Eravamo felici e non lo sapevamo. É il ‘62, muore Marylin Monroe e nei cinema esce Il Sorpasso, la Penisola è inebriata di benessere, il miracolo durerà ancora qualche anno, e alle pinne, fucile ed occhiali sta per aggiungersi un totem dell’estate italiana. Quando Amarildo, Zito e Vavà mantengono la Seleçao sul tetto del mondo, Stefano Seno – operaio della Mondo S.p.A. – ha una illuminazione: sotto ogni campanile, su ogni spiaggia, in ogni giardinetto un bambino deve poter dare calci ad un pallone. Nasce così il Super Santos, e noi sempre grati saremo al signor Stefano.
Edicole, tabacchini, ambulanti: con qualche lira si otteneva questo arancio pallone in pvc, pieno di striature nere in bassorilievo, a ricordare un calcio che non avevamo mai visto. Il pallone dei piccini, cittini, putei, pischelli o piccirilli, dall’Alta alla Bassa Italia, ovunque masnade di giovanotti alzavano collette per comprare la sacra sfera ed imbastire tedesche o partitelle che duravano da mezzogiorno al tramonto.
Il pallone dall’aerodinamica infame, ch’era meglio tirar di punta perché di collo non eri padrone della traiettoria, ed erano subito strilla e urla iraconde dalle anziane signore intorno. O nei cortili di scuola, dove due zaini sono una porta, e le suore attendono speranzose di bloccare la palla del peccato. Quando finiva nel giardino del vicino, o sul terrazzo del ragioniere, ed era subito un ‘signoreeee, pallaaaa’ per riaverla con sé.
Il pallone che infrangeva vetri e spaccava vasi, che tamburando un muro rompeva il suono delle cicale a fine giornata.
Quando disturbava i sonni dopo pranzo la domenica, o si incastrava tra i rami inarrivabili di un pino. Il pallone che se si bucava erano lacrime di dolore e rapide raccolte di capitale per comprarne di nuovi. Spesso sotto le marmitte, che per recuperarlo ne uscivi fumo di Londra. Il pallone delle ginocchia sbucciate, e del resto che mamma ti aveva promesso.
‘E mo vo’ buco sto pallone’ e non lo bucavano mai. Il pallone di quando eravamo tutti amici ed andavamo al mare insieme. Ustionante lo trovi sempre nel fondo di un cofano, come chiamiamo il portabagagli noi al Mezzogiorno, ed è subito mundialito. Quando bagnato si impana di sabbia, sole arancio sullo sfondo blu profondo del mare nostro.
Il pallone che se la corrente lo portava via sfidavi la sorte per recuperarlo, che irrompe in una piazza di paese l’estate quando le signore si mettono uno scialle e mangiano le fragole con la panna. Pallonata che fa cadere il gelato di lui con lei che ride divertita. Il pallone che batte il ritmo di un cinema all’aperto, che accompagna la musica di un complessino sul lungomare. Due palleggi tra il puzzo di nafta mentre aspetti i traghetti che ci portano sulle isole.
Il ‘non casca mai’, il pallone dello schiacciasette a mezzobusto vicini alla riva.
Il pallone che giace sull’erba verde mentre fai i compiti dell’estate, la nonna che stoppa di suola con la cucchiara in mano perché è pronto. Il pallone che ci univa, che ti toglieva l’imbarazzo di parlare con le bambine che potevano star altrove ma eran lì sulle panchine mentre la battaglia per vincere la tedesca imperversava. Uno specchietto rotto di una vespa e il proprietario che non se la prende.
Il pallone sulla battigia con le onde tenui di fine agosto, il pallone dei giorni che passano pigri e lasciano in bocca il gusto del sale. Quello che resta sotto il sole, che si sgonfia e diventa cuscino sotto l’asciugamano per finir comodi la settimana enigmistica. Il pallone che oggi, a trent’anni, faccio di tutto per intercettare se a giocare sono sempre loro, i bambini. É il Super Santos, il pallone dell’estate italiana.