Osvaldo Soriano e il San Lorenzo: un amore calcistico durato una vita, alimentato dal consueto corollario di gioie e delusioni. La passione dello scrittore argentino per il Ciclòn risale all’infanzia, trascorsa nella città di Cipolletti. Nel 1956 suo padre, José Vicente Soriano, inspector de obras sanitarias, viene trasferito nella provincia del Rio Negro per motivi di lavoro. Prima tappa a San Luis, breve permanenza a Tandil e a Río Cuarto per poi arrivare nella città che prendeva il nome da Cesare Cipolletti, l’ingegnere idraulico italiano molto apprezzato a Roma per avere studiato la navigabilità del Tevere e diretto i lavori di costruzione dell’acquedotto di Firenze.
L’invenzione del modulo di misurazione delle acque fece di Cipolletti un luminare nel campo dell’ingegneria applicata ai sistemi idrici, meritandosi la grande stima degli studiosi inglesi e americani. Nel 1896, trasferitosi in Argentina, Cipolletti ottenne dal governo di Buenos Aires l’incarico di completare l’acquedotto locale, visti anche gli ottimi risultati nella progettazione di alcune dighe situate nel bacino della provincia di Mendoza. Dopo la sua morte, nel gennaio 1908, Confluencia (fondata come fortezza, a darle quel nome era stato il generale Lorenzo Vintter) divenne Cipolletti, città che ai tempi di Soriano contava circa ventimila abitanti.
Un angolo sudamericano, nella Patagonia settentrionale, sulla sponda nordest del fiume Neuquén.
Terra di vini, petrolio, frutta e resti di dinosauri, dove si coltivano le mele e le pere dell’Alta Valle, esportate in tutto il mondo: è qui che il futuro autore di Triste, solitario y final trascorse la sua giovinezza, affrontando da adolescente trasferte calcistiche in Cile, giocando amichevoli a Temuco, Pucón e Villarrica, con autobus presi a noleggio. Tra gli avversari affrontati da Soriano nella Liga Deportiva de Confluencia, uno sarebbe diventato una celebrità: El Loco Pedro Prospitti, promessa dell’Unión Alem Progresista e campione d’America nel 1964 con l’Independiente.
Non sono le vittorie a far sbocciare la scintilla del giovane Osvaldo per il San Lorenzo, club del quartiere Boedo di Buenos Aires, fondato nel 1900 da un gruppo di ragazzi di colore e che il prete salesiano Lorenzo Massa decise di ospitare nell’oratorio della sua parrocchia dopo la tragica fine di un bambino, investito da un tram durante un incontro giocato per strada. Nei primi anni ’50, il San Lorenzo si barcamena a metà classifica nel massimo campionato argentino, lontano dal vertice e senza particolari ambizioni.
Soriano, che a 14 anni milita come centravanti del Confluencia, una delle squadre di Cipolletti, è attratto dalle giocate di Josè Sanfilippo, attaccante dalle grandi qualità tecniche, cresciuto nella cantera del San Lorenzo, sostenuto da Renè Pontoni.
Osvaldo prova e riprova in allenamento la giocata di Sanfilippo: quel tiro scagliato dopo aver fatto passare il pallone sopra il piede del difensore avversario, così da impedire al portiere di anticipare la traiettoria della conclusione che va a spegnersi quasi sempre a fil di palo. Un goleador, Sanfilippo, che dal 1958 al ’61 monopolizza la classifica dei bomber del campionato argentino. Grazie alle sue reti il San Lorenzo arriva al vertice, piazzandosi al secondo posto nel 1957 e staccato solo dal River Plate. L’anno dopo è terzo a sole tre lunghezze dai campioni del Racing Avellaneda.
La prima gioia
Per il futuro autore di Mai più pene né oblio e Un’ombra ben presto sarai la prima gioia calcistica arriva nel ‘59 con il titolo del San Lorenzo, trascinato dal solito Sanfilippo, autore di 31 gol in 30 partite. Una predilezione che Soriano renderà immortale nella splendida lettera ad Eduardo Galeano, l’altro grande nume tutelare dei cercatori di storie di cuoio, pervasa da una dimensione onirica e favolistica del calcio del passato. Una piccola-grande chicca dove si narra di un glorioso campo di calcio che l’incedere del tempo ha trasformato in grande magazzino. Da qui, lo scrittore di Mar del Plata innesta la metafora di quel processo di mercificazione smisurata che ha cambiato anche la natura del futbol. Scrive Soriano in quella lettera:
«Ci sono andato con José Sanfilippo, l’eroe della mia infanzia, stiamo camminando tra i carrelli, attorniati da pentole, formaggi e filze di salsicce. All’improvviso, mentre ci avviciniamo alla cassa, Sanfilippo apre le braccia e mi dice: “Pensa che proprio qui insaccai quel gran tiro di punta al portiere Roma nella partita contro il Boca”. Incrocia una signora grassa che spinge un carrello pieno di scatolette, bistecche e verdure e dice: “È stato il gol più rapido della storia”. In quel momento Sanfilippo mi indica una pila di barattoli di maionese e grida … La gente ci guarda, spaventata.
Il pallone arriva spiovente un po’ dietro ai centrali … mi segnala lo scomparto in basso e di colpo si mette a correre come un coniglio malgrado il vestito blu e le scarpe lucidate: ‘La lasciai rimbalzare e… plum!’ … El Nene esplode il suo sinistro».
Mentre Sanfilippo alza le braccia, clienti e cassiere si spellano le mani per gli applausi. «A momenti mi metto a piangere, – ricorda ancora Osvaldo Soriano – Sanfilippo aveva segnato di nuovo quel gol del 1962. L’aveva rifatto solo perché io potessi vederlo». Quella rete contro i campioni del Boca, diventata letteratura, è tra le poche gioie di quella stagione del San Lorenzo, imbrigliato nei bassifondi della classifica, a distanza abissale dal vertice. Stagioni che resero ancora più solido l’affetto di Sorianoverso la sua squadra del cuore. Del resto, lo scrittore è sempre stato il narratore degli sconfitti irriducibili, l’autore di racconti con personaggi disincantati e carichi di dignità ironica e orgogliosa, collocabili cinematograficamente tra Chandler e Monicelli, con un po’ della furia di Melville e dell’indignazione di Fassbinder.
Soriano, anche nei suoi scritti di fútbol, ha lasciato un segno indelebile con uno stile limpido e pregno d’ironia, senza mai sfociare in un compiaciuto narcisismo, lanciando uno sguardo verso gli ultimi, fossero anche un portiere reduce da una topica clamorosa o un attaccante che sbaglia allo scadere il gol che avrebbe potuto cambiare la stagione della sua squadra. Basta rileggere i racconti dell’antologia Ribelli, sognatori e fuggitivi, non tralasciando Fútbol, la raccolta di scritti sul calcio, per avere conferma dei viaggi interiori delineati da Soriano in punta di penna, sotto forma di racconto breve, dove si muovono personaggi di ritorno dall’esilio, vaganti per le strade di un’Argentina in parte reale e in parte fantastica, ombre in un paese di fantasmi e in un mondo che sta andando a fondo.
L’età dell’oro del club rossoblù
La fine degli anni 60 e buona parte della decade successiva rappresentano il momento migliore nella storia del San Lorenzo, con la conquista di quattro campionati argentini tra il 1968 e il ’74. Il primo vinto a spese dell’Estudiantes, campione nazionale uscente e pronto a dominare la Libertadores per un triennio. L’impresa del Ciclòn in quella stagione è resa memorabile anche dall’imbattibilità, la prima volta dalla creazione del professionismo nel 1931. Un’impresa fallita persino dal River Plate formato “Maquina”, dall’Independiente di Erico, dai tre volte campioni del Racing e persino dal Boca di Varallo.
La prima squadra a diventare campione senza sconfitte è stata il San Lorenzo del 1968: 24 partite, 16 vittorie e 8 pareggi, con la porta, difesa da Carlos Adolfo Buttice (con Agustin Irusta come affidabilissimo rincalzo) rimasta immacolata per ben 13 giornate. Una rivincita per Buttice, reduce da due stagioni anonime. Soriano si sofferma sulla brillantezza di quella mitica squadra: imbattibile e tecnicamente impeccabile. Una miscela di equilibrio offensivo e difensivo, un gruppo senza crepe, capace di riportare gioia nella tifoseria rossoblù che attendeva quel momento da nove anni.
Soriano analizza quella squadra partendo dai due terzini di qualità, Sergio Villar e Antonio Rosl, pilastri di una difesa comprendente al centro Oscar Calics (il veterano della squadra) e Rafael Albrecht. Il centrocampo vedeva agire due cardini: Roberto Telch, capace di dettare ritmo e tempi di gioco, e Alberto Rendo sulla destra, abile ad andare spesso in gol. Victorio Cocco, ex Union Santa Fe, era l’ariete offensivo, con Pedro González brillante destro, non tralasciando Carlos Toti Veglio (ex Deportivo Español) e Rodolfo Fischer. Quest’ultimo, soprannominato “El Lobo”, è l’emblema del San Lorenzo campione argentino nel ‘68, autore di 13 gol, tra cui due triplette, nonché eroe della finale.
Nei tempi supplementari, Fischer batte il portiere Poletti, uno dei macellai della mattanza della Bombonera (chiedere ai tifosi milanisti per maggiori dettagli), siglando il 2-1 finale con una botta terrificante, da ottimo finalizzatore con grandissime capacità nel gioco di testa. In quella rosa brilla, ma solo in quattro partite, la stella di Héctor Veira, lungamente fermato da un infortunio, futuro tecnico del San Lorenzo campione nel 1995. A guidare gli imbattibili del Ciclòn è l’allenatore brasiliano Elba de Padua Lima, conosciuto con il diminutivo di Tim.
Altro anno di grazia nella storia rossoblù è il 1972.
Stagione del San Lorenzo bicampeon con Juan Carlos Lorenzo in panchina, reduce da un’annata negativa alla guida della Lazio. Il Ciclòn conquista il Metropolitano, staccando il Racing Club di sei lunghezze e i rivali cittadini dell’Huracan di nove punti. Nel campionato Nacional, il San Lorenzo batte in finale il River Plate con un gol di Figueroa, mettendo in bacheca un altro titolo da imbattuto. Nei suoi pezzi, Soriano sottolinea il ritorno, dopo dieci anni e con 38 primavere sulle spalle, del bomber Josè Sanfilippo, reduce da peregrinazioni tra l’Argentina (Boca e Banfield), l’Uruguay (Nacional Montevideo) e il Brasile (Bangu e Bahia). Per lui 28 presenze e 8 reti.
Quella squadra presenta qualche reduce del ’68 (il portiere Irusta e Fischer, autore di una tripletta nel Metropolitano ai danni del River) e il futuro campione del mondo Jorge Olguin in difesa.
Due anni dopo per il san Lorenzo è di nuovo Nacional, precedendo di un punto il Rosario Central. “La Gloriosa Butteler”, ovvero la tifoseria rossoblù, tra le più calde e appassionate d’Argentina, dopo aver patito per il gol del vantaggio del Ferro Carril, esulta nella ripresa dopo le tre reti di Scotta, Cocco e Ortiz che in ventitrè minuti blindano il titolo del San Lorenzo, guidato da Osvaldo Juan Zubeldía, il tecnico che con l’Estudiantes aveva scalato, alla fine degli anni 60, tutte le vette possibili, fino a quella Intercontinentale. Gli anni 80 sono quelli della retrocessione del San Lorenzo che, in seguito a una grave crisi economica, è costretto anche a dover vendere lo stadio.
L’ultimo titolo
Un’altra grande gioia da tifoso rossoblù Soriano la vive nel 1995. È la stagione del titolo conquistato in volata a spese del Gimnasia La Plata dopo aver battuto in trasferta il Rosario Central. Trionfo sublimato dal bellissimo racconto intitolato Lo scudetto del ciclone rossoblù, inserito nella raccolta “Ribelli, sognatori e fuggitivi”. «Vent’anni dopo, el Ciclon torna a essere grande. Mi dicono che Viera abbia pianto. E c’è da crederlo, scrive Soriano. Vincere il titolo in quel modo, guidando il San Lorenzo, la derelitta su cui neanche un cane avrebbe scommesso un soldo, era impresa degna di Tony Rocha, il pugile del suo romanzo Quartieri d’inverno, senza futuro e ormai al crepuscolo della sua carriera. Perché di quel San Lorenzo avevano sottolineato, alla vigilia della stagione conclusasi in modo trionfale, la presenza di attaccanti sciancati, quasi a voler castrare sul nascere qualsiasi velleità».
«Cosa significa essere campioni? – si chiese Soriano – È qualcosa come uno champagne secco e gelato che scende per la gola … Ragazzi del glorioso Ciclòn: grazie di tutto. Tornate a casa felici … Siete già nella nostra piccola storia. Potete chiedere quel che volete e vi sarà dato».
Sarà quella l’ultima gioia calcistica vissuta da Soriano, deceduto nel gennaio ’97 ad appena 54 anni. Nei suoi pezzi “calcistici” ha reinventato la sua infanzia e adolescenza, tratteggiando personaggi al crocevia della gloria o del fallimento, raccontando di incredibili partite con Perón a fare da arbitro. Storie che fanno parte dell’archivio di Página/12 dove epica e umorismo, tratti fondamentali del suo stile, sono costanti della narrazione di Soriano che aveva vissuto la più avventurosa partita della sua adolescenza sul campo di Barda del Medio, nel dipartimento del General Roca, a nord della Patagonia, contro i rossoneri dell’Obrero Dique.
Nessuno aveva mai vinto in quel posto infernale e contro una squadra composta da parenti di indiani e cileni senza permesso di soggiorno, capaci di mettere in campo una garra feroce come se più che una partita di calcio stessero disputando la battaglia campale su uno dei fronti dell’Isonzo durante la Grande Guerra. Nelle memorie di cuoio di Soriano trova spazio Sergio Giovanelli, un difensore centrale che mostrava una palpebra cadente solcata da una cicatrice che lo faceva rassomigliare a El Muerto, il cattivo di una celebre avventura di Tex Willer. La sfida nel terribile catino di Barda del Medio la decide il giovane Soriano con un beffardo colpo di testa, a rischio dell’incolumità sua e dei suoi compagni del Confluencia.
Momenti che gli rimarranno dentro e che farà rivivere associandole ad alcune imprese reali del suo San Lorenzo. Basandosi sulle fantasie messe in gioco dal calcio, lo scrittore argentino ci ha parlato di sopravvivenza, apprezzamento degli altri, capacità, ambizioni, coraggio e miserie dell’uomo. Elementi che trovano una sintesi quasi perfetta nei novanta minuti di una partita di calcio, dove al dubbio costante va sempre associata la decisione rapida. Illuminante è l’incipit di uno dei racconti di futbol di Osvaldo Soriano: «Mi parlerai di calcio? No, ti parlerò di gol che uno si perde nella vita».