La via nazionale dell'Inter alla ricostruzione, ovvero come adattarsi perfettamente al nostro campionato.
La quindicesima giornata di Serie A si è chiusa con l’Inter capolista e questo, in termini puramente statistici, non succedeva dal Gennaio del 2016. I dati aiutano a comprendere ma non spiegano mai davvero nulla, infatti un’Inter così non si vedeva da molto più tempo. Dai comodi salotti televisivi arrivano le prime sentenze: “tutto merito di Spalletti”, “un Icardi così decisivo non si era mai visto”, “fare una partita alla settimana aiuta”. Ovviamente tutte cazzate. Questa squadra probabilmente si qualificherà per la prossima Champions League, di certo non vincerà il campionato. Eppure qualcosa è davvero cambiato e stiamo ritrovando una delle nobili del nostro calcio. Spalletti ci ha messo sicuramente del suo, ma in una squadra con interpreti così individualisti e legati alla giocata del momento, risulta difficile dare ogni merito ai principi di gioco imposti dal proprio allenatore. Spalletti di certo non è Pioli, non è De Boer, è un allenatore che ha già allenato a grandi livelli. Verrebbe da chiedersi se è questo allora a fare la differenza, l’essere pronti per allenare un top team. Top team, questa espressione anglosassone così fuorviante. Questa Inter non doveva essere gestita come un grande club internazionale, ma come un grande club italiano, ed è questo il vero punto di svolta della stagione e forse del destino, inteso più nel lungo periodo, dei nerazzurri. In Italia è di fondamentale importanza il gruppo e il suo collante, ovvero i suoi senatori. Se è vero che in un calcio senza bandiere appare forse difficile individuare queste figure ormai mitologiche, è altrettanto semplice capire che i veri punti di riferimento sono i giocatori che meglio conoscono la realtà nella quale giocano, quindi il proprio club e il campionato, e che quindi per forza di cose sono anche italiani. Qualcuno potrebbe storcere il naso davanti ad una tale affermazione che forse ha il sapore di un calcio d’altri tempi, ormai superato. Questo perché forse la sbornia triste post Italia-Svezia è passata, e quindi guai a sindacare sul numero degli italiani nelle società di Serie A.
Inter cinque, Chievo zero: è la vittoria di Ranocchia, Santon, D’Ambrosio, ovvero tre quarti della difesa. Tre giocatori ritenuti scarsi dai più (realisticamente l’unico a salvarli è D’Ambrosio) ma che rappresentano quel collante fondamentale di un gruppo che ambisce alla vittoria. Tre giocatori, soprattutto i primi due citati, che per anni hanno vissuto in un limbo di depressione rappresentando al meglio sia quella generazione di giocatori italiani perduti e mai più ritrovatisi, sia un’Inter naufraga in un mare in tempesta fatto di ottavi posti, mercati fallimentari e radicali cambiamenti di assetto societario. Ad oggi non hanno ancora invertito la rotta sfoderando grandi prestazioni (e probabilmente non ci riusciranno mai) ma hanno scavalcato altri nelle gerarchie (vedi Cancelo, Dalbert e i vari terzini alternatisi in queste stagioni) evidenziando il carattere del nostro attuale campionato. I top team non funzionano, non serve comprare campioni e non si vince mai sul mercato, cosa che invece sta succedendo altrove. Nell’attuale Serie A vince chi fa meglio di tutti e non chi è oggettivamente, o sulla carta, migliore. Non è un sistema meritocratico? Sì, semplicemente è ancora il gioco del calcio, non del basket, non di un altro sport schiavo dei numeri, né scambio di figurine o passatempo di giovani miliardari. E’ il calcio, quello italiano, il campionato dove questo gioco è ancora vivo nella sua forma più semplice, arcaica, imprevedibile e giusta, nonostante i mille problemi che attanagliano la FIGC e tutto il movimento.
Questa citazione di Spalletti è la perfetta somma di ogni chiacchiera da bar riguardo alla giusta gestione della rosa, e non a caso chi da anni stravince il nostro campionato porta avanti questa filosofia nonostante qualche congenita contraddizione. Pjanic sarà anche un grandissimo giocatore, ma non ha nello spogliatoio il peso di un Marchisio, che va quindi tutelato nonostante poi la Juve cerchi di rinforzarsi e ringiovanirsi. Rosa lunga, senatori italiani, capacità di adattarsi alla partita e giocatori che conoscono già bene questo campionato. Si vince non perché si è i migliori giocatori di calcio ma perché si è i migliori giocatori per la Serie A. Vecino, Borja Valero, Skriniar, questo mantra è arrivato chiaro anche nei pianti alti a Nanchino dove ogni strategia dell’Inter ha il suo inizio e la sua fine. Quale squadra, invece, è in contraddizione con almeno tre di questi quattro punti? Non certo la Juve, neanche la Roma, bensì il Napoli. La più splendida irregolarità del nostro campionato che con i suoi pro e contro è ancora la favorita allo vittoria finale (a braccetto con i bianconeri). Proprio mentre tutte le nobili del nostro campionato stanno tornando a giocare il calcio italiano, interessante sarà capire il destino del Napoli. Squadra italiana col miglior gioco ma non ancora miglior squadra a giocare in Italia. Fabio Caressa tra una risata imbarazzata e una sistemata al ciuffo continuerà a sostenere che l’inter vince perché è grossa e la sblocca sui calci piazzati. Sbagliato, non succede nulla di tutto ciò. L’inter gioca discretamente bene e sa adattarsi alla partita senza disdegnare un approccio difensivo, caratteristica nuova per Luciano Spalletti. Stiamo allora molto probabilmente vedendo uno Spalletti inedito. L’allenatore toscano allena da vent’anni eppure la sua esperienza davvero significativa nel nostro calcio è stata totalizzata dalla permanenza nella capitale, un connubio che forse ci ha nascosto qualche aspetto della sua filosofia. Gli interrogativi sono ancora molti, i reali equilibri del campionato non cambiano e settimana prossima l’Inter potrebbe ritrovarsi terza in classifica, eppure questo pomeriggio di inizio Dicembre rimarrà simbolicamenteun giorno da Inter, dal quale i nerazzurri dovranno necessariamente ripartire per il futuro.
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