O insegnate loro come usarli.
A distanza di qualche giorno dalla sciagurata diretta su Twitch di Luis Alberto, è arrivata anche la Instagram Story del Papu Gomez che, con una condivisione a dir poco inaspettata, ha ufficialmente (ri)aperto il caso della frattura (ormai certa) con Gasperini. Detto altrimenti: con un solo clic, due pedine fondamentali della Lazio e dell’Atalanta hanno messo a repentaglio un rapporto basato sul lavoro quotidiano, su stagioni giocate a grandi livelli, sulla stima reciproca. Soprattutto: hanno preferito mostrare il volto-senza-volto dei social anziché affrontare direttamente il problema.
D’altra parte lo stesso Luis Alberto, multato e richiamato da Angelo Peruzzi, che ha rischiato di rimetterci la pelle mettendoci la faccia (non il cellulare), ha deciso di “scusarsi” con un video-messaggio, tanto con la società quanto con i tifosi della Lazio. Niente di più ridicolo. Eccolo, il meraviglioso mondo dei social. Eccoli, i calciatori professionisti.
Nessuno può vietare ai giocatori di utilizzare Instagram, Facebook e Twitter (come De Paul, che ha annunciato e poi “cancellato” un tweet di addio all’Udinese nell’arco di qualche minuto questa estate). Il problema, semmai, si pone al contrario: come devono utilizzarlo le società? Andiamo verso comunicati stampa su Instagram, acquisti di mercato tramite amicizia Facebook? Al di là della singola situazione tra Gomez e Gasperini, ad inquietare è il modus operandi del Papu. Come è possibile, dopo tutti questi anni, cancellare tutto con una storia di instagram? Evidentemente non si può: eppure questo è il messaggio che passa.
L’incredibile potere dei social: risolvere nell’immediatezza di un click un rapporto che dura da anni. Da Papu a Luis Alberto. Per non citare che due casi recenti e clamorosi. Il calciatore del futuro dovrà essere influencer. Ma è proprio necessario far entrare nei social certe dinamiche lavorative? Possiamo ancora definire da professionista un comportamento del genere? E allora viene alla memoria l’episodio di Maestrelli, che in una delle memorabili partitelle del venerdì Lazio contro Lazio (correva l’anno 1973), vide gli animi più accesi del solito, e anziché mandare tutti a casa decise di chiudere i 22 nello spogliatoio, girando la chiave dall’esterno:
“Adesso chiaritevi. Quando avete finito, bussate e vengo ad aprirvi”. L’innocenza (e la legge) dello spogliatoio l’abbiamo persa anni fa. Ma il peggio deve ancora venire.