Papelitos
27 Settembre 2023

Finiamola con queste plusvalenze

Una triste e dannosa telenovela piccolo-giudiziaria.

Allora, innanzitutto ripercorriamo velocemente la vicenda per chi – comprensibilmente – si fosse perso qualche passaggio. A inizio 2023, la Juventus è stata condannata per il caso plusvalenze. Il tutto, a dire del procuratore Chiné, perché a differenza degli altri club (e delle loro ipotetiche plusvalenze fittizie-spot), la Juventus aveva messo in piedi un vero e proprio ‘sistema’. Un teorema assolutamente indimostrabile, giuridicamente inconsistente, ma ultra-demagogico e di sicuro successo mediatico, dato in pasto a social e giornali che su di esso hanno potuto ampiamente banchettare.

La verità, banalmente, è che solo per la Juventus c’erano le “prove” dell’alterazione del valore dei giocatori (e quindi del bilancio): prove rappresentate dalle intercettazioni telefoniche che avevano coinvolto i dirigenti bianconeri. Parliamo di intercettazioni autorizzate perché, essendo la Juventus una società quotata in borsa, la Consob aveva chiesto chiarimenti su alcune operazioni sospette e da lì si era messa in moto la Procura di Torino, appunto, con le intercettazioni ambientali.

Qui siamo stati chiari fin da subito: non c’era alcun sistema della Juventus, delineato neanche fosse la ‘cupola’; semplicemente il club aveva approfittato come altri, magari più di altri, dell’artificiosità delle plusvalenze fittizie e di valutazioni gonfiate nella compravendita dei giocatori.

Il problema però è un altro. Del buco nero delle plusvalenze si sono serviti sistematicamente – se c’era un ‘sistema’, qualunque cosa voglia dire, questo era piuttosto comune – tanti club in patria: operazioni poco chiare sono riconducibili dall’Inter (che così ha iscritto a bilancio decine e decine di milioni) al Napoli, alla Roma, al Milan, all’Atalanta, al Genoa, alla Sampdoria, al Sassuolo, a Lazio/Salernitana etc.. La classica situazione all’italiana in cui, in una sorta di vuoto giuridico o comunque di cornice assai poco definita e definibile – chi dimostra il reale valore del giocatore? E come lo dimostra? –, tutti se ne sono approfittati aggiustando alla bell’e meglio i propri bilanci. Una pezza per coprire i buchi di una situazione finanziaria generale disastrata.



Ora che succede, che la Procura di Roma ha indagato Aurelio De Laurentiis per la plusvalenza fittizia dell’affare Osimhen, nello specifico con l’accusa di false comunicazioni in bilancio. Ebbene, è chiaro che si sia trattato di una plusvalenza costruita a tavolino: quando mai Manzi, Palmieri e Liguori (che giocano in Serie C, Serie D ed Eccellenza) possono valere 15 milioni di euro? Eppure, bisogna pur sempre ricordare una cosa: le sentenze non si fanno con le deduzioni logiche o con il buon senso. Servono le prove, ed è qui che la situazione si fa intricata.

Per la Juventus, come detto, le prove risiedevano nelle ‘confessioni’ delle intercettazioni telefoniche e delle mail. Ma per il Napoli? Questo ancora non lo sappiamo, probabilmente la Procura (di Roma perché qui è stato approvato il bilancio del club) si è basata sulle dichiarazioni dei tre giovani che hanno ammesso di «non essere mai stati a Lille». Questo di per sé dimostra qualcosa? Lo capiremo. Fatto sta che, mentre sei mesi fa il presidente e i dirigenti del Napoli venivano assolti dalla giustizia sportiva per l’impossibilità di verificare le accuse della procura federale, ora ADL è stato iscritto nel registro degli indagati.

Un atto dovuto, si precisa.

La sensazione però è che ormai si sia messo in moto un mostro, e si sia innescata una valanga difficile da controllare. Che, anche laddove non al momento non ci sia nulla, si scavi ovunque per appagare le pulsioni giustizialiste più o meno popolari, e trovare così qualcosa che “dimostri”, tra mille virgolette, il fatto che i cartellini siano stato gonfiati per sistemare i bilanci. Per questo lo scriviamo chiaramente: basta, finiamola qui. Almeno con questa storia delle plusvalenze gonfiate, un aspetto così trascurabile e marginale, quasi innocuo per quanto riguarda i bilanci del calcio italiano.



Anche per il calcio poi è tutto così triste: dopo i matematici e gli scienzati nel pallone sono arrivati i giudici, i magistrati e i revisori contabili. Non che non ci debbano essere, per carità, ma che indaghino su aspetti ben più gravi delle plusvalenze gonfiate. E per quanto riguarda tifosi e giornalisti, che la smettano i primi di chiedere punizioni esemplari e revoche degli scudetti – anche perché scagli la prima pietra, chi è senza peccato – e i secondi di incartarsi su questa storia e farci titoloni e paginate.

Diciamolo alla napoletana: chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, per una volta scurdammuce o’ passat.

E facciamolo all’italiana: condoniamo tutto, ma senza neanche multe o cose del genere, magari ripartendo con norme più chiare e confini più stringenti per la valutazione dei calciatori – ci si può affidare a degli organi indipendenti e di controllo, nazionali o internazionali, o trovare altre soluzioni, questo non spetta a noi stabilirlo. Per una volta andiamo oltre, dimentichiamo, respiriamo; abbandoniamo la scure di questo giustizialismo frustrato e reprimiamo, soprattutto, i nostri istinti di vendetta mascherati da bene comune.

Certo, quello delle plusvalenze gonfiate non era il miglior modo per aggiustare i bilanci né il più corretto, ma è stato utilizzato un po’ da tutti i grandi club finché si poteva: da chi più, da chi meno. E senza voler fare benaltrismo, vi garantiamo che questa è l’ultima cosa su cui noi – tifosi e appassionati di calcio italiano – dovremmo riversare i nostri istinti moralisti. Anche dal punto di vista specifico dei bilanci dei club.

In un Paese in cui un presidente di un club (Lotito) viene eletto in Parlamento e riesce a far approvare un emendamento salva-calcio contro il parere stesso del ministro dell’economia e le dichiarazioni dei vertici del governo, emendamento con cui lo Stato rinuncia a un miliardo di gettito per spalmare i debiti delle società di calcio, in uno dei campionati più indebitati del mondo, noi siamo ancora qui a indignarci per le plusvalenze, un meschino trucchetto con cui i nostri club hanno provato furbescamente a tirare avanti. Il tutto non per spirito legalitario, bensì per vedere puniti gli avversari di turno: ieri era la Juve, oggi è il Napoli, domani sarà l’Inter, la Lazio, il Milan o la Roma.

Anche perché, se iniziamo con l’ideologia e il metodo delle plusvalenze fittizie, il rischio è di scoperchiare un vaso di pandora fatto da decine di operazioni discutibili che finirebbero per creare un inutile e anzi dannoso caos generale. Volete veramente un anno in cui si parli di questo, in cui si scavi a ritroso in tutte le operazioni dubbie dei nostri club? Quali, e fino a quando? Risparmiamoci la telenovela piccolo-giudiziaria, che sarebbe l’ennesima spettacolarizzazione non necessaria del nostro (extra) calcio. E pensiamo invece, senza la droga delle plusvalenze fittizie, a come poterli far respirare per davvero, quei bilanci.

Gruppo MAGOG

Andrea Antonioli

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