Le opere d’arte, diceva Levinas, raccontano la morte degli autori che le hanno prodotte. In effetti tutto ciò che viene esposto nei musei questo è: assenze in carne ed ossa. Non a caso Roland Barthes (ne La camera chiara) scrive che la fotografia è «un’immagine viva di una cosa morta». Questo pensiero, limpido come l’intelligenza dei suoi artefici, è stato smentito dal Real Madrid di Ancelotti ieri sera. L’andata col Chelsea nei quarti di Champions League se ci ha lasciato un messaggio è questo qui: il Real Madrid è già nostalgia. È un ricordo vivente, è l’incarnazione di un sentimento, l’emozione che non accetta di essere misurata con le parole.
Il calcio è un gioco semplice
È Luka Modric che ha una chioma tanto folta quanto iconica, con due piedi (questi sì) da museo e un cervello da geometra: immagine e somiglianza del Real Madrid, una squadra collettivamente individuale – dove cioè la forza del gruppo è data dalla stratosferica classe dei singoli. Ma questo Real è anche Toni Kroos, principesco come sempre, e Casemiro, che ringhia sulle caviglie degli avversari e fa volentieri il lavoro sporco, ma con una pulizia nel fraseggio che ti fa sentire a casa. Al sicuro e protetto, soprattutto se sull’esterno agisce quel treno instancabile di Valverde. È Vinicius Junior, brasiliano vero con una testa da giocatore europeo. Un talento mostruoso, capace di assistere i compagni ma anche di dribblare tutti come e quando vuole.
Però l’onnipotenza lasciatela al franco-algerinocon la nove sulle spalle. Più che sindrome di Stendhal, chiamatela sindrome di Benzema.
Farci emozionare così due volte nella stessa stagione (e in meno di trenta giorni) è un dono del quale dobbiamo essere grati. Lo ha detto meglio di chiunque altro Patrice Evra all’intervallo della sfida: «Vorrei ringraziare i protagonisti della partita». Noi ringraziamo soprattutto Benzema che, contro il Barcellona, nel Clasico perso (non a caso) malamente dai blancos, era assente.
37 gol in 36 partite, queste le cifre quest’anno di Karim Benzema per chi ama cibarsi delle statistiche. Noi, invece, che abbiamo la testa dura e il cuore sempre bisognoso d’amore, ci ricorderemo delle due partite che ci hanno rivelato – come può farlo solo un’opera d’arte vivente – il più forte attaccante del pianeta. Estasi pura, in grado di unire sacro e profano. Leader tecnico, morale, capitano assoluto di un Real che rischia di diventare iconico quanto quello della Decima – quando in panchina c’era sempre Carletto Ancelotti, il re della Champions. Aspettando a cantare vittoria, date a Karim quello che gli avete sempre negato: non un posto tra i grandi, ma il trono.