Linguisticamente parlando, er sercio è l’evoluzione romanesca del “selcio”, da “selce” – la roccia sedimentaria composta di silice che dà vita ai sampietrini, caratteristici del lastricato nel centro storico della capitale. Ma il vocabolo in città è usato praticamente da tutti in un altro senso, calcistico-culturale, per definire una peculiare caratteristica del pallone da gioco: il sercio è il pallone marcio, pesante, possibilmente rovinato, usurato dal tempo e dal terreno (in senso letterale) di gioco.
Per estensione, l’espressione è talvolta utilizzata anche in riferimento al calcio dei grandi, quello dei professionisti, per indicare un tiro particolarmente deludente: «j’ha tirato ‘n sercio». Nata nei peggiori campi sportivi della campagna laziale e del suo capoluogo, la parola “sercio” indicava originariamente il pallone protagonista delle partite provinciali, belle cattive, rissose e poco leali.
Ce lo vedete voi un incontro di 2a categoria disputato con un Nike o un Puma di ultima generazione? Noi no, eppure è esattamente ciò che sta accadendo oggigiorno – in linea con uno sviluppo del calcio semi-professionistico italiano che, povero di talenti, si illude di crearne costruendo campi in sintetico e dotandosi di palloni all’ultima moda. E così, se ancora sopravvivono i vecchi spogliatoi sudici e militareschi, lo stesso non possiamo dire dei palloni: gonfi al punto giusto, di ultima generazione (qualsiasi cosa voglia dire), leggeri, puliti. Tutto il contrario dei vecchi e cari palloni di provincia: sporchi, pesanti, terribilmente logori, taglienti.
Il pallone è tuo amico, il sercio no.
Un po’ di storia. I primi palloni del football delle origini, siamo quindi in Inghilterra, vennero prodotti utilizzando la vescica di maiale, un materiale che serve oggi più che altro ad avvolgere i salumi, dando loro la tipica forma cilindrica. Quando però nacque ufficialmente la First Division, le aziende Mitre e Tomlinson cominciarono ad utilizzare la pelle di mucca ricavata dalla groppa – il dorso, tra i lombi e la coda – o dalla spalla. Parti durissime, solide e potenzialmente infrangibili. Certo, ci sarebbe poi da aprire un discorso parallelo sul coevo materiale degli scarpini: ma dal colpo di testa non si scappa – e voi, vittime del sercio, forse ne sapete qualcosa.
Ecco, magari il nostro pallone non sarà stato quello di cuoio ottenuto con vescica di maiale o groppa di mucca, ma misto alla terra, al fango, alla pioggia e alla sabbia subsahariana provocata dalle pessime condizioni del terreno di gioco d’estate, simil-pietroso, anche il nostro caro e poco amato sercio faceva la sua porca (ops) figura.
Chi scrive e chi legge è cresciuto utilizzando il pallone con le cuciture. Diciamolo meglio: con i 32 pannelli impermeabili, 12 pentagonali e 20 esagonali, realizzato per la prima volta dai danesi della Select – non a caso i Vichinghi arrivano da quelle zone del mondo. Resa celebre dai Mondiali del 1970 in Messico dall’Adidas, col nome di Telstar, la configurazione del pallone non cambierà più fino al 2006, quando verrà abbandonata la forma a 32 pannelli. Attenzione però perché la storia ufficiale è una cosa, quella ufficiosa è un’altra. Fino a pochissimi anni fa (5 per l’esattezza) chi scrive ancora giocava con il sercio, il pallone coi pannelli e le cuciture: il progresso del calcio provinciale è illusorio, grazie al cielo.
Il vero punto della questione, diciamocelo, è tecnico. Osservando i ragazzi di oggi giocare a calcio, un po’ tra il terreno di gioco in brillanti – anche troppo – condizioni e un po’ tra l’equipaggiamento da Serie A, non possiamo non notare una difficoltà sempre crescente nel controllo della sfera, nel tocco di prima, nella giocata di qualità. Siamo convinti, anzi, che il sercio abbia proprio questa, di non-voluta conseguenza: educare al gioco del calcio, alla tecnica. Perché controllare e calciare un pallone leggero è un conto, farlo con un sercio è tutt’altra questione. È questione di un calcio che, lo vogliamo o no, sta scomparendo. Magari in futuro avremo talenti angelici, che si muovono su una nuvola, ma quanto avremmo bisogno di talenti istintivi!
foto di copertina: Nostalgia Futbolera, Chelsea 1955