“Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente”. Con queste parole illuminanti Jean Claude Izzo parlava di Marsiglia in Casino Totale, il primo capitolo di una trilogia noir ambientata proprio nella città francese. Chissà se questa citazione venga in mente a qualcuno, ogni tanto, tra gli spalti del Velodrome durante le partite dell’Olympique Marsiglia.
Il legame viscerale che intreccia la tifoseria dell’OM e la città stessa è infatti un caso unico, sui generis, che riprende e rivendica l’omaggio di Izzo. A Marsiglia ci si schiera, si è, violentemente: ciò si riflette nel supporto alla squadra di casa, nei suoi gruppi organizzati che spesso e volentieri fanno parlare di sé anche oltralpe. Basti pensare alla recente, mastodontica coreografia per accogliere la Lazio in Europa League (senza però i tifosi biancocelesti, bloccati dall’autorità) o alla surreale raffica di oggetti lanciati a Neymar durante l’ultimo OM-PSG, che ha costretto l’utilizzo di veri e propri scudi protettivi per proteggere il brasiliano dalla bandierina.
A Marsiglia gli animi fremono, vibrano fino a divampare. Nel bene o nel male, stupiscono. Soprattutto in curva, la domenica, quando l’OM gioca in casa.
La storia della tifoseria marsigliese sboccia a metà degli anni ’80, quando iniziano ad affacciarsi tra gli spalti del Velodrome i primi gruppi ultras organizzati: i Commando Ultras, nati il 31 agosto del 1984, rappresentano il collettivo ultras più antico di tutta la Francia, da cui le altre squadre transalpine prenderanno esempio. Lo spirito ribollente di Marsiglia, città di porto e crocevia commerciale, favorisce lo sviluppo di una cultura del supporto sportivo che con gli anni diventa sempre più imponente: a metà degli anni ‘90 si contano svariati gruppi organizzati da più di 15mila membri; la media spettatori è ad oggi la più alta della Ligue 1 con più di 50mila tifosi di media.
E dire che la squadra non vince nulla da quasi dieci anni, altalenando stagioni convincenti ad altre rovinose e senza progetti convincenti, con l’eccezione di Bielsa e del suo discepolo Sampaoli, al momento al timone della squadra. La tifoseria non sembra accusare questa instabilità competitiva, anche se i tempi d’oro dell’era del presidente Tapie appaiono lontani. Infatti, i primi anni ’90 sotto il patron non solo regalano a Les Phocéens una Coppa Campioni (ad oggi l’unica della storia di tutti i club francesi), ma sono teatro della nascita di un’atmosfera mitica al Velodrome.
Proprio Bernard Tapie – che tra le altre cose aveva formalmente ingaggiato Maradona, nel 1989, prima che il Napoli ritrattasse –aveva capito l’importanza dei tifosi nel calcio, delegando e lasciando l’animazione delle gare ai gruppi, fino ad affidare loro la vendita degli abbonamenti. Se da una parte questo non ha fatto altro che alimentare la fiamma delle tensioni e degli scontri, dall’altra ha esaltato l’impatto emotivo del tifo di casa, la sua capacità di essere un fattore, di far virare l’entropia delle partite a favore dell’OM.
Seppure con gli anni il Velodrome abbia ridimensionato la propria potenza d’attacco, continua ad esprimere in maniera vivida, a tratti prepotente, lo spirito della città.
Uno dei parallelismi più intuitivi e banali che si possono associare a Marsiglia è quello con Napoli. Due porti che si affacciano sul Mediterraneo, entrambi fondati dai Greci, con clima e tradizioni simili. Inoltre la presenza di un’avversione naturale, congenita, nei confronti dell’autorità centrale, che sfocia in un orgoglio calcistico indissolubile ed esaltato dalla rivalità contro chi quell’autorità la rappresenta, PSG o Juventus che sia. Tuttavia, le similitudini tra le città sono più retoriche che reali: Marsiglia non va neanche vicina ad offrire la varietà artistica e culturale di Napoli.
A Marsiglia, riprendendo le parole di Izzo, non c’è niente da vedere. È un porto ribelle, di matrice operaia, che negli anni ha concentrato e mescolato la Francia con il Maghreb, l’Africa Subsahariana ma anche l’Asia, la Spagna e l’Italia (tra cui Napoli stessa). La varietà etnica che ha amalgamato negli anni si riflette anche e soprattutto tra i tifosi, accomunati da una matrice intensamente antirazzista come testimonia, tra le altre cose, il gemellaggio con gli ultras livornesi.
Il rigetto del razzismo va a braccetto con un’acerrima rivalità nei confronti del PSG, tifoseria storicamente di destra: basti pensare ai caroselli per le strade dopo la sconfitta dei parigini nella finale di Champions del 2020 contro il Bayern Monaco.
Addirittura uno dei gruppi organizzati più famosi del Velodrome, i South Winners 87, utilizza ed espone il colore arancione – invece che il classico bianco-azzurro – proprio in estrema antitesi alla tifoseria del PSG. Uno dei collettivi storici del club della capitale infatti, i Kop de Boulogne, era solito indossare durante le partite il tipico bomber nero, che all’interno è arancione: ribaltandolo, i South Winners rivendicano la loro opposizione al centralismo come un atto esplicito e prioritario. Un atteggiamento apprezzato anche dal cantante Manu Chao – ironia della sorte, parigino di nascita – storico tifoso dell’OM e protagonista del concerto per il ventennale del gruppo organizzato.
Al giorno d’oggi il club sembra però aver dimenticato, almeno in parte, l’importanza che il tifo organizzato ha avuto nel suo svezzamento internazionale. Come sottolinea lo storico Sébastien Louis, autore del libro Ultras Gli altri protagonisti del calcio e fedelissimo della curva marsigliese per anni, l’OM è ormai diventato “un progetto di industria del tempo libero”. Come succede per altre società, l’attuale proprietà statunitense sta mettendo il business plandavanti alle esigenze del pubblico, tentando di creare una separazione manicheista tra i supporters “buoni” – quelli che consumano il prodotto calcistico – e “cattivi” – i violenti, ribelli, che causano tribolazioni ma guarda caso sono anche fondamentali nella costituzione di quell’atmosfera allo stadio che poi si rivela particolarmente utile nell’affermazione del brand OM.
Il modello di tifoso-cliente copiato dallo sport americano è ormai dominante in quasi tutto il calcio europeo, e anche a Marsiglia l’intenzione è quella di imporre il calcio come spettacolo disneylandizzato, per citare lo stesso Louis.
Tuttavia, questo tentativo di trasformazione dai contorni consumistici sta trovando difficoltà ad attecchire nella città focea, ed in tutta la Francia in generale. Gli ultimi episodi avvenuti quest’anno – l’assurda invasione di campo durante Nice-OM o la recente bottigliata in testa a Payet per OL-OM – sono i sintomi di una reazione veemente, convulsa, che alcuni gruppi di tifosi stanno manifestando. Il rischio è che la frattura socio-sportiva, alimentata dai media e dalla repressione del tifo, si possa dilatare fino a raggiungere margini irreparabili. A Marsiglia, città dove da sempre bisogna schierarsi, sanno già da che parte stare.