Altri Sport
03 Marzo 2018

Per le Strade Bianche

Come può una competizione in dieci anni di vita diventare già un classico?

L’origine dell’epica si perde nella Tradizione: Gilgameš, i poemi omerici, il Mahābhārata non hanno un autore, non hanno un inizio. E non hanno nemmeno una fine, poiché parlano ancora oggi. Così si riconosce immediatamente un classico: dice cose nuove ogni giorno, ed è come se ci fosse sempre stato. È una storia che non si legge mai ma che si ri-legge sempre, per dirla con Calvino. È per questo motivo che le Strade Bianche di Siena sono diventate un classico istantaneo. La gara è un’evoluzione dell’Eroica, la cicloturistica con strade sterrate, biciclette e abbigliamento d’epoca nata nel 1997 da un’idea di Giancarlo Brocci che ha unito attorno a una passione storica e attuale migliaia di appassionati. Fondata nel 2007 la gara in linea per professionisti, fino al 2016 era parte del calendario europeo mentre dal 2017 fa parte dell’UCI World Tour; sotto direzione di Rcs Sport, ha da subito calamitato l’attenzione dei grandi campioni: già dalla prima edizione da WT nello scorso anno tutte le squadre del circuito erano iscritte e la cosa cosa accadrà anche quest’anno.

Per dare l’idea della difficoltà dell’ultimo strappo prima di Piazza del Campo.

 

Mauro Vegni ne ha fatto un disegno raffinato ed evocativo, unendo a 11 tratti di sterrato (63 chilometri sui 184 totali, pari al 34% del tracciato) veri e propri muri, strappi repentini sparsi per le colline senesi. Ormai consueto è partire e arrivare a Siena, dalla Fortezza Medicea a Piazza del Campo, costruendo un percorso dal paesaggio unico pronto a diventare un monumento al ciclismo epico in tempi moderni. Fin da subito ha attratto le stelle della bicicletta, e fin da subito è stata Storia: tre vittorie per Fabian Cancellara –  2008, 2012, 2016, a cui per la tripletta è stato intitolato uno dei settori di sterrato, il n. 6 -, due per Kwiatkowski (2014 e 2017), poi Zdenek Stybar, Moreno Moser e Philippe Gilbert tra gli altri. Se aggiungiamo i due secondi posti di Sagan, Van Avermaet e Ballan, e i due podi di Valverde, abbiamo chiaramente davanti una corsa dal tasso tecnico altissimo. Perché? Da dove viene la voglia di venire il primo sabato di marzo a pedalare sullo sterrato?

 

La terra di Siena si alza al passare della carovana dei corridori. Foto Rcs Sport

 

La risposta è semplice: ai ciclisti piace andare in bicicletta, e cosa c’è di meglio di una corsa che unisca lo sconnesso della Roubaix con i muri di Fiandra nel paesaggio italiano di fine inverno? Nulla. Nulla perché di fronte a confini del calendario che non esistono più, né come tempi né come distribuzione geografica, la possibilità di scontrarsi subito a inizio stagione in una competizione così evocativa non è scontata. La Strade Bianche ha riportato quell’epica che spesso tra radioline e misuratori di potenza sembra essersi persa per strada, con un agonismo eminente – diventando già successo importante da sfoggiare nel palmarès – grazie alla durezza del percorso, in combinazione con un pubblico esaltato più il paesaggio ineguagliabile e l’arrivo nel teatro di Piazza del Campo che è poesia già di per sé.

 

Cancellara in allungo su Brambilla vince la sua terza Strade Bianche, nel 2016. Foto di Tim De Waele

 

Quest’anno si preannuncia il solito e impronosticabile spettacolo: il parterre raccoglie la massima espressione del ciclismo moderno, con tutti i nomi già citati (a parte, per ovvi motivi, la Locomotiva di Berna) più la partecipazione di Vincenzo Nibali, in probabile supporto ai compagni, il vincitore del Giro n.100 Tom Dumoulin e la novità Wout Van Aert, pettorale 201 della Verandas Willems – Crelan: il tre volte Campione del Mondo di ciclocross classe ’94 ha già stupito su strada con la vittoria nel 2016 e il secondo posto lo scorso anno alla Schaal Sels, una classica dell’Europe Tour dalla storia quasi secolare che si tiene ad Anversa, in Belgio. Le sue doti gli permetteranno se non di giocarsela coi migliori certamente di dare spettacolo.

A chi obietta la noia di lunghe tappe di trasferimento o le volate desertiche di pubblico, rispondiamo con la Strade Bianche, la classica del Nord più a Sud del mondo. Dove, se non in Italia? Quando, se non in un momento di passaggio del ciclismo, da quello moderno a quello del futuro? Chi, se non i più forti di questa epoca? Italo Calvino, in “Perché leggere i classici” dice:

“I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura, nel linguaggio o nel costume che hanno attraversato”.

Questo è la Strade Bianche: un classico. Perché attraverso il suo percorso si può leggere tutto un secolo di ciclismo: questa corsa porta su di sé l’onere di inserirsi in una tradizione che, seppur ciclica, non è ripetitiva, con la vera idea di essere un monumento del ciclismo, tanto che per alcuni dovrebbe essere già inserita nelle “classiche monumento” propriamente dette, accanto quindi a Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Liegi-Bastogne-Liegi, Lombardia. Se non è – ancora – un monumento del, di sicuro lo è al ciclismo. Un manifesto di tutto quello che è lo sport della bicicletta, a tutto tondo: dal 2015 si corre anche la gara femminile (vinta da Elisa Longo Borghini nel 2017, dopo il terzo posto dell’edizione inaugurale) su un tracciato leggermente ridotto e il giorno successivo si celebra la Gran Fondo, giunta alla sua quarta edizione con più di 5000 partecipanti. La Strade Bianche è un trionfo per tutti, nessuno escluso.

 

In copertina, il gruppo è tirato da Matteo Trentin. Foto di Bryn Lennon – Velo/Getty Images

 

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