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«Ero un bambino dell’oratorio. Mi hanno costretto a fare il calciatore, sono diventato calciatore a malincuore. Ero prigioniero senza saperlo. Non colpevole, mi sentivo in gabbia. Da qui la mia ribellione. Ero quasi sempre squalificato. Non avevo voglia. Io amavo i miei amici, i miei compagni di scuola, andavamo nei campi a sentire gli uccellini. Diventare calciatore è stata una forzatura. Io amavo la campagna e odiavo gli allenamenti. Volevo solo giocare la domenica. Ma spesso mi annoiavo anche a giocare, ed ero contento quanto venivo squalificato.
Il mio amico Vendrame, che era molto simile a me, sentiva molto la partita, era un emotivo. Io non sentivo la partita. Non ho mai avuto paura degli avversari. E perché mai dovrei avere paura? Forse ho paura se mi affronta un leone o una tigre, non un uomo. Forse Dio mi fa paura. Più che paura, visto che ci credo, timore».