Uno Stato nello Stato, un'enclave sportiva separatista.
Secondo il professore di linguistica italiana Nicola De Blasi il termine “pezzotto” ha un’origine territoriale e temporale molto precisa: Napoli, anni ’50, le automobili avevano un numero di telaio stampato sotto al cofano e i ladri dovevano necessariamente sostituirlo per evitare problemi con la giustizia. Dunque l’asportazione del pezzo con su marchiata la matricola, e l’annessa saldatura del “pezzotto”, ovvero del nuovo pezzo marchiato con matricola falsa. Così facendo anche di fronte a eventuali futuri controlli l’auto rubata poteva passarla liscia, poiché identica alle vetture non rubate. Da quel momento il termine sarebbe rimasto a indicare tutto ciò che nel napoletano si considera contraffatto:
«Sarebbe cioè pezzottato qualsiasi prodotto su cui sia stato applicato un pezzotto, ovvero un’etichetta simile a quella originale».
Nicola De Blasi, “Nuove parole in città”
Nel resto d’Italia il termine non si era diffuso fino a una ventina d’anni fa, quando sono arrivate le pay-tv e con esse il calcio satellitare. Solo allora il Belpaese ha iniziato ad apprezzare l’arte napoletana del camuffamento, dotandosi delle famose schede Stream “con il chippone” e via via di soluzioni sempre al passo coi tempi per sborsare il meno possibile. E così il “pezzotto” ha mantenuto inalterato il suo significato ma afferendo a un campo semantico più specifico, ovvero quello della contraffazione di abbonamenti prima televisivi e poi, con l’arrivo di internet e del calcio in streaming, cibernetici.
Oggi le notizie di arresti che si susseguono ogni mese e in ogni parte dello stivale ci restituiscono l’immagine di un mondo iper-connesso e sommerso in cui la criminalità organizzata è entrata a gamba tesa, in combutta con misteriose aziende estere proprietarie di server che diffondono non solo partite di calcio, ma qualunque match sportivo e qualunque servizio di streaming (Netflix incluso) per la gioia di ben 2 milioni di pezzottisti (secondo i dati del 2020). Trattasi di un numero enorme se pensiamo che DAZN, a ottobre di quest’anno, aveva più o meno la stessa cifra di abbonati. E infatti la guerra allo streaming illegale è ormai una delle prerogative di Guardia di Finanza e Polizia Postale, che però devono fare i conti con la vacuità del web e l’impossibilità di rivalersi su un numero così impressionante di cittadini.
In questo contesto si sono diffuse leggende metropolitane come quella di “Eros”, o anche “Mistero della luce”, i due nickname con cui il molisano Franco Maccarelli aveva provato a mantenere segreta la sua identità mentre metteva in piedi, secondo gli inquirenti, il più grande network pirata di piattaforme televisive a pagamento: 5 milioni di utenti solo in Italia per un giro d’affari stimato in circa 60 milioni di euro annui. Dopo lo smantellamento nel settembre del 2019, il 42enne di Isernia noto alle cronache come “re del pezzotto” risultava solo un anno dopo ancora a capo di un’organizzazione simile, nuovamente sgominata con operazioni in contemporanea in ben 12 paesi europei.
Non abbiamo sue foto ma lo potremmo immaginare come “Bob Torrent”, il protagonista dell’omonima web serie con cui Maccio Capatonda già nel 2015 aveva provato a raccontare questa realtà sommersa, inventando una surreale Hollywood dello streaming, una casa di produzione dei “film che si scaricano”. Bob, il capo, non ricercava la qualità bensì lo schifo. Aveva una segretaria popputa che gli dava consigli tipo «doppiamo un film famoso in giapponese e lo sottotitoliamo in sumero», e mostrava al suo board sgangherato come girare “in buffering”, freezando gli attori. Era il “re dei film pirata” e infatti aveva una vistosa benda sull’occhio sinistro.
Del resto per decenni nel nostro Paese la narrazione del pezzottista e più in generale dello “smanettone” è stata un po’ questa, tra il grottesco e il criminale. Celebre a tal proposito lo spot TV “La pirateria è un reato”, andato in onda incessantemente e ovunque dal 2006. Col suo ritmo sincopato e diabolico traumatizzò un’intera generazione di giovani non pienamente consapevoli di essere dei pericolosi furfanti per via di quello Spider Man 3 scaricato da E-Mule, associando la pirateria a ogni tipo di furto («Non ruberesti mai una macchina», «non ruberesti mai una borsa»…). Il senso era chiaro: pure i pezzottisti erano ladri a tutti gli effetti.
La sua versione calcistica più famosa è stata “La pirateria uccide il calcio”, una campagna partorita nel 2019 dalla Lega che spiegava allo smanettone futbolista come il declino del suo sport preferito non fosse dovuto alle Supercoppe giocate in Arabia Saudita o in Cina, e nemmeno all’aver ridotto quella festa che era la Serie A ad un incessante spezzatino; non a competizioni improbabili come la Nations League o la Conference, non alle valanghe di milioni destinate a calciatori pagati pure per salutare i propri tifosi, al calcioscommesse che divora le serie minori, o magari alle guerre tra federazioni internazionali per ottenere sempre più potere. No, la campagna spiegava che lafine del calcio era dovuta al maledetto pezzotto.
Messa così, chiaro che le reazioni dei pezzottisti abbiano spaziato dalla rabbia allo scherno, con lo slogan “La pirateria uccide il calcio” divenuto suo malgrado una delle battute più utilizzate dai troll social ogni qualvolta il calcio moderno ha dato prova di scricchiolare.
Addossare tutte le colpe agli smanettoni del resto sembra azzardato principalmente per un motivo: leggendo qualche dato si scopre che potrebbero essere state le stesse decisioni delle nostre istituzioni ad aver avuto un effetto negativo sul proliferare dello streaming illegale. Non è un mistero, ad esempio, che le ultime assegnazioni dei diritti televisivi della Serie A abbiano fatto lievitare il numero dei pezzottisti: nel 2018 (l’anno dell’arrivo di DAZN in Italia) si sono registrati ben 22 milioni di atti pirateschi relativi a eventi sportivi live, con un clamoroso incremento del 52% rispetto all’anno precedente. Nel 2019 (l’anno della campagna “La pirateria uccide il calcio”) gli atti criminosi sono addirittura triplicati, arrivando a 69 milioni, per poi calare leggermente solo nel 2020 (57 milioni).
Segno che “obbligare” gli appassionati a sottoscrivere un altro abbonamento potrebbe non essere stata la strategia più efficace per invogliarli a sostenere la battaglia, pur sacrosanta, contro la pirateria. Se poi aggiungiamo gli stranoti problemi di trasmissione di DAZN e il contesto di una nazione da sempre refrattaria all’innovazione tecnologica, non ci si può stupire più di tanto della presenza ormai manifesta di una sorta di enclave separatista, strapaesana eppure collegatissima alle reti globali dello streaming illegale, che non teme di sventolare la bandiera del pezzottismo di fronte alle presunte malefatte degli operatori tv o dei potenti del calcio.
Sarebbe sbagliato considerarlo solamente un fenomeno folcloristico perché parliamo di una rete che, come detto, coinvolge circa 2 milioni di italiani. E sono a tutti gli effetti degli abbonati, perché i pirati hanno iniziato a utilizzare modelli commerciali paralleli a quelli delle piattaforme più conosciute. Riguardando un servizio delle Iene dell’ottobre 2019, ci si può stupire di come essi siano arrivati a considerarsi addirittura una valida alternativa ai principali operatori tv europei, con il proprio customer service e le proprie strategie di marketing. Un pezzottista pentito (e indagato) ad esempio dichiarava al giornalista Alessandro Di Sarno:
«ad oggi per i clienti è meglio il pezzotto che ha un servizio che parte subito appena accendi la televisione. Se si rompe l’antenna, SKY ci mette più di 48 ore a venirti a fare l’assistenza. E invece noi siamo lì pronti a rispondere, anche di notte».
Senza contare poi che in un solo pacchetto da circa 12 euro mensili viene offerto tutto lo streaming possibile e immaginabile (Netflix, Disney+, Amazon, Sky, Dazn), stabilendo una differenza di prezzo incolmabile e rappresentando un problema reale non solo per le tv legali e non solo da un punto di vista economico.
Quando infatti ben due milioni di persone scelgono deliberatamente di boicottare le trasmissioni ufficiali, sia dello sport più seguito della nazione che di tutti gli altri servizi in streaming, ciò non può che avere anche dei risvolti politici. DAZN ha potuto saggiare, ad esempio, il potere contrattuale del pezzotto tre settimane fa quando, di fronte alla fuga di notizie circa una prossima riduzione dei dispositivi utilizzabili per seguire uno stesso evento live (riduzione che avrebbe comportato la fine della possibilità di dividere le spese dell’abbonamento), gli stessi abbonati hanno iniziato a strizzare pericolosamente l’occhio alla tv illegale, minacciando la disdetta.
La situazione si è “risolta” con una convocazione d’urgenza dei portavoce dell’azienda da parte del Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, e DAZN ha infine fatto marcia indietro, mentre dal canto suo il MISE ha espresso la volontà di impegnarsi, anche a nome di tutto il Governo, per rafforzare gli strumenti contro la pirateria. Insomma, la partita è appena iniziata, e per adesso pare bloccata sul pareggio.