Un ricordo di Pietro Anastasi, nell'unico pomeriggio in cui Enrico Ameri cadde nel turpiloquio.
Quasi 45 anni fa, nella stessa domenica calcistica, avvengono due fatti consegnati alla storia. E sono entrambi concatenati l’uno all’altro. È il 27 aprile del 1975 e la Juventus si sta avviando a vincere il suo scudetto numero sedici. Quel pomeriggio al Comunale i bianconeri affrontano la Lazio campione in carica. Alla quartultima giornata del girone di ritorno i biancocelesti rappresentano per Causio, Bettega e gli altri forse l’ultima montagna da scalare prima del titolo.
Alla corte dell’avvocato Agnelli, la concorrenza in attacco non manca, dunque c’è sempre almeno una punta costretta in panchina controvoglia. L’allenatore è Carlo Parola, quello della celeberrima rovesciata che fa da copertina all’album delle figurine Panini. Parola è tecnico preparato ma forse non abbastanza fermo nel gestire i rapporti, complessi in verità, all’interno dello spogliatoio bianconero.
Anche quella domenica “Pietruzzo” guarda la partita tra le riserve.
C’è in particolare un attaccante con il quale il tecnico sembra proprio non avere feeling,Pietro Anastasi. Il risultato è quasi scontato: il tandem d’attacco con il maggior numero di presenze è Altafini-Bettega, con il giovane Damiani e gli esperti Causio e Capello a supporto. Eppure in qualsiasi altra squadra italiana Anastasi sarebbe titolare senza discussione.
Anche quella domenica “Pietruzzo” guarda la partita tra le riserve. Nello stesso momento in cui le formazioni di Juventus e Lazio scendono in campo per il secondo tempo parte la sigla di “Tutto il calcio minuto per minuto”. A quei tempi non esisteva la pay tv, dunque occhio non vede ma orecchio ascolta.
Enrico Ameri siede nella cabina RAI per commentare in diretta il big match della dodicesima di ritorno, mentre Sandro Ciotti è alle prese con il confronto casalingo del Napoli (principale inseguitrice della Juventus) contro l’Inter. Ma torniamo per un attimo in campo, anzi in panchina. Anastasi è seduto lì e si può immaginare quali pensieri lo attraversino. Lui, campione d’Europa all’età di 20 anni e goleador di razza, al quale viene preferito uno che è, sì, ancora un ottimo giocatore, ma che è ormai sul viale del tramonto, il 37enne José Altafini.
10° del primo tempo. Calcio d’angolo di Causio, testa di Altafini che sovrasta Oddi e palla in gol. Ed è proprio il gol del “vecio” a rendere i pensieri di Anastasi, se possibile, ancor più cupi. La squadra di casa spadroneggia su un’avversaria che sembra ancora in stato confusionale. All’allenatore Tommaso Maestrelli è stato riscontrato un tumore e ha dovuto lasciare la panchina al vice Lovati.
La notizia taglia completamente le gambe alla formazione romana, incapace di reagireal più nefasto degli eventi. Ma al di là di tutto, la Juventus è incontenibile e se il primo tempo si chiude sul minimo vantaggio per i bianconeri si deve all’imprecisione degli attaccanti. In particolare Bettega sembra avere la testa altrove e sbaglia un paio di gol davvero fatti. Ameri prende appunti e si prepara a commentare la ripresa.
Nel frattempo anche il primo tempo di Napoli-Inter termina 1-0 per la squadra di casa, come testimonia Sandro Ciotti. Alla fine del primo tempo Anastasi rientra con gli altri nello spogliatoio. Sono anni che vive al Nord ma è siciliano, catanese di nascita. Ha 7 fratelli e viene da una famiglia poverissima. Ha cambiato vita grazie al fatto di saper giocare al calcio. Viene scoperto quasi per caso da un talent-scout del Varese e la sua capacità di andare in rete fa sì che l’industriale Giovanni Borghi lo porti nella città lombarda.
È la fame che fa di Anastasi uno dei riferimenti non solo della Juventus ma anche della nazionale italiana, in anni in cui la concorrenza è spietata e i campioni al centro dell’attacco abbondano.
Un anno in serie B e poi l’esordio in A nel 1967, sempre con la matricola Varese. 11 gol stagionali (di cui 3 segnati proprio alla Juventus) e poi il passaggio in bianconero. Per molti Anastasi è una sorta di eroe proletario, lo stereotipo dell’emigrato che riscatta lontano da casa una condizione sociale, economica e quasi esistenziale. La verità è che la fame è fame, e che “Pietruzzo” ha la fortuna di avere una qualità per la quale si è pagati molto bene. E poi, l’attaccante la sua fame la trasferisce in campo: vuole farsi apprezzare, ma soprattutto smania per fare gol.
È la fame che fa di Anastasi uno dei riferimenti non solo della Juventus ma anche della nazionale italiana, in anni in cui la concorrenza è spietata e i campioni al centro dell’attacco abbondano. Nel palmarès non ci sono trofei internazionali di club, ma qualche particolare soddisfazione non manca. Per esempio è capocannoniere della Coppa delle Fiere nell’ultima edizione in assoluto, quella 1970/71. È sua l’ultima rete segnata (contro il Leeds) inun trofeo poi dismesso e che oggi l’UEFA non riconosce ai fini delle certificazioni europee.
Ma intanto le squadre sono rientrate in campo. La Juventus è in vantaggio per 1-0 sulla Lazio. Enrico Ameri ha messo la cuffia all’orecchio e il microfono è acceso. La Juventus continua a dominare una Lazio mai in partita, ma il gol della tranquillità non vuole arrivare. Nel frattempo il risultato di Napoli-Inter cambia in continuazione. Al 12° della ripresa Clerici, bissando il gol del primo tempo, porta il Napoli sul 2-0. Poi Mariani accorcia le distanze per l’Inter. A metà ripresa Braglia porta a due i gol di distanza, ma pochi minuti dopo Boninsegna porta il risultato sul 3-2.
Nemmeno a farlo apposta, tutte le volte che allo Stadio San Paolo c’è un gol, in quel momento Ameri sta commentando Juventus-Lazio. Motivo per cui Sandro Ciotti è costretto a interrompere regolarmente il collega, come da prassi di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Non c’è premeditazione da parte di Ciotti ma tanto basta per fare innervosire Ameri, il quale conclude la descrizione di un’azione della Lazio e poi ripassa la linea a Fuorigrotta. Il potenziometro del microfono a Torino non è chiuso e si sente in modo abbastanza nitido una frase stizzita:
“Ma come si fa a essere così coglioni?”.
Nel sentirsi apostrofato Sandro Ciotti ha un sussulto ma l’autocontrollo è sovrano. Un po’ perché è un professionista, un po’ perché i due, malgrado qualche scaramuccia ogni tanto, sono amici. Ameri si rende conto di essere stato ascoltato da milioni di ascoltatori e cerca di riparare dicendo di aver dovuto respingere un tifoso della Lazio, un esagitato, che stava cercando di entrare nella cabina RAI. È la prima e ultima parola fuori posto nella carriera di un narratore radiofonico che ha fatto e farà scuola per sempre.
Nel frattempo la partita di Torino prosegue con lo stesso risultato. Mancano 20 minuti alla fine e Parola fa segno ad Anastasi di togliersi la tuta. In teoria dovrebbe uscire Altafini ma Bettega è in giornata troppo negativa per rimanere in campo. Al 71° la sostituzione si concretizza e la punta catanese, numero 13 alle spalle, va a fare coppia con il vecchio José. La Juventus continua ad attaccare e Ciotti non ha più motivi per interrompere il collega. Napoli-Inter resta sul 3-2 e così finirà.
Una parolaccia in una carriera trentennale si può anche concedere (vista anche la “educazione” odierna)
Minuto 80, Anastasi è in campo e fino a quel momento ha toccato pochissimi palloni, a parte un tiro dalla tre quarti abbastanza insidioso. Ha meno di un quarto d’ora per creare “problemi” al suo allenatore. Con un’azione ubriacante, degna del miglior Garrincha, Causio, grazie anche a qualche rimpallo favorevole, semina tutti sulla fascia destra e punta l’area di rigore avversaria. Sul cross rasoterra all’indietro interviene Anastasi a centro area.
Anticipo pieno sul marcatore avversario, giusta torsione con il corpo e nulla da fare per il portiere Pulici. Per la parte bianconera del Comunale è una liberazione. Passano due minuti e Anastasi si ripete. L’azione parte da un calcio d’angolo. Su un cross dal fondo di Capello irrompe il numero 13, sempre a centro area. La conclusione è perfetta e imparabile. Sul primo gol viene preso d’anticipo Oddi, sulla rete del 3-0 il malcapitato è Wilson. Ma il meglio deve ancora arrivare. Passa poco più di un minuto e per il 13 è l’apoteosi.
L’esterno Viola, in campo con il numero 7 al posto dell’indisponibile Damiani, recupera palla in area avversaria su un incerto Re Cecconi e calibra un pallonetto che si stampa sulla traversa. Il primo ad arrivare di testa sul pallone è ancora una volta Anastasi e stavolta il pallone finisce sul palo. Sulla ribattuta è lo stesso centravanti a siglare il gol del 4-0 definitivo. Con tre reti segnate in poco più di 4 minuti e per giunta da subentrato, l’attaccante bianconero stabilisce un record mai superato e del quale non vi è memoria nella storia del campionato italiano. Un “unicum”, come la parolaccia di Enrico Ameri in quella stessa data.
L'Ajax è il romanzo della sfrontatezza che ciclicamente si ripete, di capitolo in capitolo: da Cruijff a De Jong, da Hulshoff a De Ligt, ma anche da Overmars a Neres e da Rinus Michels a Eric Ten Hag.