Ritratti
03 Aprile 2023

Alexandre Pato, dall'alba al tramonto

Un predestinato, passato presto dalla rivelazione al calvario.

“Me li ricordo ancora gli applausi, me li sento ancora nelle orecchie e me li porterò dietro per tutta la vita”. È la frase di un appesantito Jake LaMotta, all’inizio del film ‘Toro Scatenato’ di Martin Scorsese, che ci riporta inevitabilmente alle parabole di numerosissimi sportivi. Scrollando il profilo Instagram di Alexandre Pato non può che assalirci una certa amarezza. Il crack dei primi anni 2010 oggi è svincolato, e sfoggia un sorriso smagliante mentre cerca di recuperare dall’ennesima operazione al ginocchio. Osservando le foto del Pato trentatreenne più che un calciatore di successo viene in mente proprio il vecchio e malinconico boxeur ritratto da Scorsese.

Proprio 12 anni fa, il 2 aprile del 2011, Pato sigillava con una doppietta all’Inter il diciottesimo Scudetto rossonero. Dopo soli 43 secondi dal fischio d’inizio il brasiliano aveva già insaccato il gol dell’uno a zero alle spalle di Julio Cesar, mandando in delirio il pubblico di San Siro.

“Ero arrivato in cima alla montagna, e son finito a valle”.

Sono le parole di Pato in un’intervista rilasciata qualche anno fa alla Gazzetta dello Sport, dove ammette candidamente: «Mi mancano l’Italia e gli italiani, il calore dei tifosi. Mi piacerebbe tornare al Milan e Maldini lo sa: sarei pronto». Non è certo stata la prima né l’ultima dichiarazione d’amore di Pato al suo Milan. Le voci di un ritorno del Papero sono diventate al contrario negli anni passati un leitmotiv delle sessioni di mercato rossonere.

Ad ogni tentativo di rilancio del brasiliano contestualmente è corrisposta una sua candidatura alla dirigenza del diavolo. Era successo ad esempio durante il periodo al Villarreal, con un’intervista rilasciata a Sky: «Sono innamorato di Milano e dei rossoneri, non potrei dire di no ad un ritorno». Era successo anche dopo la rescissione di contratto con il San Paolo. Poi durante la parentesi a stelle e strisce. E infine circa un mese fa dopo l’addio all’Orlando City. Un vero e proprio chiodo fisso che angoscia la mente del brasiliano, il rimpianto degli applausi di San Siro, ancora nelle orecchie, e che probabilmente lo tormenteranno per tutta la vita.


Pato, un bravo ragazzo


Come nelle migliori pellicole di Martin Scorsese, l’ascesa di Pato è bruciante, tanto quanto è stata rovinosa la caduta. Una carriera ad alti livelli vissuta ad una velocità folle, come quella che il brasiliano riversava sul rettangolo verde. Ma se le storie del cineasta italo-americano si svolgono spesso nel cuore pulsante del mondo, New York, la storia del Papero inizia agli antipodi.

pato milan

L’ascesa di Pato è bruciante, tanto quanto è stata rovinosa la caduta.


Pato è figlio della provincia brasiliana, quella profonda e rurale. Se guardate dal satellite il Brasile di notte noterete in primis la grandezza di quello che è il quinto stato più grande al mondo, e in secondo luogo che le luci sulla mappa, quelle che emanano i grandi centri urbani, si concentrano in pochi punti lungo la costa, lasciando un enorme spazio buio nell’entroterra. Nello sconfinato spazio buio si trova Pato Branco, cittadina dello Stato del Paranà a cui Pato deve la sua nascita e il suo soprannome. Un agglomerato con poco più di 70.000 abitanti, noto per aver dato i natali anche a Rogerio Ceni, secondo calciatore con più presenze ufficiali della storia del calcio, ironico pensando alla carriera del suo concittadino.

All’età di 10 anni Pato si è già rotto il braccio per due volte, sembra un’altra beffarda coincidenza, ma in realtà è un tumore osseo e viene operato d’urgenza. L’anno dopo ha già lasciato casa, come nella migliore tradizione delle storie sudamericane abbandona il Paranà e attraversa il Brasile, direzione Porto Alegre. Lo fa sperando di trovare alla meta la sua maglia preferita, quella del Gremio; alla fine trova quella preferita da suo padre, la maglia dei rivali cittadini dell’Internacional. La lontananza dalla famiglia sarà nel corso della carriera un altro dei crucci del brasiliano, che dichiarerà:

Se tornassi indietro chiederei ai miei genitori di rimanere con me a Milano. Fossero stati sempre con me avrei avuto più sostegno”.

A Porto Alegre ricordano un ragazzo silenzioso, dedito al culto del gol e più che a quello della vita notturna. L’elevazione a campione nel panorama calcistico verdeoro è inarrestabile. Pato a soli 16 anni domina da capocannoniere il campionato brasiliano under-20, poi segna all’esordio nel Brasileirao, in Copa Libertadores e nella Coppa del Mondo per Club, battendo Pelè come marcatore più giovane della storia in una competizione ufficiale FIFA. Il dado è tratto, l’aereo per l’Europa è già sulla pista.

“Pato era già un potenziale campione a 16 anni, al tempo delle giovanili. Si vedeva che era diverso. Lui doveva imparare ancora quasi tutto. Ma aveva colpi. Forza fisica, bravo di testa, grande personalità”.

Paulo Roberto Falcao


Predestinato


Il film ‘L’ultima tentazione di Cristo’ è uno dei più controversi della filmografia di Martin Scorsese. La pellicola reinterpreta la passione, mostrando un Gesù Cristo umano più che divino, che mal sopporta la sua condanna a Messia fin dalla nascita, con un’insofferenza che lo porta (quasi) ad abbandonare la sua missione.

defoe gesù
Il Gesù di Scorsese, interpretato da William Defoe

Pato sbarca a Milano a 17 anni e ha già il marchio del futuro campione. In patria parlano di un fenomeno, da Falcao a Dunga, e per lui il Milan sborsa la cifra più alta mai pagata per un calciatore minorenne. Il Papero entra nello spogliatoio della squadra più forte del Mondo, quella che qualche mese prima aveva alzato la Champions League, e lo fa da pari. A neanche 18 anni la sua maglia è fra quella di Ronaldo e quella del capitano Paolo Maldini, di fronte a lui ci sono i suoi eroi: Kaká, Dida e Cafu.

Carlo Ancelotti, dopo averlo ammirato nel Mondiale U-20, vede per lui già un futuro da Pallone d’Oro, ma c’è un problema: non può metterlo in campo. La precocità con cui il Papero arriva al Milan è tale che per tesserarlo Braida dovrà aspettare il mercato invernale, nell’attesa che il sudamericano compia 18 anni. Tuttavia il semestre d’attesa è terapeutico, e serve ad integrare perfettamente l’attaccante nel sistema milanista.

Infatti il 13 gennaio 2008 Pato per la prima volta si palesa a San Siro, e lo fa con un gol. Un pallone spazzato dalla difesa rossonera diventa buono per il brasiliano che, lanciato in velocità salta il suo avventore con un controllo al volo e insacca il gol del definitivo 5-2 alle spalle del portiere del Napoli Iezzo. Da lì in poi Pato è un fiume in piena, 9 gol alla prima esperienza in rossonero. L’anno seguente è già il capocannoniere della squadra.

Il gol di Pato all’esordio con la maglia del Milan. Controllo orientato da fuoriclasse, freddezza da veterano davanti a De Santis. Un gol impressionante

Il bravo ragazzo diventa toro scatenato, a volte ricorda la potenza del Fenomeno, altre l’eleganza aristocratica di Kaká. Pato passa da 0 a 100 in mezzo secondo, e lo fa mantenendo sul pallone un controllo magnetico. Il dribbling, marchio di fabbrica della casa, non è un dribbling tecnico quanto un gesto rapido, in controtempo rispetto alla mente del difensore, che quando mette il piede vede già sfilare accanto a sé il brasiliano. Con l’imminente tramonto degli “eroi dell’albero di Natale” Pato diventa il Messia venuto per salvare il Milan e dare il via all’era post-Ancelotti.


Pato, Re per una notte


La consacrazione arriva nell’anno dello Scudetto. Nella stagione 2010/11 Pato si assesta alla spalle di Zlatan Ibrahimovic come il secondo marcatore del Milan con 16 gol complessivi, compresa la pesantissima doppietta nel derby Scudetto contro l’Inter. Il 13 settembre 2011 il Milan affronta al Camp Nou il Barcellona di Guardiola, senza dubbio la squadra più forte del momento ed una delle compagini migliori dell’intera storia del gioco. Dopo appena 20 secondi dal calcio d’inizio Pato brucia tre difensori blaugrana all’altezza del centrocampo, 4 secondi dopo il pallone è in rete, il Camp Nou blaugrana ammutolito e Pato, per una notte, è Re.

Quella che però sembra la notte della rivelazione diventa l’inizio del calvario.

Dalla notte di Barcellona fino alla fine della stagione il paranaense metterà piede in campo appena altre 15 volte fra Serie A, Coppa Italia e Champions League. È l’inizio un incubo, di un’infinita valle di lacrime costellata da fibre muscolari rotte, lacerate, infiammate. L’uomo che doveva segnare l’alba della Terza Repubblica del Milan di Berlusconi invece ne decretò il tramonto.


Icaro


Una crescita muscolare esponenziale, esagerata. Sette kg di muscoli in quattro anni, questa è la radice della caduta di Pato. L’enfant prodige, Peter Pan, il bambino arrivato dal Brasile ha perso la sua candida innocenza, il suo talento spontaneo; è stato trasformato a tavolino da Milan Lab, corrotto dalle esigenze del calcio moderno, muscoloso e muscolare. I suoi muscoli si sono rivelati attrezzi del mestiere tanto potenti quanto fragili. Il fisico del brasiliano non ha retto, nelle ultime due stagioni in rossonero Pato disputa appena 25 partite, di cui gran parte solo per pochi minuti. È il secondo atto della tragedia, quello dove il velo si alza e si rivela la catastrofe.

Come Icaro che per arrivare al sole è morto in mare, le ali di cera costruite per Pato da Milan Lab si sono sciolte sul più bello.

È anche la tragica fine degli antieroi scorsesiani, mafiosi, broker, sportivi, che assaporata la grandezza ne fanno indigestione, fino a strozzarsi. Schiacciati dalla volontà di potenza. Infine come per Jake LaMotta in Toro Scatenato, come per Asso in Casinò, come per Henry Hill in Quei bravi ragazzi, è una donna a dare a Pato il colpo di grazia. La figlia del capo, rampolla di una delle famiglie più ricche d’Italia ed erede designata dell’impero sportivo paterno, la femme fatale di Alexandre Pato è Barbara Berlusconi. La relazione fra l’attaccante brasiliano e la terzogenita del Cavaliere inizia nel 2011 e termina 2 anni dopo, in seguito all’addio al Milan del brasiliano.

Gli infortuni e le sfrenate voci del gossip meneghino consumano la carriera del paranaense, che dalla notte catalana in avanti diventerà un fantasma con la palla fra i piedi. Il concetto di morto che cammina applicato al calcio, un giocatore finito, in pensione da oltre un decennio, ridottosi a svernare oltreoceano già a partire dai 24 anni. Fa specie pensare che oggi Alexandre Pato ha appena 33 anni, l’età di Bale, di Jordi Alba, di Thomas Muller, di Aubameyang, giocatori ancora di primissima fascia fino a poco tempo fa. Fa specie pensare a Pato, a quello che è stato, a quello che poteva diventare e a quello che invece è diventato: un talento fragile dentro quanto fuori, con gli applausi scroscianti della notte di Barcellona come un costante acufene.

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