biancoazzurro dentro e fuori il Velodromo marsigliese. L’architetto di tale progetto è invece Bernard Tapie, poliedrico imprenditore e politico con inclinazioni socialiste, che passa dal ruolo di sindaco della capitale alla presidenza dell’OM.
Tapie sbarca in Costa Azzurra con una valigetta contenente il contratto proprietario dell’Adidas, i tesserini di Enzo Francescoli e Papin, sorretta dal proprio braccio destro: Jean-Pierre Bernès. Tapie è un monarca inarrestabile, la cui fama, alla luce di quattro campionati consecutivi, lo porta fino all’ambasciata sovietica per un ultimo saluto a Michail Gorbacev. Nulla potrebbe arrestare l’inesorabile avanzata dei focesi.
Il venerdì 21 maggio del 1993, l’OM deve sbrigare la pratica campionato prima di affrontare il Milan di Sacchi all’Olympiastadion e aggiudicarsi la coppa dalle grandi orecchie. L’ultimo ostacolo, il Valenciennes allenato da Boro Primorac, non rappresenta un grosso problema. O meglio, si decide che non debba rappresentarlo. Alla vigilia, Jean-Pierre Bernès ad alzare la cornetta alla vigilia, digitando il numero dell’Hotel du Lac di Valenciennes. Precisamente, il destinatario è il calciatore Jean-Jacques Eydelie, giocatore dell’OM incaricato di far da tramite tra le volontà di capitan Papin e i Cigni rossi.
Vengono coinvolti Christophe Robert, il difensore Jacques Glassmann e il campione del mondo argentino Burruchaga. La somma offerta agli atleti dall’amministratore delegato avversario è di 250.000 franchi ciascuno, pari a quarantamila euro; con l’esplicita richiesta di consentire ai suoi una facile vittoria. Ad accordi presi, in apparente normalità inizia il match, timbrato subito dalla rete del croato Boksic. La linea difensiva ha la reattività di un soppalco, mentre proprio el Burru, personaggio focoso, acconsente ogni singolo fischio dell’arbitro.
Il gol del vantaggio di Alen Boksic
All’intervallo, nello spogliatoio casalingo dello stadio Nungesser aleggia uno spettro; è la dignità del difensore Glassmann. Il centrale dichiara il misfatto all’allenatore Boro Primorac, includendone i complici. Il navigato tecnico slavo conosce il valore dell’attesa e lascia scorrere la trama della partita, istituendo uno studio interrogatorio al termine delle ostilità. Scoprirà che la moglie di Robert ha già ricevuto la ricompensa in un parcheggio, e sta provvedendo a interrare il denaro nel giardino dimorale.
Il Marsiglia conquisterà il double battendo il Milan in finale di Coppa dei Campioni, ma sta per iniziare un’altra finale, ben più dura. In giugno, Eydelie si costituisce dinanzi al giudice Beffy, rivelando l’accaduto con l’aggiunta dei protagonisti di questo giallo. A quest’ultimo si aggiunge Robert dopo la perquisizione del giardino da parte degli inquirenti. Si arriva così all’inchiesta giudiziaria vera e propria, diretta da due figure peculiari: Noel Le Graet, presidente della Lega Calcio, e il procuratore Eric de Mongolifer, che creano uno schema piramidale volto a raggiungere il deus ex machina dell’operazione, Bernard Tapie.
Mosse le pedine dei calciatori, i due arrivano a Bernès, il quale misteriosamente soffre di problemi cardiaci che lo costringono all’ospedalizzazione. Eppure, un colpo di scena stravolge lo svolgimento delle indagini, perché dopo tre settimane di prigionia Eydelie confessa esplicitamente la colpevolezza di Tapie, che viene convocato in questura. L’estate francese passa dagli yacht alle telecamere fuori il tribunale, invaso da giornalisti intenti a catturare impressioni, focalizzandosi sull’avvocato dell’OM Francis Debacker. Quest’ultimo è il primo a intuire la reale macchinazione ai danni di Tapie, al contempo vittima e mandante del gioco di forze chiarito nella sua testimonianza.
“Adesso che si sanno impuniti, i giudici faranno di tutto per schiacciarmi. L’ opera di distruzione totale è cominciata. La stampa troverà questo normale, tutti i processi si sincronizzeranno perfettamente. La macchina si è messa in moto, se metto un piede in galera esco fra dieci anni. Non è possibile, non posso lasciar perdere…” (archivio Repubblica, 16 maggio 1995).
Tapie ammette l’intento della strategia corruttiva, nella volontà di disporre a pieno della rosa in vista di Marsiglia-Milan, attribuendone però la causa al desiderio di vittoria alla classe dirigente locale, nel nome del deputato parlamentare Jacques Mellick. Mellick avrebbe quindi chiesto a Tapie di portare la Champions a Marsiglia, promettendogli un ruolo di rilievo nelle sfere decisionali come primo e unico vincitore francese del trofeo. Trattasi di un complotto volto a concentrare l’elettorato socialista nel Sud del paese e non a Parigi, sfruttando l’enorme influenza calcistica in primis sui nuovi cittadini di origine africana.
Mongolfier e Beffy condanneranno il patron marsigliese a due anni di reclusione, sull’onda dell’inferno mediatico creatosi, infliggendo la revoca dello scudetto al Club con l’aggiunta della retrocessione in cadetta. I calciatori del Valenciennes, eccetto il benefattore Glassmann, sono sospesi dai sei ai ventiquattro mesi: lo stesso per Bernès. Dalla clamorosa vicenda, si distingue indubbiamente il procuratore Mongolfier, che nel ’97 ottiene l’ineleggibilità per Mellick (in aggiunta a un anno di arresti domiciliari), aggiungendo come la demonizzazione di Tapie sia causata dalle manovre dell’élite francese, che non vede di buon occhio la scalata sociale di questo imprenditore.
La pena sarà ridotta e Tapie, completamente assolto solo nel 2010 e divenuto poi attore di successo, mentre Bernès rappresenta sportivamente Deschamps, Nasri e Ribèry. L’Olympique Marsiglia non tornerà più ai fasti di un tempo, portando con sé, fino ad oggi, le scorie di un’immagine corrotta. Un noir quasi paradossale che, come frutto di una penna letteraria, possiede un enigma interno: a rilevare l’OM dalle ceneri sarà un uomo d’affari, Robert Louis-Dreyfus. Le parole hanno un significato e i nomi hanno un potere.