Altri Sport
06 Dicembre 2020

Vladimir Putin, lo sport per la Russia

Patriottismo e soft power declinati in ambito sportivo.

Vladimir Vladimirovic Putin, soprannominato lo Zar di Russia anche alla luce della riforma costituzionale che gli permetterà di ricandidarsi come Presidente per altri due mandati – fino al 2036 –, oltre ad essere uno degli uomini più potenti del mondo, è un grande e navigato appassionato di sport. L’attività fisica è al centro della sua esistenza fin dalla più tenera età, grazie in particolare all’istruttore di judo Anatoly Rakhlin (allenatore capace di formare più di 100 maestri in cinquant’anni di lezioni): a lui Putin rimane particolarmente legato fino alla dipartita, nel 2013, in un rapporto che per il presidente russo manterrà sempre dei caratteri di unicità.

«Le vite dell’uomo possono sembrare tutte simili. Si nasce, si cresce, ci si innamora, si fanno figli, si lavora, si muore. Alcuni si godono la vita, altri no. Ma noi Siberiani, Kolìma, la combattiamo. Dovrai dare il meglio di te per imparare. Per molti mesi farai soltanto una cosa: osservare».

Come Kolyma entra nello studio di tatuaggi di Ink, nel celeberrimo Educazione siberiana, allo stesso modo il giovane Putin entra nella palestra del maestro Anatoly. Ed è proprio Anatoly, quando Vladimir è ancora un bambino, a persuadere i suoi genitori di come le arti marziali si basassero sul rispetto reciproco, formando così una disciplina decisiva anche per la formazione umana e per il rendimento scolastico.

«Se non avessi praticato sport, non so quale svolta avrebbe preso la mia vita. Questo è Anatoly Semenovich Rahklin, mi ha protetto dall’influenza dei gruppi di giovani nelle strade. Francamente, la situazione era tutt’altro che buona lì».

Putin inizia a praticare judo diventando campione di Leningrado ad 11 anni, maestro a 21. Eppure il futuro presidente russo non si limita a questo, e anzi ama cimentarsi in qualsiasi tipo di arte marziale: detiene infatti anche l’ottavo dan, ovvero l’ottavo grado su dieci della cintura nera, della scuola di karate di Kyokushin.

Putin, il judoka

Altra grande passione è rappresentata dallo sci, che pratica con Leonid Tjagachev, ex presidente del Comitato Olimpico Russo. Molto particolari sono gli orari di allenamento: da mezzanotte fino alle due su percorsi illuminati artificialmente; stessi orari anche per i suoi allenamenti di hockey su ghiaccio con Aleksej Kasatonov, ex campione del mondo – di quest’ultima disciplina è inoltre frequente spettatore durante le partite di RNHL (Russian Night Hockey League). Ma non è tutto. Il Presidente Putin, infatti, non ha mai nascosto la sua passione per il calcio e in particolare per lo Zenit San Pietroburgo.


Tra propaganda e geopolitica


Ma sarebbe ingenuo, per non dire altro, pensare che Putin si approcci allo sport mosso dalla sola passione o dall’esperienza personale. Lo sport diventa invece nella sua nuova-vecchia Russia un formidabile strumento di propaganda e di potere geopolitico. Con spese governative da record, grande attenzione presentata alle imprese degli atleti nazionali ed ex campioni portati al Parlamento sintetizzano, le varie discipline diventano imprescindibili nella società e nella politica moderna russa.

«Non è un caso che molti campioni in campo siano stati reclutati poi a fine carriera nelle fila di Russia Unita, il partito che fa capo al presidente: dalla ginnasta Alina Kabaeva al pugile Nikolai Valuev passando per l’hockeysta Vyacheslav Fetisov, finito anche fare il ministro dello Sport, prima dell’attuale Vitaly Mutko».

Dall’intervista di Stefano Grazioli a T-mag

Non che durante l’Unione Sovietica lo sport non avesse importanza, tutt’altro, e i risultati ottenuti dall’URSS ne sono la prova. Nonostante abbia partecipato a solo 18 Olimpiadi (9 invernali e 9 estive) – la prima nel 1952 ad Helsinki, 56 anni dopo le prime moderne a Parigi nel 1896 – la Russia è infatti saldamente al secondo posto nel medagliere totale con 1204 risultati utili.

Per avere un quadro completo dei meriti della nazione più estesa al mondo, dobbiamo aggiungere anche le 584 medaglie conquistate dalla Federazione Russa nelle ultime 12 edizioni, per un totale di 1788. In tutto ciò bisogna ricordare che la Russia è stata estromessa ufficialmente dalle ultime Olimpiadi a Pyeongchang per questioni di doping, impedendo così agli atleti di partecipare a Tokyo 2020/2021 sotto la bandiera della propria nazione. Da questo punto di vista, Mosca detiene un record piuttosto particolare: solamente tra Pechino 2008, Londra 2012 e Sochi 2014, senza contare i mondiali e gli europei delle varie discipline, si è vista ritirare la bellezza di 40 medaglie per doping.



Detto in altri termini, lo sport in Russia è soprattutto una questione di Stato; e averlo riportato al centro del dibattito politico nazionale, nel periodo post URSS, è opera di Vladimir Putin. L’ex funzionario del KBG ha infatti identificato nello sport una duplice funzione, quella di irrobustire i sentimenti nazionali e allo stesso tempo (a livello internazionale) di sciogliere l’immagine della gelida madre patria. Per citare l’intervista rilasciata a Newsweek del ricercatore Andrei Kolesnikov, quello russo è «un tentativo per ammorbidire la reputazione dell’uomo di ferro (Putin, ndr) e per presentare la Russia come un Paese forte non solo nell’ambito militare, ma anche più sociale e umano».

Solamente negli ultimi dieci anni la Russia di Putin ha organizzato: Universiadi e Mondiali di atletica nel 2013, Olimpiadi invernali e Gran premio di Formula 1 a Sochi nel 2014, Mondiali di nuoto nel 2015 e di hockey nel 2016, e infine la coppa del mondo di calcio nel 2018. Per quanto i numeri non possano mai essere completamente esplicativi, leggere la spesa destinata dal governo russo alla realizzazione delle Olimpiadi di Sochi nel 2014 e dei Mondiali nel 2018 può essere indicativo: parliamo di un totale di 51 e 11 miliardi.

Rispettivamente i Giochi Olimpici più costosi della storia e la seconda spesa maggiore per l’organizzazione dei mondiali di calcio, inferiore unicamente a Brasile 2014 (15 miliardi). Che sia stata, quella delle Olimpiadi, una cifra gonfiata per dimostrare la forza della presidenza Putin proprio mentre stava vivendo il primo reale momento di difficoltà economica? Sotto Putin infatti, tra il 1999 e il 2008 il PIL pro-capite è raddoppiato e l’economia nazionale è cresciuta più del 90%. La tendenza si è però invertita nel 2009, con il crollo del prezzo del petrolio e a causa delle sanzioni internazionali del 2014 per l’invasione e la successiva annessione della Crimea.

Davvero la Russia era in condizione di investire il 25% in più di quanto investito dalla Cina nel 2008? 51 miliardi – 1,5 trilioni di rubli – è una spesa sulla quale sono sorti molti interrogativi.

Una cifra quattro volte superiore a quella annunciata nel 2007, quando la Russia si era candidata per ospitare la massima manifestazione sportiva. Dmitry Kozak, vice primo ministro a capo della commissione preparatoria olimpica, ha dichiarato però che questo era il reale ammontare “pronto ad essere speso dalla Federazione Russa” specificando che 16,7 miliardi sarebbero andati per le infrastrutture e 6,7 miliardi per le strutture olimpiche: un totale di 23,4 miliardi di dollari. 51 meno 23,4, comunque, fa 27,6 miliardi di spese finite chissà dove.

Ma a far riflettere è stata soprattutto la scelta del luogo: Sochi è una regione con clima subtropicale e, data soprattutto l’estensione della Russia, non certo il luogo adatto dove realizzare delle Olimpiadi invernali. Inoltre, le spese per le strutture sportive di Sochi si sono rivelate superiori alla somma di tutte le 21 Olimpiadi precedenti. Il Times ha scritto a riguardo: “For President Putin [staging the Games] is a chance to show off Russia as a resurgent superpower”. In effetti la scelta di Sochi, più che una questione di interessi privati come afferma l’opposizione, è una valutazione prettamente geopolitica di Putin per dimostrare tutta la potenza russa.

putin trump russia
Trump e Putin a Helsinki nel 2018 (ph Chris McGrath/Getty Images)

La regione è infatti un territorio infuocato in quanto vicino alla Georgia, nazione contro cui la Russia è entrata in guerra nel 2008 e mantiene ancora oggi ha molti dissapori: i rispettivi ministri degli esteri, dall’inizio del conflitto, non si sono parlati per ben 11 anni e nel 2019 Putin ha firmato un decreto per la sospensione dei voli di linea tra i due paesi. Le truppe russe poi sono ancora stanziate nell’Abcasia e nell’Ossezia del Sud, due piccoli Stati riconosciuti dalla Federazione Russa come indipendenti ma non dalla comunità internazionale che li ritiene territorio georgiano.

Inoltre avrebbe dovuto preoccupare anche la prossimità con il Caucaso, casa della rivolta islamica in Russia, da sempre in aperta rivolta con il Presidente Putin. Doku Umarov, leader islamico, comandante dei ribelli ceceni nonché ex-presidente della Repubblica secessionista cecena di Ichkeria, aveva dichiarato:

«Hanno in programma di tenere le Olimpiadi sopra le ossa dei nostri antenati, sulle ossa di molti, molti musulmani morti sepolti nella nostra terra dal Mar Nero. Siamo come i mujaheddin e come tali siamo tenuti ad utilizzare i metodi che Allah ci consente», invitando di fatto tutti i suoi seguaci a compiere attacchi terroristici. Il risultato è stato un nulla di fatto se non un comunicato dell’FSB, l’attuale KGB, in cui si legge: “Doku Umarov è stato neutralizzato”.

Sochi infine dista solo qualche centinaio di chilometri da Sebastopoli, città della Crimea, ufficialmente ucraina ma fedele a Mosca. In una situazione di pesanti tensioni territoriali la designazione di questo luogo – ribadiamo, voluta da Putin – è sembrato un chiaro segnale di come né la guerra, né il terrorismo, né la crisi economica e neanche l’opposizione fossero in grado di fermarlo o semplicemente di scalfirlo. Insomma, una grande prova di forza di fronte agli occhi del mondo.


I meriti dello Zar


Quale sia la verità è difficile stabilirlo. Resta però un dato di fatto: Sochi 2014 è stato un successo enorme per la Russia e soprattutto per Putin, così grande da mettere a tacere in breve tempo tutte le polemiche generatesi in precedenza. I meriti di Putin in campo sportivo rimangono evidenti, ma ancor prima il presidente è riuscito a rinsaldare l’attaccamento alla nazione attraverso le varie discipline, cosa che non si vedeva dai tempi dell’URSS e che, negli anni di Boris Eltsin al Cremlino, era andata perdendosi quasi completamente. Così, anno dopo anno, lo sport è diventato in Russia “uno strumento nell’arte di governo”, come scrive Oliver Brown sul Telegraph.

«Ogni vittoria comporta un valore politico inestimabile, un’opportunità per il presidente di curare l’immagine di una terra indistruttibile, governata da un leader onnisciente. Questo calcolo ha portato la Russia alla sua grottesca orgia di imbrogli a Sochi. Spiega anche perché Putin è così ansioso di usare lo sport per alimentare il suo culto della personalità, sia abbracciando Bernie Ecclestone alle gare di F1 sia pattinando davanti a difensori stranamente statici, per segnare otto gol in una partita di hockey su ghiaccio. Durante i suoi due decenni al potere, organizzazioni come la FIFA e il CIO si sono genuflesse davanti a Putin, glorificandolo in occasione dei loro più grandiosi spettacoli».

In un simile contesto di volontà di potenza nazionale, la vittoria per un atleta russo non è una semplice soddisfazione singola, bensì un traguardo patriottico: il trionfo non è dello sportivo ma di tutta la nazione. Gli esempi più lampanti sono Kvyatt, il pilota di formula 1, e la squadra nazionale russa di pugilato. Il primo nell’occhio del ciclone per essersi rifiutato di inginocchiarsi a sostegno del movimento del Black Lives Matter durante il Gran Premio d’Austria, dal quale ha dichiarato:

«Nel momento in cui ci hanno suggerito di inginocchiarci come gesto di lotta contro il razzismo, per me è stata una motivazione incomprensibile. Il gesto va contro la mia mentalità russa. In Russia ci si inginocchia per la Patria, per la bandiera, per Dio».

Il team di combattenti ha invece deciso categoricamente ed in blocco di disertare Tokyo 2020/2021 a seguito della già citata estromissione. Agli atleti russi era concesso di partecipare come neutrali, ovvero sotto nessuna bandiera e come indipendenti, ma il segretario generale della Federazione russa di pugilato Umar Kremlev ha tuonato: «Per noi la cosa più importante è che i nostri pugili possano gareggiare sotto la bandiera russa e che si senta il nostro inno. Senza questo non ha senso partecipare».

Quella che sta giocando Putin è allora una grande partita a scacchi in cui lo sport non è utilizzato come semplice pedone, bensì come cavallo. Un grande cavallo di Troia dall’aspetto splendido, esternamente rivestito dalle gesta degli atleti e internamente fondato su trame ed obiettivi: politici, internazionali e sociali. Il tutto, chiaramente, per il bene di Madre Russia. Anzi, per la sua grandezza.

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