Altri Sport
13 Ottobre 2018

Quel maledetto sorpasso

La storia drammatica di Gilles Villeneuve e Didier Pironi, uniti dal medesimo destino.

8 maggio 1982, ore 21.12. I medici dell’Ospedale di Lovanio, a pochi chilometri da Bruxelles, hanno appena spento i macchinari che tenevano in vita Gilles Villeneuve. Il cervello non mandava più impulsi al cuore a causa del distacco tra prima e seconda vertebra cervicale, il pilota canadese si aggrappava alla vita soltanto grazie alle stimolazioni elettriche. Dopo un triste e breve consulto con i medici Watkins e De Looz, la moglie Joanna Barthe ha dato l’autorizzazione a staccare la spina ponendo fine alla sofferenza dell’Aviatore. Qualche ora prima tra i corridoi del St. Raphael si è visto anche l’altro pilota della Ferrari Didier Pironi. Il francese teneva tra le mani il casco blu e rosso del rivale ferrarista, lo guardava con gli occhi lucidi, ammirandolo e accarezzandolo.

È stato lo stesso Pironi a raccoglierlo sull’erba del circuito di Zolder ad una manciata di metri dalla Terlamenbocht, la “curva del bosco” in cui Gilles è volato via dopo aver urtato la March di Jochen Mass. Nello stesso istante in cui Didier recuperava il cimelio di una battaglia drammatica e mortale, a terra, con le spalle poggiate sul guard rail che divide la pista dalla selva buia, giaceva inerme il corpo di Villeneuve, un “fascio di nervi” (come lo definiva Enzo Ferrari) di 168 centimetri in cui era imprigionato un animo diabolico e temerario, folle e coraggioso, indomito e inarrestabile.

Il demone della velocità ha preso il sopravvento ed ha condotto Gilles verso la strada del mito in cui regna la memoria di eroi caduti in battaglia, di martiri sacrificati per un ideale lontano e irrazionale. Il volo che Gilles ha spiccato è quello che lo porterà verso l’immortalità. In quell’ospedale Pironi è alla ricerca di un sollievo, di una preghiera che riaccenda la speranza e ripulisca una coscienza macchiata nel profondo. Lui stesso sa che il tragico incidente di Gilles in qualche modo ha a che fare proprio con lui.



Circuito di Zolder, ore 13.53. A sette minuti dal termine delle qualifiche del Gran Premio del Belgio, Villeneuve occupa l’ottava posizione ed è in procinto di lanciarsi per un altro giro veloce. Pironi è sesto, davanti al canadese di soli 128 millesimi. Gilles è silenzioso, scuro in volto, immerso nei pensieri. Se ne sta rintanato nell’abitacolo della Ferrari 126 C2 in attesa di sprigionare la rabbia sull’asfalto. Quello tra Gilles e la sua Ferrari è un rapporto complesso: la vettura è spesso portata oltre i propri limiti a causa dello stile di guida aggressivo ed altamente spettacolare del canadese. L’Aviatore è solito chiedere più di quello che la macchina è in grado di offrirgli, e anche quel giorno vuole spingerla oltre il consentito.

Il pilota non ha più nessun set di gomme da qualifica, quelle montate sulla monoposto sono scavate dall’usura. L’ingegner Mauro Forghieri, direttore tecnico del Cavallino, gli concede un solo giro, l’ultimo, poi sarà richiamato ai box. Gilles è pronto a spingersi oltre la razionalità, incosciente del rischio e della morte. D’altronde è amato proprio per questo, per quella sua costante ricerca del limite, di quell’attimo di pazzia che poteva costar caro ma anche regalare un’emozione impagabile. Gilles è un equilibrio instabile tra follia e spettacolo, un filo sottile tra la vita e la morte, tra un urlo di gioia ed un pianto di dolore. A scatenare il demone che è in sé, stavolta, è anche l’ossessione di battere Pironi. I due non si parlano da un paio di settimane, da quel maledetto sorpasso.

Per Gilles il messaggio è chiaro, per Pironi no.

Imola, 25 aprile 1982. Al Gran Premio di San Marino l’aria è tesissima. Il “circus” è letteralmente spezzato in due: da una parte la FIA e i team “legalisti”, dall’altra la FOCA (Associazione dei Costruttori) capitanata da Bernie Ecclestone. Le lotte politiche all’interno della Formula 1 raggiungono un picco storico a causa di un regolamento controverso in tema di peso minimo delle vetture. Ad Imola la situazione esplode con il boicottaggio della gara da parte delle scuderie britanniche legate alla FOCA, tra cui Williams, McLaren, Lotus e Brabham. Sulla griglia di partenza si schierano soltanto quattordici vetture, con le sole Ferrari e Renault Turbo a promettere spettacolo. Dopo appena sette giri la Renault di Prost accusa problemi elettrici e costringe il Professore al ritiro. Alla quarantacinquesima tornata saluta anche l’altro motore Turbo di Arnoux, uscito dalla Tamburello in una nube di fumo. Al comando rimangono saldamente le Rosse di Villeneuve e Pironi.

La situazione fila liscia fino a quando dal muletto Ferrari non viene esposto un cartello con la scritta “Slow”. L’ordine ai due piloti è quello di congelare le posizioni mantenendo i primi due posti, diktat già discusso in un accordo del pre-gara. Per Gilles il messaggio è chiaro, per Pironi no. Il transalpino si sente libero di lottare per la vittoria e attacca il compagno di squadra portandosi al comando della gara. Il canadese pensa sia solo un modo per divertire i 100mila spettatori dell’Autodromo Dino Ferrari ma ben presto si accorgerà delle reali intenzioni di Pironi. Le due Ferrari iniziano a duellare rischiando più volte il contatto. All’ultimo giro Gilles è davanti ma Pironi lo infila alla Tosa e taglia il traguardo in prima posizione. Per Villeneuve è una coltellata alla schiena, il tradimento di un compagno di scuderia che considerava un amico. Nel dopo gara la tensione esplode. Villeneuve rilascia ai cronisti dichiarazioni pesantissime:

«Credevo di avere un amico, un onesto compagno di squadra. Invece è un imbecille. L’unico vantaggio che ho avuto dalla lezione è che ora lo conosco bene. Potevo dargli due giri di distacco, ma avevo guidato con prudenza perché sapevo che alla Ferrari ci tenevano a portare tutte e due le macchine al traguardo. Con lui ho chiuso, non gli parlerò mai più».

Gilles Villeneuve e Didier Pironi tra le braccia di Enzo Ferrari.

Dopo il tragico incidente di Villeneuve a Zolder in molti hanno rivendicato il tradimento ai danni dello sfortunato pilota canadese. L’opinione pubblica si divide tra chi accusa Pironi della morte di Villeneuve e chi continua a sostenerlo nel prosieguo del campionato mondiale. Schiacciato dal peso della responsabilità morale sulla fine di Villeneuve, Didier continua a lottare a testa bassa a caccia del tanto agognato titolo iridato, ma il destino sta per accanirsi anche su di lui. Il 13 giugno a Montreal, davanti al popolo di Villeneuve, Pironi vede ancora la morte negli occhi.

La Ferrari del francese conquista la pole position ma alla partenza del Gran Premio la vettura resta ferma sulla griglia. Il pilota si sbraccia per segnalare il problema ai rivali che sopraggiungono alle sue spalle. Dalle retrovie sopravviene la Osella di Riccardo Paletti che lo centra in pieno. L’impatto è rovinoso, Didier presta immediatamente soccorso fino a quando la monoposto del pilota italiano non prende fuoco. Paletti viene estratto dopo venti minuti di agonia tra le fiamme e dichiarato morto poco dopo il ricovero in ospedale. Il fato mortale sembra non voler mai abbandonare l’animo tormentato di Pironi.

Con le morti di Villeneuve e Paletti nel cuore, Pironi continua ad inanellare risultati importanti portandosi al comando della classifica mondiale dopo il successo nel Gran Premio d’Olanda. L’8 agosto è in programma il GP di Germania sul mitico circuito di Hockenheim, uno dei “templi della velocità” assieme a Monza e Silverstone. Durante la sessione di prove del sabato mattina si scatena un nubifragio. Pironi ha già conquistato la pole nelle qualifiche del venerdì e ne approfitta per provare l’assetto da bagnato. Mentre percorre il lungo rettilineo che precede il Motodrome, la Williams di Derek Dely sterza improvvisamente davanti alla sua Ferrari. Pironi ha la visuale compromessa dalla nuvola d’acqua innalzata dalla Williams e non si accorge della Renault di Prost che procede lentamente verso i box. L’impatto è inevitabile: la Rossa decolla e cade rovinosamente a terra in una carambola che ricorda tragicamente quella in cui è morto Villeneuve. Il fenomeno francese riesce miracolosamente a sopravvivere ma ha le gambe in poltiglia. Nelson Piquet, uno dei primi a soccorrere il ferrarista dopo l’incidente, ricorda:

«Urlava per il dolore e la paura. Ho capito che temeva che l’auto prendesse fuoco e gli dissi di stare tranquillo che non c’era benzina attorno. Mi sono terrorizzato quando ho visto un osso della gamba uscire dalla tuta. Ho provato a rassicurarlo ma toccandogli le gambe ho sentito che erano in poltiglia».

Gli attimi successivi all’incidente di Pironi.

I medici riescono ad evitare l’amputazione degli arti ma non il ritiro dalla Formula 1. Pironi non correrà mai più una corsa automobilistica. Nonostante l’incidente, chiuderà il mondiale 1982 al secondo posto in classifica, a cinque punti da Keke Rosberg, campione del mondo con appena una gara vinta.

La riabilitazione è lunga e drammatica: Didier subisce oltre trenta interventi alla gambe ma non riuscirà mai più a salire su una vettura di Formula 1. La passione per la velocità, però, non va di pari passo con le difficoltà fisiche e l’ex pilota decide di tentare l’avventura nella Motonautica. Il 23 agosto 1987, in una gara off shore al largo dell’Isola di Wight, Pironi trova la morte. L’imbarcazione francese, la Colibrì 4, decolla sull’acqua ribaltandosi alla velocità di 90 nodi (170 chilometri orari). Per l’asso francese e gli altri due componenti dell’equipaggio non c’è nulla da fare. Il cerchio tragico si è chiuso. Pochi mesi dopo la sua morte, la compagna Catherine Goux dà alla luce due gemelli. Li chiama Gilles e Didier, come a voler riconciliare i due amici divisi da quel maledetto sorpasso. La vita trova sempre un modo.

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