Reportage sui Grobarski Trash Romantizam (GTR), tra fede, arte e cultura.
Cielo grigio ferro, realtà cosmopolita travolgente, fiume in piena di giovani, taglia alta, portamento altero, facce di tutti i tipi, caffè pieni di fumo, convinzione profonda di rappresentare il centro del mondo, ossessione della memoria. Quando le parole vincono il tempo e fotografano cosi vividamente la realtà che ci si trova di fronte, sarebbe delittuoso non servirsene per mettere nero su bianco quella sensazione viscerale di autenticità che Belgrado lascia nello stomaco, come primo impatto, a chiunque sia di passaggio – o intento a fermarsi – tra le sue vie.
Ci perdonerà allora Paolo Rumiz, scrittore e giornalista triestino, se prendiamo spunto dalla descrizione della sua prima visita nella capitale serba, datata 1986 e raccontata in un capitolo del libro Maschere per un massacro. In poche righe, l’autore prosegue in una lucida comparazione con la “nostra” società di allora, per arrivare ad una conclusione spaventosamente valida a distanza di quasi quarant’anni: siamo un mondo di cellophane, senza radici, che ha dimenticato la storia.
Conoscere la propria storia significa essere in grado di comprendere i valori fondanti della propria società, informare il proprio comportamento verso la gente che ci circonda di un rispetto basato su comuni esperienze pregresse, affinché mattone dopo mattone si vada formando un’identità condivisa. La metafora non è casuale, la storie che stiamo per raccontare non hanno bisogno di carta stampata per essere tramandate e rinvigorire una comunità da preservare, bastano i muri di quei palazzi belgradesi dagli stili tanto diversi quanto affascinanti, la cui varietà testimonia i trascorsi e le sofferenze del paese.
Camminando per le vie Dorćol, storico quartiere centrale della capitale e attuale roccaforte del tifo Partizan, è impossibile non imbattersi nei lavori del gruppo artistico Grobarski Trash Romantizam(GTR), la cui voce fuori dal coro, rimasta appositamente nell’anonimato, ha un chiaro intento: far riecheggiare in eterno la storia della polisportiva bianconera, affinché il klub rimanga una Tradizione di Famiglia, come recita il murales in italiano che campeggia in via Kralja Petra, perché “Život je kratak, umetnost lepa, a Partizan večan” (La vita è breve, l’arte bella, e il Partizan eterno).