Su una colonna davanti la tomba di Sant’Antonio, nell’immensa Basilica duecentesca a lui dedicata nel capoluogo euganeo, è affissa un’antica tela raffigurante Cristo reggente una bandiera crociata, simbolo di Padova. È certamente blasfemo paragonare la sofferenza di Cristo a quella del popolo che affolla i gradoni dello stadio Euganeo, ma se uno dei cardini della fede più autentica è la prontezza al martirio, le affinità, calcisticamente e socialmente parlando, ci sono. Non a caso l’effige del Santo, tra bandiere e striscioni, da molto tempo fa capolino nel discusso impianto di viale Nereo Rocco.
Ne ha di motivi, quell’effige, per deprimersi. Dal 2000 ad oggi ha visto 6 campionati di B, 15 campionati di C (ma anche uno di C2 e uno di D), 28 allenatori (ma 33 i cambi effettivi), 7 presidenti, un fallimento, due promozioni consecutive in B sfumate atrocemente negli ultimi due anni. Attualmente i ragazzi del neo mister Vincenzo Torrente veleggiano a metà classifica del girone A di serie C. Per questa stagione si è deciso di svecchiare la rosa e sfoltire un po’ il monte ingaggi, ma l’inizio non è stato all’altezza delle pur ridimensionate aspettative.
Il culmine si è raggiunto dopo il pari interno con la Juventus under 23 con la lite tra il ds Mirabelli, esasperato, e un tifoso, che contestava la società – i due si sono poi riappacificati, immortalandosi sorridenti sotto l’effige del biancoscudo. Sorrisi che stanno timidamente riapparendo anche in squadra e sugli spalti, dato che dall’arrivo di Torrente e al conseguente cambio di modulo sono arrivatedue vittorie e tre pareggi, solo tre le reti subite e sei quelle segnate. Nel mercato di gennaio, nonostante i bassi proclami, sono arrivati i difensori Crivello e Delli Carri e gli attaccanti Cannavò e Bortolussi, segno che forse il tanto temuto ridimensionamento è tale più nell’immaginario che nei fatti.
Il valore della squadra, così come il monte ingaggi, sono del tutto in linea con il top della categoria. In genere i campionati del Padova, almeno quelli da ricordare, sono sempre colmi di imprevisti, di tensione e di finali al cardiopalma. A volte finisce bene, altre no. Dieci i punti dalla capolista Pordenone, ospite a Padova il giorno del 113esimo compleanno dei biancoscudati. Siamo certi che il nostro Santo osserverà sornione l’evolversi del match. Ma se in un momento di noia durante la partita il Santo volgesse lo sguardo alla sua sinistra dalla tribuna est, osserverebbe sgomento una singolare costruzione ergersi sul lato sud dello stadio Euganeo.
Un settore grigio e vuoto, con enormi croci rosse pitturate ai lati, un po’ fortezza templare, un po’ covo del Ku Klux Klan.
Questo ircocervo tra l’interminato e l’inadeguato, tra lo squallido e il disfunzionale, è la nuova curva sud. Nelle utopie di qualche amministratore comunale sarebbe dovuta diventare la casa dei tifosi biancoscudati, una frangia cittadina perennemente snobbata dalle varie amministrazioni. Il peccato originale nacque nel 1994 con la dismissione del vecchio stadio Appiani, un catino nel centro cittadino assai caro a Gianni Brera oltre che a generazioni di appassionati padovani, per migrare verso l’enorme e dispersivo Euganeo, colosso da 80 miliardi di lire e 32.000 posti in mezzo ai campi della periferia nord/ovest della città.
Il Coni impose la pista d’atletica garantendo una lontananza siderale dal campo, corruzione e incompetenza assicurarono l’incompletezza dell’opera. L’assessore allo sport dell’epoca, condannato per tangenti inerenti l’appalto dello stadio, fuggì in Ungheria, dove venne riacciuffato e accompagnato in carcere. Lo stadio fu la cornice del ritorno del Padova in A dopo trentadue anni. Non pronte le coperture sulle tribune, e al posto delle curve si stagliavano due enormi cumuli di sabbia. Lo storico inviato di ‘Tutto il calcio minuto per minuto’ Everardo Della Noce lo definì “lo stadio meno sexy d’Italia, perché senza curve”.
Da allora è passato molto tempo ma le amministrazioni, chi più chi meno, sembrano aver dolosamente assimilato le manie di protagonismo che la scena calcistica gonfia a dismisura.
La giunta attuale, capitanata da Sergio Giordani, imprenditore, ex presidente del Padova e zelante seminatore di ipermercati, tiene molto a offrire l’immagine diuna città progressista, sostenibile, multiculturale, ecologica, inclusiva, “smart”. I dati dicono che Padova è la terza città italiana per reati connessi alla droga (nel 2021 era prima), medaglia d’oro per consumo di suolo in Veneto (seconda regione più cementificata dopo la Lombardia), saldamente terza tra le città più inquinate d’Italia, nel solo 2022 ben 144 i giorni in cui polveri sottili e ozono hanno sforato i limiti di legge. Respirare aria velenosa mette in testa idee bizzarre, tipo costruire una nuova curva a bordocampo.
L’ufficio di Diego Bonavina, assessore alla sicurezza e allo sport, ex centrocampista di un umiliante Padova impantanato a metà classifica in C2, prepara il bando, aggiudicato da una ditta laziale che propone un sospetto ribasso del 6% dei quasi sei milioni di base d’asta. Sport e periferie, dato che nel progetto sono previsti due palazzetti per basket e pallavolo, assicura due milioni, il resto lo mette il Credito Sportivo. Le ruspe entrano in azione nel tardo dicembre 2020, consegna dell’opera prevista tra ottobre e dicembre 2021. Nel tempo seguono interviste dal cantiere, con l’assessore dapprima tronfio di gioia con il pallone sotto braccio e l’elemetto da muratore di ordinanza, poi sempre più rabbuiato man mano che i ritardi si accumulano e le spese si gonfiano.
Al 29 Gennaio 2023, 113esimo compleanno del Calcio Padova, la curva non è ancora finita e, se un giorno vedrà compimento, non sarà a tempi brevi. Il cantiere, i quali costi erano già lievitati di un milione e mezzo (di cui a farsi carico sarà il Comune) tra covid e rincari delle materie prime, a novembre è stato sequestrato dalla Guardia di Finanza a seguito di un’indagine condotta per mesi tramite intercettazioni telefoniche e microspie negli uffici dei tecnici comunali. Indagati per subappalto irregolare i dirigenti della ditta, per turbativa d’asta e violazione della legge sugli appalti i dipendenti comunali, per concussione Giordani e Bonavina.
Così il sindaco commenta al telefono l’ennesimo ritardo con il responsabile del procedimento: «Fai una brutta fine te, eh. Fisicamente…» ma suvvia, chi lo conosce sa il sindaco spesso usa termini coloriti per spronare bonariamente i suoi dipendenti. Bonavina, che ha fatto dell’opera il senso del suo mandato e forse anche qualcosa di più, invece è preoccupato in vista delle elezioni comunali: «La curva serve per la finale playoff (persa contro il Palermo, ndr). Sono tre anni che lavoro per questa curva, non vorremo mica vederla inaugurata da altri?»
Difficilmente le pressioni risultanti dalle intercettazioni basteranno per rinviare i due a giudizio, ma chiariscono il clima in cui è maturata l’idea di un’opera semplicemente inattuabile da una pubblica amministrazione. Il Padova e i suoi tifosi si ritrovano con un’opera a metà, dall’estetica indecente a causa del mancato collegamento con il resto dello stadio, con una devastante assimetria data la lontananza dal campo degli altri altri tre lati dell’Euganeo, dato che, strano a dirsi, di lati uno stadio ne ha ben quattro. Rifarlo ex novo però, già utopia pura per via delle decine e decine di milioni che un Comune non può neanche sognarsi, dopo questo scempio appare ormai impossibile.
Le foto dell’opera hanno raccolto le risate di mezza Italia, ironie che fanno male e che rendono la situazione generale ai tifosi, già stremati da decenni di sventure, davvero dura da mandare giù. Ma lo è anche di più per chi nel Padova ci ha investito e continua, in direzione ostinata e contraria, a investirci cifre importanti.
Superati i campi attorno allo stadio, di proprietà comunale e dall’altissimo potenziale infrastrutturale (meglio tenerseli stretti, non sia mai che la società di turno si adoperi per farci qualcosa di meno estemporaneo della curva) si arriva nelle viscere dell’Euganeo, dove hanno sede gli uffici del Padova. Il proprietario è l’investitore francese di origine amene Joseph Oughourlian, che oltre alla società patavina possiede il Lens, i Millonarios di Bogotà e una partecipazione minore nel Real Zaragoza. Nonostante gli impegni di lavoro lo portino a viaggiare di continuo, ha garantito che presto ripasserà a Padova per fare il punto della situazione con stampa, tifosi e stato maggiore biancoscudato.
Nel mentre, per capire i sentimenti della società, Contrasti haintervistato Alessandra Bianchi, presidente del Calcio Padova. Che spiega come «certamente l’Euganeo offre ampi margini di miglioramento. Ma è di proprietà del Comune, non spetta a noi prendercene carico, noi possiamo solo averne cura come utilizzatori. Non è un segreto invece che vorremmo creare una nostra infrastruttura per il settore giovanile. Al centro sportivo pensiamo da tempo, è un progetto vasto e con tempi di gestazione complessi, così come complesso è il dialogo con l’amministrazione comunale. Vogliamo creare una casa per il Padova ma anche un centro di riferimento per il territorio».
«In Italiaperò – continua – c’è molta ipocrisia sugli investimenti nelle infrastrutture sportive. Ci si figura il mecenate di turno che per motivi ignoti finanzia strutture che vanno avanti da sole. Ma sono investimenti che per garantirsi una prospettiva devono avere un ritorno economico. Questo è un territorio con una potenzialità altissima, che però al calcio offre ricadute davvero marginali. Abbiamo un progetto ampio e complesso sul Comune di Padova, però monitoriamo attentamente opportunità in provincia, una provincia estesa e ricchissima, dove se si dialoga in modo giusto è possibile fare cose interessanti. È una realtà dove inizialmente i foresti sono visti con diffidenza, ma quando si riesce a instaurare un rapporto si creano legami difficili da scalfire».
Una provincia che ha già iniziato a beneficiare di questa volontà: «alle parole seguono i fatti, a Noventa abbiamo preso in gestione un centro sportivo rispondendo a un’esigenza del Comune. Abbiamo garantito la continuazione dell’attività della squadra locale sistemando una struttura dalla storia travagliata. In quel centro organizziamo anche tornei con squadre di altre regioni e alcune nostre giovanili». Il Padova, d’altronde, è sempre stato famoso per il suo vivaio, che ha elargito al calcio italiano fuoriclasse come Del Piero ma anche solidi mestieranti come Maniero, Sartor, Gastaldello, Andreolli, Rossettini.
Sotto la guida di Carlo Sabatini, fratello di Walter, crescono oltre 260 ragazzi seguiti da uno staff complessivo di 120 persone. Sperano di ripercorrere le orme dei nomi detti prima, ma anche di Lovato e Moro, quest’ultimo ceduto un anno fa al Sassuolo per oltre quattro milioni bonus esclusi, un record per la Serie C. Una strada che diventerà la norma: «Veniamo da tre anni dove cercando la promozione abbiamo un po’ sacrificato i giovani. Quest’anno ci puntiamo di più, e così faremo anche in futuro, cercando di coinvolgerli di più in prima squadra per valorizzarli e consolidando la stabilità dei nostri conti con le loro cessioni». Quest’anno degni di nota Aljosa Vasic, talentuoso trequartista di origini serbe, e il centrale rumeno Matei.
Certo, compito arduo per i giovani imporsi in una piazza esasperata come Padova.
I brusii sono di casa all’Euganeo, e tanti ragazzi passati dalle giovanili ricordano con amarezza i rimproveri dalle tribune dopo il primo controllo sbagliato. Pretese, sebbene comprensibili per una città patrimonio Unesco che con la prima cintura urbana supera le 400.000 persone e sfiora il milione con l’intera provincia, non giustificate dalla tradizione calcistica patavina. Le stagioni in A sono state complessivamente 26, 39 quelle in B e 31 in C. Ma guardando gli ultimi sessant’anni, i dati mettono i brividi: due campionati in A, 24 quelli di B e ben 34 quelli in terza serie.
Tanta esigenza, considerando il mero dato statistico, è immotivata. «Ma più che esigenza» prosegue Bianchi «si crea una frustrazione collettiva che porta a esaltarsi quando vinci due o tre partite, e un’eguale depressione dopo qualche risultato negativo. Lens è un paese di 22.000 abitanti, ma allo stadio vanno in 40.000. Ora sono secondi in Ligue 1, ma vengono da parecchi anni in B dove c’era comunque tanta gente allo stadio. Qua i successi esaltano ma gli insuccessi creano un fuggi fuggi generale. Ci aspettavamo un rapporto più agevole da costruire. Servirebbe un ambiente più coeso ed entusiasta, ma ormai lo sappiamo, ci rimbocchiamo le maniche e cerchiamo di fare il massimo. Ovviamente, se questa cappa si aprisse un po’ sarebbe meglio per tutti.
Comunque non ce ne andiamo, insistiamo convinti della bontà del nostro progetto».
C’è, quindi, chi continua a crederci. Nonostante il Calcio Padova sia suo malgrado da decenni calamita naturale dei peggiori difetti dell’anima di questa affascinante e ambigua città. Forse auspicarsi un ritorno alla normalità è impossibile, e il Calcio Padova e i suoi tifosi si sono condannati alla costante precarietà dei loro stati d’animo. Forse, paradossalmente, la stabilità la si trova nello spirito di coloro definiti instabili per natura, gli ultras. Quelli che fanno collette benefiche per il reparto di pediatria e vanno in 166 a Lecco, 472 km tra andata e ritorno, a vedersi una sconfitta in Serie C. E pazienza se sui giornali locali (e non) ci finiscono solo per motivi meno edificanti.
Loro se ne fregano, birra in mano, cappello calato in fronte e un sorriso a metà tra l’ironico e il disincantato. Forse sono loro ad aver compreso meglio di tutti il senso di noncuranza con cui Cristo portava la bandiera crociata. Forse è quello lo spirito da contrapporre alla presunzione, al protagonismo, all’incompetenza e alla stupidità che presto o tardi inglobano un’enorme fetta di coloro che, siano politici, giornalisti, dirigenti, allenatori, calciatori o semplici tifosi, speculano sulle vicende di una squadra tanto affascinante quanto schizofrenica.
Ci piace pensare che il nostro Santo, distogliendo lo sguardo dalle problematiche gradinate accanto a lui, sorrida meravigliandosi della genuina passione aggregativa e senza troppe pretese che sta alla base di questo gioco, sapendo che è la via maestra, se non l’unica, per creare qualcosa di degno di essere ricordato e tramandato.
Si ringrazia il Calcio Padova per la disponibilità, in particolare il presidente Alessandra Bianchi e il responsabile del marketing Carlo Franceschi.
Immagine di copertina: la festa per i 110 anni del club, ripresa dall’alto, in Prato della Valle. 29 gennaio 2020