Che il gioco del calcio stia diventando, o meglio sia diventato, sempre meno giuoco e pure meno calcio, lo si è capito da tempo. La perdita di sacralità, di rituali, di vita, di casualità, di emozioni, di umani errori, di umana giustizia. E sarebbe sbagliato cercare la causa di ciò fuori dal giuoco, quando gli stessi attori del calcio si sono immedesimati in carnefici e artefici. Ma gli attori, quelli incapaci di improvvisare, recitano copioni, non importa scritti da chi. E a scrivere copioni, oggi, è chi tiene in mano i fili dei burattini: sponsor, FIFA, TV.
Questa è la premessa, ma non perdiamoci per strada il punto dell’articolo: raccontare l’ultimo dei deliri del carnefice, vale a dire il nuovo pallone che rotolerà sui campi di Euro 2024 in Germania, il Fussballliebe firmato Adidas.
È stato quasi impossibile trovare, se si eccettua i lidi che mi ospitano, un articolo, uno scritto che provasse almeno a stigmatizzare o a porsi qualche dubbio in merito. Il Fussballliebe sarà, riporto dal sito della FIGC, «un pallone sempre più tecnologico, in grado di integrarsi con l’intelligenza artificiale per le decisioni degli ufficiali di gara, tecnicamente sempre più adatto a garantire la migliore aerodinamica e favorire così un gioco veloce e preciso, realizzato con materiali bio-sostenibili».
Sì, avete capito bene, un pallone che è bio-sostenibile (fabbricato da mani sottopagate s’intende, con materiali quali canna da zucchero e fibre di mais, caso mai durante la partita a qualche interprete venisse fame) e che si integra con “l’intelligenza artificiale”,ossimoro che tanto fa eccitare nerd e poveri di spirito.
Sempre dal sito della FIGC: «potrà inviare dati che, combinati attraverso l’intelligenza artificiale alla posizione dei giocatori, alimenteranno la tecnologia del fuorigioco semi-automatico e permetteranno di identificare ogni contatto con la palla, come sui tocchi di mano e i calci di rigore». Meraviglioso vero? Ma la meraviglia si tramuta in hybris quando si traduce il nome che han scelto per tale pacchiana mostruosità. Fussballliebe, difatti, s’intende come “amore per il calcio”, che se non fosse involontariamente comico, sottolinea ancor di più in che mani (e menti) siamo finiti.
Ho riportato, mio malgrado, il virgolettato dal sito della FIGC perché tra tutti quelli che han dato il lieto evento, mi son sembrate le parole più sobrie. Ben più esaltanti ed esaltate quelle di Gazzetta dello Sport o di altri anfratti sui social, con terrificanti emoticon a rimarcare la “meraviglia” e sempre (dico sempre) sottolineando e risottolineando la presunta “sostenibilità” della sfera. “Sostenibilità”, altra panacea che vorrebbe rendere commestibile e digeribile qualsiasi nefandezza e idiozia impostaci, che si tratti di un bombardamento a tappeto o del cibarsi di mosche e blatte.
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In entusiastici termini simili, d’altronde, tanti si esprimevano anche mesi fa, di fronte alla foto dei nuovi palloni “Al Rihla” (pensati dall’Adidas per i Mondiali in Qatar) in carica, collegati a batterie come fossero smartphone. Il tutto perché affinché i dati venissero «inviati in tempo reale dai sensori a un sistema di posizionamento locale (LPS), che comporta una configurazione di antenne di rete installate intorno al campo di gioco che raccolgono e memorizzano i dati per un uso immediato» (parola di Maximillian Schmidt, ad della società, KINEXON, che aveva prodotto i sensori. Di fronte a ciò si era chiesto Marco Ciriello:
«Che cosa si fa in questi casi, quando le certezze si incrinano? Quando si vede un pallone attaccato alla corrente come un telefonino?».
«Nel dubbio c’è il filo. Dove prima c’era solo aria e sogni, ora ci sono i sensori di movimento a 500Hz: tracciano la posizione, l’impatto e il movimento a 500 fotogrammi al secondo. Dove prima c’era la magia ora c’è la tecnologia, dove prima c’era l’errore ora c’è il dato. Dove prima c’erano solo palloni, ora ci sono palloni elettrici, come le pecore di Dick, chissà se sognano androidi? Chissà chi lo sa. È la differenza che passa tra uno stregone dell’Amazzonia e un radiologo: entrambi possono avere poesia, ma lo stregone un po’ di più». Ancora:
«Ed ecco la voce del cinico invocare la giustizia del gioco, la limpidezza del fotogramma, l’assolutezza della prova».
«Ma con questo pallone non ci sarebbe la mano di Dio e nemmeno Dio stesso, che vive nel fraintendimento, nella speranza, nell’oscillazione tra verità e menzogna, tra il visto e non visto, nella leggenda dell’impossibile che va dalle tenebre di Omero al canto di Victor Hugo Morales passando per il Vangelo secondo Matteo. Ora c’è la spina, l’elettricità, la tecnologia, il futuro. Peccato che un tempo, il futuro, la corrente, la luce, fossero il nome di un ragazzino nero, Edson (l’inventore della lampadina) Arantes do Nascimento, che portava la luce sui campi senza bisogno del filo».
Cosa rimane o cosa rimarrà, in tutto ciò, del giuoco del pallone? Poiché questa non sarà di certo l’ultima croce conficcata nella bara, c’era una volta il cantafiabe dirà e un’altra mostruosità comincerà. Quindi, cosa rimane da salvare? Forse il tifo, finché sarà concesso o permesso e financo non selezionato, forse le partite delle categorie inferiori, dove non arrivano ancora i tentacoli del VAR e dell’illusione del controllo. Forse quello nei campetti di periferia o negli oratori. Forse quello nei paesi meno intaccati dall’inarrestabile marcia del progresso.
Per riavere il nostro caro vecchio calcio, bisognerebbe partire da una delle tante rivoluzioni possibili, perché non ci hanno tolto solo il calcio ma molti altri aspetti, umani e fondamentali della nostra esistenza, della nostra vita. Pensateci un momento. Gli stessi tifosi nei bassifondi dei social tutti (o quasi) sembrano come infatuati dalla tecnologia, dal VAR e da queste violente illusioni che si ammantano di verità, che pretendono di possederla ma che non la sfiorano nemmeno per sbaglio. Anche se ogni tanto, dal mondo del pallone, qualche voce fuori dal coro s’ode, come Pulisic:
«Bisognerebbe eliminarlo completamente. Se una decisione va a tuo favore lo ami, altrimenti lo odi, ma in generale credo che il calcio sia migliore senza il VAR. Questa è solamente una mia opinione».
E giusto per attirarmi ancor più le simpatie dei lettori, per voci fuori dal coro intendo anche personaggi come Allegri, rimasto uno dei pochi “Mister” in un mondo di “coach”. E, senza bisogno di disegnini, sono i “Mister”, quelli che hanno a cuore i propri giocatori come figli, come nell’ultimo degli oratori, che hanno più possibilità di salvare il salvabile rispetto ai “Coach”, maniaci del controllo e che, tablet alla mano, muovono pedine e non esseri umani alla ricerca del massimo grado di efficienza calcolabile.
Ma qui si aprirebbe un’altra parentesi, di un altro capitolo, di un’altra storia – certo strettamente collegata alla nostra. Stanno pian piano trasformando il calcio, da gioco ad intrattentimento, da gioco a calcolo; dal regno dell’imprevisto (copyright Galeano) a quello della ‘giustizia’, del necessariamente prevedibile. Ora hanno cominciato pure a sgonfiare il pallone, e non vedo come si possa gioirne. Il tutto, poi, per “amore del calcio”, dato che controllano anche il linguaggio. Fino a quando, per amore e soprattutto per non sbagliare, ci voteremo all’intelligenza artificiale pure noi. I dati, già ce li hanno.