Tra l'amore e la propria natura, scegliere comunque la seconda.
30 giugno 1989, campo neutro di Perugia, torrido venerdì pomeriggio di fine decennio. Roma e Fiorentina si stanno giocando lo spareggio, chi vince va in Coppa UEFA. Minuti iniziali, la Fiorentina sta attaccando. Di Chiara recupera un pallone sulla fascia sinistra. Va sul fondo ma invece di crossare serve all’indietro Roberto Baggio. Sul cross al centro si coordina Roberto Pruzzo, 34 anni suonati e all’ultima partita da professionista.
Stacco perentorio, gli ex compagni di squadra restano attoniti. Sarà un gol “alla Pruzzo” quello che, al termine dei 90 regolamentari, consente ai viola di andare in Europa al posto della Roma per la stagione 1989/90. Esulta e non poco l’autore della rete, ma conoscendolo, la sua non è mancanza di rispetto. Lui è un rapace dell’area di rigore e quando si gioca l’istinto e la voglia di segnare hanno il sopravvento su qualsiasi altra cosa. Ma come direbbe il Manzoni: “Chi era costui?”
Alla domanda si potrebbe rispondere semplicemente: uno che viveva per il gol.
Crocefieschi è un paesotto di circa 600 anime a mezzora di macchina da Genova. È lì che Roberto Pruzzo nasce nella primavera di 65 anni fa. Comincia la carriera nelle giovanili del Genoa. Deve lavorare un po’ sulla tecnica di base ma la qualità e i gol ci sono. Non sarà particolarmente alto né elegante nei movimenti ma di testa è fortissimo perché ha i tempi giusti e l’elevazione. Se non ci arriva prima, ci arriva comunque meglio, difensori avversari più alti e più prestanti di lui sono spesso costretti ad arrendersi.
Non partecipa granché alla manovra ma l’egoismo in campo è rifuso a suon di gol. La scalata nelle gerarchie dell’attacco rossoblù è rapida.
Ha appena 18 anni il ragazzo quando esordisce in Serie A. In quel periodo la prima punta del Genoa è Antonio Bordon ma l’allenatore Silvestri non vede di buon occhio il centravanti titolare, in realtà perché non dà affidamento non perché non sia bravo. Quando Bordon ne combina una più grossa del solito il mister non può che escluderlo per dare spazio a un tizio dall’aria torva che, nelle giovanili, segna e sa farsi rispettare da compagni e avversari. È il 2 dicembre 1973. Quel giorno la Lazio capolista prende due punti d’oro a Cagliari, la Juventus affonda il Verona e il Napoli espugna l’Olimpico contro la Roma.
Il Genoa va in trasferta a Cesena. L’esordiente non segna ma fa capire di essere uno che con il gol può stabilire un rapporto molto proficuo. Serve solo tempo. A dire il vero la stagione è molto avara di soddisfazioni: 19 presenze e non l’ombra di una rete. Tra pali, traverse e situazioni in cui la palla non vuol proprio entrare, passa così la prima stagione in A. Il Genoa retrocede in Serie B ma in vista del campionato cadetto la società conferma la fiducia nel giovane attaccante.
E fa bene, perché nella stagione 1974/75 i gol complessivi sono 12 e nel campionato successivo Pruzzo diventa capocannoniere di B esultando “in proprio” per 18 volte. Grazie al rendimento del giovane attaccante la squadra rossoblù torna nella massima serie e stavolta il Bomber (è questo il soprannome che i tifosi hanno dato a Roberto) i gol in A li fa davvero. Sono sempre 18, come quelli segnati in B, ma il peso è un altro. Quell’anno segna più di Pulici, più di Bettega, più di Giordano. Solo Graziani riesce fare meglio di lui nella stagione 1976/77. Senza le sue prodezze d’area di rigore il Genoa tornerebbe subito in B e invece alla fine la squadra si salva.
Dopo la stagione 1977/78, meno fortunata delle precedenti, il talento di Crocefieschi è pronto per una grande squadra. Lo vorrebbe mezza Serie A, lo vorrebbero soprattutto le squadre importanti. La Juventus, non esattamente una comprimaria, sonda concretamente il terreno ma alla fine a spuntarla è la Roma. Il colpo di mercato è merito di un giovane manager. Si chiama Luciano Moggie di lui si dice che farà strada: talento e faccia tosta – parola di altri con talento e faccia tosta – non gli mancano.
Sembra una scelta di ripiego per il giovane attaccante, perché la Roma di quegli anni non va oltre la metà della classifica, anzi è talvolta costretta a salvarsi dalla retrocessione, ma nella Capitale Pruzzo si trova comunque bene. Segna all’esordio contro il Verona ma soprattutto salva la Roma alla penultima giornata con un gol provvidenziale all’Atalanta.
È un tipo particolare, Roberto Pruzzo, va saputo prendere.
Sembra scontroso, un po’ diffidente e non sorride quasi mai. Carattere ruvido, umorale e spesse volte brutale quando dice la sua opinione, il numero nove giallorosso è il perfetto terminale d’attacco di una Roma che sta costruendo la sua grandezza con l’arrivo degli anni 80. Dell’efficacia del Bomber ci si accorge soprattutto quando non c’è.
Se per un qualsiasi motivo Pruzzo non gioca, per la Roma segnare diventa immediatamente un problema. Senza di lui la squadra può svoltare una partita, due forse. Tre consecutive con un altro al centro dell’attacco diventano un problema serio. Problema relativo, però, perché Pruzzo c’è quasi sempre e per due anni consecutivi (1980-81 e 1981-82) è capocannoniere della Serie A.
Malgrado ciò, gol e prodezze non gli aprono le porte della Nazionale, se non per qualche fugace apparizione. Solo 6 presenze e nessun gol in oltre 10 anni vissuti ai massimi livelli. Ma nel 1983 la sorte ripaga lui e i compagni con una soddisfazione enorme: la Roma vince lo scudetto e per Pruzzo quello sarà l’unico in carriera. La formazione giallorossa, allenata da Nils Liedholm, è diventata una macchina da guerra, anche a livello internazionale. Con Tancredi in porta, Di Bartolomei e Vierchowod in copertura, Falcao e Prohaska a centrocampo, Bruno Conti sulla fascia e il bomber al centro dell’attacco, nemmeno la Juventus di Boniek e Platini può nulla.
L’8 maggio 1983 è una rete del Bomber, segnata proprio a Genova contro la sua ex squadra, a dare al Tricolore certezza aritmetica. L’anno successivo la Roma disputa per la prima volta la Coppa dei Campioni e l’occasione sembra irripetibile: la finale, neanche a farlo apposta, si disputerà allo Stadio Olimpico. Il 30 maggio 1984 la Coppa se la giocano Roma e Liverpool. Al gol di Neal nei primi minuti segue il pareggio giallorosso in chiusura di tempo.
La rete è un capolavoro aereo. Cross dalla sinistra di Conti (con il piede destro), il Bomber stacca di testa. La torsione è perfetta, l’anticipo sul difensore avversario è bruciante. Il pallone incrocia sul secondo palo e a nulla vale il tentativo di respinta del portiere Grobbelaar. Saranno i calci di rigore a negare alla Roma la gioia più grande e a rendere inutile un gol come quello, forse il più bello in assoluto nella carriera di Roberto Pruzzo.
https://youtu.be/m7yC0hmSTbI?t=118
Purtroppo la specialità della casa, il colpo di testa, non valse ai giallorossi il trionfo europeo
L’attaccante giallorosso vince per la terza volta la classifica dei cannonieri al termine del campionato 1985/86. Sono 19 i gol alla fine della stagione ma c’è un evento che spicca su tutti gli altri nella stagione del Bomber. Quella del 15 febbraio 1986 è una data che né lui né il tifo romanista possono scordare. La partita è Roma-Avellino. Finisce 5-1 e i gol della sua squadra li fa tutti lui. È un’impresa che pochi nel calcio italiano possono vantare e che di lì in avanti verrà eguagliata soltanto 28 anni dopo, il 5 maggio 2014.
Lo stadio è sempre l’Olimpico, la partita è Lazio-Bologna. Finisce 6-0 per i biancocelesti e anche stavolta c’è uno che ne fa 5, l’attaccante laziale Miroslav Klose. Dopo aver totalizzato 240 presenze e 106 reti con la maglia giallorossa, nella stagione 1988-1989 Pruzzo passa alla Fiorentina. La forma non è più quella degli anni migliori, viene impiegato al minimo. Sono appena 6 presenze da inizio partita, più qualche scampolo di gara. Segna un solo gol, ma quell’unica una realizzazione è pesante e carica di significati.
Al termine del campionato, Roma e Fiorentina hanno gli stessi punti in classifica. Si torna al 30 giugno 1989, l’ultima da giocatore del bomber di Crocefieschi.
Un assist di Baggio, il colpo di frusta imperioso e la Roma è condannata. Pruzzo non è un ipocrita ed esulta senza troppi falsi struggimenti. Del resto è un professionista e un professionista tifa in primis per se stesso. Qualcuno si arrabbia, perfino qualche ex compagno. Poi tutto si stempera. Conoscendolo, nessuno può fargliene un torto.
Cala con un gol “a tradimento” il sipario su uno degli attaccanti più prolifici della Serie A di tutti i tempi. Non esattamente uno che dava manforte alla manovra o che si sacrificava per la squadra, ma che a ben vedere non era pagato per quello. Fama gloria e ricchezza il Bomber le ha raggiunte facendo la cosa che sapeva fare meglio. I gol, non certo la filantropia in area di rigore.