Ritratti
21 Ottobre 2023

Pinot, come il vino

Il ciclismo come lotta interiore.

Il ciclismo è uno sport di attesa. Intere giornate possono passare inesorabili prima che qualcuno decida di smuovere gli equilibri. I ciclisti coltivano la virtù della pazienza, nella speranza di trovare una tappa favorevole, un squadra adatta o uno spiraglio per un attacco. L’attesa è anche quella del popolo francese, portabandiera mondiale della pedalata, che negli anni si è visto sfilare davanti in maglia gialla ciclisti delle più disparate nazionalità. Dopo decenni di dominio francese è dal Tour de France dal 1985, anno dell’ultima vittoria di Bernard Hinault, che la drapeau tricolore non sventola sull’ultimo gradino del podio di Parigi. Un complesso radicato nella mente dei francesi e mai sanato: avere in casa la più importante competizione ciclistica ma nessun connazionale in grado di vincerla. Questo fino all’inizio degli anni 10.

Fino all’arrivo di Thibaut Pinot.

Thibaut Pinot è stata la grande illusione del ciclismo francese. Scalatore incredibilmente dotato, è stato un eroe imperfetto, fragile, incredibilmente umano nel tempo dello sport degli alieni, e questa è stata forse la sua grande colpa.

Pinot ha scelto di ritirarsi due sabati fa al Giro di Lombardia, la “classica delle foglie morte”, un nome malinconico e suggestivo per l’ultimo atto dell’eroe romantico della carovana. Ad accoglierlo lungo le strade di Bergamo si sono riversati oltre 2500 francesi. Proprio come sul Petit Ballon, la penultima salita del Tour 2023, dove Thibaut ha regalato ai suoi tifosi un’ultima illusione, transitando per primo in cima al colle prima di farsi riassorbire dal gruppo in arrembaggio guidato da Pogacar.

Un ciclista sicuramente dal carattere bizzarro, un antidivo assoluto, Thibaut rifugge dalle luci della ribalta, non vive a Montecarlo ma a Mélisey, cittadina francese di poco più di un migliaio di abitanti di cui il padre è sindaco. Dopo l’ondata di affetto ricevuto all’annuncio del ritiro ha dichiarato: Tutte queste congratulazioni, anche tra gli altri corridori, mi sorprendono molto perché nel gruppo, un po’ come nella vita, sono molto timido e un po’ selvaggio, è un peccato forse non aver legato con molti corridori perché sicuramente ci sono persone meritevoli”.

Il modo di fare all’apparenza burbero ma sincero e leale di chi dalle altre persone si è sentito tradito e disgustato. Ha denunciato a viso aperto il doping che serpeggia ancora silenzioso nella carovana, raccogliendo un assordante silenzio da parte dei suoi colleghi. “Pensavo che sarei stato un po’ più supportato, soprattutto dai ragazzi della mia squadra. Anche per questo posso lasciare questo ambiente senza rimpianti. Ho detto spesso quello che pensavo. Volevo aiutare. Non ho avuto nessun feedback. Quindi ora lasciatemi vivere la mia vita”.



La consapevolezza di una carriera combattuta contro sé stesso, i suoi dubbi, i suoi demoni, ma anche contro il marcio dello sport: “Quante volte sono arrivato secondo o terzo, sapendo benissimo, o avendo forti sospetti, che in realtà la vittoria era mia…”.

Pinot si rivela al mondo la prima volta al Tour del 2012. Ha solo 22 anni e con la maglia bianco latte della FDJ, la squadra che lo accompagnerà per tutta la carriera, stacca tutti sull’ultima salita dell’ottava tappa a Porrentruy, a pochi km da casa sua. Ancora più impressionante è però ciò che avviene qualche giorno dopo, quando il francese rimane l’unico a ruota di Chris Froome in cima a La Toussuire. “Non capivo perché fossi così forte. Ho pensato che qualcuno mi avesse dopato o di aver bevuto da una borraccia sbagliata. Mi dicevo che non era normale per me essere così forte alla mia età. Stavo cominciando a spaventarmi. Avevo battuto il record di scalata a La Toussuire, che apparteneva ad Alberto Contador”.

Delle dichiarazioni all’apparenza normali ma che già tradiscono i dubbi e le insicurezze del giovane Pinot.

Sembra sia nata una stella, e la Francia si stringe attorno al suo beniamino in attesa del grande momento. La piena maturità sembra arrivare nel 2018, e al Giro d’Italia Thibaut sembra poter essere l’uomo giusto per spezzare il dominio del Team Sky. Durante le prime settimane si attesta stabilmente nei piani nobili della classifica generale, in vista della stoccata decisiva sulle Alpi. Ma sul tetto d’Europa le prestazioni calano vertiginosamente. Alla penultima tappa procede boccheggiando, la bicicletta sbanda e tossisce continuamente mentre gli altri corridori gli sfilano di fianco. Riesce ad arrivare al traguardo con 45 minuti di ritardo, lottando stoicamente, ma all’arrivo la diagnosi è brutale, principio di polmonite. Pinot è così costretto a lasciare un Giro ormai compromesso, e perde la sua prima grande occasione.

Ma il dramma sportivo è appena iniziato. Lo schema si ripete un anno dopo, questa volta al Tour. Pinot è in forma ed ha una squadra all’altezza per sostenerlo fino alla maglia gialla. Alla quattordicesima tappa rivela a tutti le sue intenzioni e strappa una vittoria in cima al leggendario Col du Tourmalet. Mentre la carovana sta per approcciarsi ai Pirenei Thibaut è quinto in classifica generale, a poca distanza dalla maglia gialla. Ma all’alba della diciannovesima tappa ecco ricomparire la nuvola nera sulla testa del francese. Accusa un dolore improvviso alla coscia sinistra ed è costretto a ritirarsi fra le lacrime.

“Questa volta sentivo di potercela fare. Sui Pirenei avevo grandi sensazioni e mi sentivo in grado di vincere il Tour. Ero convinto che non mi sarebbe potuto succedere niente. Ora non lo sapremo mai. Ora, sono stanco, deluso, ci vorrà del tempo per digerirlo“.

Pinot blanc e Pinot noir. Picchi e picchiate. Un solo grande trionfo, quello al Lombardia del 2018. Paradossale per uno che ha tatuato sul braccio la frase: “Solo la vittoria è bella”. Non a caso però ha deciso di dare il suo addio al ciclismo proprio sulle strade lombarde, proprio nell’Italia che tanto gli ha dato sportivamente. Al Giro 2023, in piedi sui pedali, con la cerniera aperta e il respiro affannoso Pinot ha dato tutto per l’ultima volta, conquistando la maglia blu della classifica scalatori. Ha dichiarato: “mi è successo di tutto, non ho più paura di niente”. Il ciclismo è uno sport di attesa, e l’attesa ha logorato Pinot. Senza aspettative, senza pressioni il francese è ora riuscito a pedalare libero, con il suo intercedere impetuoso e ondeggiante, omaggiando fino alla fine la sua sfortunata carriera.

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Alexandre Roos, la firma più autorevole del ciclismo francese, di lui ha detto: “Pinot è riuscito nell’impresa di mettere la vittoria in secondo piano, in un mondo in cui è tutto ciò che conta è la vittoria. Pinot non ha più niente a che fare con questo ciclismo che tutto calcola e prevede, che calpesta la sua natura e il libero arbitrio. Il legame che ci unisce a lui va oltre il ciclismo. Ci ha fatto amare questo sport, soprattutto ha dato un senso alla nostra passione, perché l’ha preservata, riportandola alla sua semplicità e incarnando la lotta dell’uomo contro sé stesso e i suoi difetti”.

Pinot è stato un enigma, una promessa non mantenuta, ma prima di tutto un uomo, pieno di dubbi, di incertezze e di fragilità. Ha raccolto intorno a sé più amore da parte del pubblico che successi, per pietà forse, ma anche perché è stato un riflesso della vita di ognuno di noi, fatta di ingiustizie, di successi, di aspettative non mantenute e di piccole e grandi sfortune. Si ritira con la voglia di dedicarsi alla vita che fino ad oggi ha un po’ trascurato, al suo orto, alla sua famiglia e alle sue montagne: ”Sono finalmente pronto per la vita vera”. Forse, dalla nube nera sopra la testa di Pinot è finalmente spuntato il sole.

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