Settant’anni di passioni sportive nelle immagini di Mamma Rai.
“Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati”… già la voce di Nando Martellini risuona nella memoria degli Italiani, anche dei più giovani che quegli idoli non li hanno mai visti giocare. Perché la storia diventi memoria, perché i fatti diventino immagini, sono necessari una voce narrante e un orizzonte di significato capaci di far convergere il destino di un popolo in una narrazione comune. Oggi ricorrono i settant’anni della prima trasmissione Rai, che anche nello sport ha consegnato alla memoria degli Italiani momenti iconici, raccontati da voci indelebili e trasmissioni epocali.
Enrico Ameri, Nando Martellini, Sandro Ciotti, Bruno Pizzul, per citare alcuni aedi dello sport nostrano, mentre fra i programmi s’annoverano La domenica sportiva, Processo alla tappa (di Sergio Zavoli), 90° minuto, Tutto il calcio minuto per minuto, Il processo del lunedì – con tanto di un platinato Carmelo Bene – e il più recente Quelli che il calcio.
Già nella prima giornata di radiotelevisione italiana, la voce di Fulvia Colombo annuncia per le 15:45 il Pomeriggio sportivo, e subito si comprende come la passione sportiva entrerà nella quotidianità e nell’animo degli Italiani; sempre nel ‘54 viene trasmesso in televisione il primo mondiale di calcio, mentre due anni più tardi arriveranno le prime olimpiadi invernali, a Cortina, che tra l’altro torneranno nel 2026, anno del loro settantesimo anniversario. Sono i primi eventi, le prime trasmissioni internazionali, che nel giro di pochi anni diventeranno rito collettivo, ricorrenze parareligiose capaci di scandire le stagioni di un’intera nazione, contribuendo a costruirne la biografia.
Ad oggi, sterminate sono le glorie nell’album di famiglia dello sport italiano, in cui non può mancare la prima Coppa Davis della storia azzurra, conquistata a Santiago del Cile dopo aver disputato la finale per tre set in maglia rossa, in aperto dissenso verso il generale Pinochet; per partecipare all’edizione cilena della Coppa, infatti, la squadra dovette resistere alle pressioni politiche e mediatiche nazionali e ai gridi di piazza “Non si giocano volée con il boia Pinochet”. Un momento simbolico per l’Italia di quegli anni, nel pieno degli anni plumbei e rossi di eccitazione, di rabbia e di contestazione.
Spartiacque tra due decenni fu la sontuosa rimonta di un Pietro Mennea scarno ed emaciato eppure più potente che mai, che a Mosca 1980 corse fino quasi a spiccare il volo, Freccia del Sud destinata al cielo mentre la telecronaca di un eccitatissimo Paolo Rosi ne cadenzava le poderose falcate; se l’Italia sportiva degli nni ’80 avesse un’espressione, tuttavia, sarebbe nel grido eroico e liberatorio di Tardelli al Mundial dell’82, a cui seguirà, per corso e ricorso storico, quello di Grosso nel 2006.
Quello di Schizzo fu l’urlo carnale e viscerale di una nazione intera, la gioia quasi erotica di un paese probabilmente mai così unito, un’esplosione capace di far balzare sulla sedia il Presidente della Repubblica Pertini, fino ad allora in veste pacatamente istituzionale, che al terzo gol di Spillo Altobelli s’abbandonerà anima e corpo al celebre “non ci prendono più!” praticamente urlato in faccia al re spagnolo Juan Carlos.
Sul finire del secolo meritano di certo una menzione le urla del Bisteccone Galeazzi, che sembrò spingere con la propria voce i fratelli Abbagnale all’Oro di Seul, nell’88: non fu né la prima né l’unica grande prestazione al microfono dell’ex canottiere, che era solito guardare con occhi d’amore infervorato il suo amato sport. C’è poi la generazione di fenomeni della pallavolo, la potenza sublime di Jury Chechi, Signore degli anelli che ad Atlanta si librò in un’esecuzione plastica, perfetta, divina, tra le spassionate esortazioni del cronista “Vola! Vola! Vola! Vola!”.
Un incoraggiamento forse mite, se paragonato al grande Adriano De Zan in estasi per Pantani che fa “il vuoto” al Tour del ’98 e poi in lacrime quando nel ’99 il Pirata sarà costretto allo stop per eccesso di ematocrito; la voce del Tour, con la voce rotta dal pianto, tenne a precisare che “non significa che lo sportivo è dopato”. I trionfi sportivi tricolori sono poi infiniti, dalla rivalità d’altri tempi tra Coppi e Bartali (con la partecipazione straordinaria di Alcide De Gasperi), all’agonismo certosino di Paola Pigni, dalla grazia statuaria di Alberto Tomba fino alla bellezza olimpica di Federica Pellegrini, il doppio oro di Tamberi e Jacobs in un quarto d’ora a Tokyo 2020 e, in ultimo, lo storico ritorno in Italia della Coppa Davis.
Resta angusto lo spazio di uno schermo televisivo per raccogliere e perpetuare gesta e imprese sportive di generazioni e generazioni di atleti: per questo, come nell’antichità, hanno reso loro onore poeti e gentiluomini della narrazione sportiva, i bardi dell’agonismo, le cui telecronache somigliano a vere e proprie liriche del gesto tecnico, canzoni della meraviglia sportiva. Pare inconcepibile pensare a certi cronisti e condividere le critiche che alla televisione rivolsero i vari Pasolini, Chomsky, Gadamer (che purtroppo nel grosso della questione avevano ragione):
le loro furono voci e anime d’altri tempi, di stupore e nobiltà nella gioia e però anche nel dramma.
Ad esempio il tatto, la sensibilità, con cui Sandro Ciotti annuncia la tragica morte del 39enne Scirea resta un manuale di civiltà nell’epoca della pornografia dell’io e delle emozioni, costantemente volgarizzate e mortificate via social. Oggi che le immagini proliferano e la quantità domina sulla qualità, dunque, è significativo ricordare un pezzo di storia italiana che ha nobilitato l’arte della parola e della narrazione, elevando le immagini ad icone e i singoli momenti a destino comune: perciò, al di là di tutto, auguri Mamma Rai.