Lettera d'amore a Pogba.
Caro Paul, scusaci. Persi tra mille inutilità e fagocitati anche noi da questo nauseante e ripetitivo vortice di notizie, ti abbiamo tralasciato. Abbiamo permesso che il tuo epilogo fosse questo: un titolone sbattuto sulle prime pagine e poco più. Ti abbiamo etichettato, marchiato. Ti abbiamo reso carne da macello. Abbiamo permesso che i nostri pollici vincessero sulle nostre menti e abbiamo semplificato la complessità del reale, illudendoci come sempre di averla compresa. E così ti abbiamo messo da parte, come una cosa posata in un angolo e dimenticata.
Ma poi nel grigiore della nostra routine ci siamo ritrovati soli a pensare a te, a cosa sei stato e a cosa hai rappresentato. Il tuo primo gol al Napoli di sinistro, i tuoi dribbling, le tue acconciature stravaganti. Il tuo sguardo da bambino, la tua corsa, la tua classe. Tutto riaffiora in maniera convulsa, disordinata: immagini lontane ora ci sono vicine, consegnate per sempre all’eternità. E ci pervade un sentimento di angoscia: l’idea che probabilmente non giocherai più è un male che per noi ha il sapore di una condanna.
Leggi, approfondisci, rifletti. Non perderti in un click, abbonati a ULTRA per ricevere il
meglio di Contrasti.
Abbonati
Allora è vero: (forse) non vedremo più la tua tecnica nello stretto e la tua capacità di dominare spazi e avversari. Non assaporeremo più l’inebriante sapore di un tuo gol e non assisteremo più alle tue improbabili esultanze. Più di tutto, non saremo più testimoni di quella tua incredibile capacità di rendere ogni singolo gesto calcistico semplice e perfetto allo stesso tempo, atto irriproducibile e per questo inimitabile.
La verità è che in noi continuava a bruciare indomita una fiamma flebile. La speranza che potessi tornare quello di un tempo ci coccolava e rassicurava come la vista del mare all’orizzonte. E allora ti aspettavamo, perdonandoti ogni passo falso e ogni scelta sbagliata come un padre che da lontano guarda il figlio e chiude un occhio di fronte alla sua ennesima cazzata. Ci bastava qualche tua buona partita in nazionale per disabituarci alla tua assenza e per riporti nel cassetto dei sogni improbabili. In un posto che era soltanto tuo. E nostro. E che in fondo non eravamo pronti a chiudere. Avremmo continuato ad aspettare il tuo ritorno fino ai confini della razionalità, forse inutilmente.
A proposito di innocenza calcistica.
Perché eri uno dei pochi a essere in grado di aprire mondi e finestre nel vuoto mortifero del calcio moderno. Di quelli che creano nuovi spazi laddove non dovrebbero esserci e che rendono il calcio un’esperienza religiosa. Perché le tue non erano soltanto giocate, ma corpi erotici che elargivi per il campo e che noi non ci saremmo mai stancati di adorare. Tu a giocare a calcio come l’archetipo delle esperienze piacevoli, noi a guardarti per gustarci il sapore dell’oblio delle nostre vite. Tu e noi, ora vittime comuni di un destino che siamo costretti ad accettare nostro malgrado.
La tua carriera è stata un po’ come una storia universale, un amore giovanile che tutti hanno vissuto sulla propria pelle: le farfalle nello stomaco dell’inizio, le grandi promesse, le difficoltà di percorso. E un finale tragico. D’altronde si sa, i primi amori finiscono tutti così: ci si chiede se si amerà ancora e si lotta tra mille rimpianti. Mille se e mille ma, questioni irrisolte che mai troveranno una risposta. Un po’ come con te, Pogba. Eterno conflitto tra ciò che poteva essere e ciò che è stato. Eterno talento forse mai davvero espresso e per questo terribilmente nostro. Una storia comune per gente speciale. Una storia da dimenticare, da non raccontare, un po’ complicata. Una storia sbagliata.