Quando il gruppo fa la differenza.
Era addirittura a rischio convocazione Kylian Mbappé, non stava bene neanche un po’. Quando è entrato, però, al minuto 57 di PSG vs Bayern Monaco (allora già sul punteggio di 1-0 per i bavaresi), la partita ha subìto una rivoluzione copernicana. Alle sfuriate cavalleresche e dirompenti del fenomeno francese la difesa fin lì impeccabile del Bayern non è riuscita a opporre la minima resistenza. De Ligt, Pavard (poi espulso nel finale), Upamecano: eccezionali per oltre sessanta minuti di gioco, quasi piccoli per i restanti trenta. Non per colpe loro, sia chiaro.
La verità è che Mbappé ha dimostrato al mondo intero cosa significhi essere un campione e saper stare – facendo la differenza – in una coppa che dai campioni prende il suo nome originario.
Era stato Mbappé a guidare i parigini lo scorso anno nella magica notte del Bernabèu, prima che quella notte da magica diventasse epocale: sì, ma per i galacticos, dinnanzi alla cui radicale estetica e tradizione neanche un fenomeno come Mbappé ha potuto poi molto. Serate di coppe e di campioni, dicevamo. Ma anche di bimbi viziati. E no, signori, Mbappé non fa parte di questa categoria insopportabile, di questi stramiliardari e apatici calciatori da Playstation che scendono in campo come undici monadi, dimenticandosi che il calcio è uno sport di squadra nel quale la coesione di gruppo e il temperamento di uno spogliatoio fanno sempre la differenza (specialmente in partite di questo tipo). Dall’altra parte neanche a dirlo c’era un Bayern Monaco che nonostante tutti i problemi vissuti in questo avvio di stagione rimane un equipo nel senso forte del termine [1].
«Il k.o. del PSG? Ero convinto della prestazione di entrambe le squadre. Da un lato un gruppo vero, nel vero senso della parola (e sto parlando del Bayern) che ha un valore medio altissimo di giocatori contro una squadra che definisco di blobtrotters e viziati, con qualche discreto giocatore che però non è mai stata squadra. Ero certo che a centrocampo il Bayern avrebbe dominato il PSG».
Paolo Di Canio, Sky Sport, 14.02.2023
Chiaramente il ritorno è tutto da giocare, ma intanto Galtier – un allenatore di fortissima personalità, come lo ha definito a poche ore dalla partita Sergio Ramos – preso proprio per dare un’identità di gruppo, di coesione forte e di squadra ad un ammasso di superstarsuperviziate, ha miseramente fallito il proprio compito. E non solo in Champions, visto che in Ligue 1 viene da una sconfitta al Velodrome contro il Marsiglia di Tudor – lui sì che sta facendo un lavoro straordinario.
L’assenza di cameratismo, la mollezza quasi insopportabile di certi movimenti e atteggiamenti in campo, è ciò che da anni contraddistingue il PSG, l’eterna incompiuta. Ma anche il Tottenham, che nonostante la scusante delle moltissime assenze ha dimostrato di non avere la fame necessaria per fare grandi cose in Champions. Al contrario del Milan, che in uno dei momenti più bui della sua stagione, ha avuto fin dal 1’ un atteggiamento e una grinta da grande squadra, meritando l’1-0 finale – che anzi, a dirla tutta, lascia quasi l’amaro in bocca per le occasioni create. Da una parte un gruppo unito, quello di Stefano Pioli, dall’altra un gruppo sfilacciato, quello di Antonio Conte che in ambito europeo continua a palesare difficoltà ataviche.
L’allenatore leccese nel post-partita a Sky ha sottolineato proprio questo di aspetto, la mancanza di giocatori dal carattere forte, problema che il Tottenham sembra portarsi dietro come propria essenza dall’eternità. «I nostri giovani mi sono piaciuti, non era facile giocare in un’atmosfera così, davanti a 80mila persone ‘avvelenate’». Tutto vero, e complimenti per inciso alla Sud che ha cantato a squarciagola per oltre 90 minuti. Poi Conte ha aggiunto: «Noi abbiamo iniziato un processo e speriamo che non serva molto tempo per migliorare ed evitare questi alti e bassi». Se Conte – e prima di lui Mourinho – non ce l’ha fatta, difficile che qualcuno possa riuscirci in futuro. La mentalità non si può allenare: ma la ricerca di una mentalità sì, l’insistenza sul concetto di gruppo, fratellanza, aiuto reciproco, tutto questo si può (e si deve) allenare. Per non trovarsi a fine stagione con un mucchio di rimpianti per un pugno di dollari.
[1] Da〈ekìp〉 s. f., fr. [der. del v. équiper, che anticam. significava «imbarcarsi», dal germ. skip «barca»]