E noi siamo felici di poterne godere.
La difficoltà più grande sta nel descrivere l’incredibile. Dopo una partita come Real v City (3-3), ogni commento è superfluo. I lettori ci scuseranno, allora, se quel che leggeranno in questo papelito sarà poca cosa, appena una pallida copia di quanto l’evento in sé ha mostrato nella sua immediatezza. Caressa si è chiesto giustamente, dopo il momentaneo 2-1 del Real Madrid (Rodrygo), se ci trovassimo in Paradiso. Non sappiamo cosa ci aspetta dopo la morte, ma l’Altissimo ha senz’altro benedetto questo sport – non paragonabile a nessun altro, mai.
E pensare che si affrontavano due squadre teoricamente antitetiche. Da una parte il Real di Ancelotti, equipo anarchico, armonia galileana di caotiche individualità. Non che il caos non sia armonioso, poi, almeno quando a produrlo solo quelli con la camiseta blanca. Cosa c’è di caotico nei dribbling inebrianti di Vinicius o nelle chiusure preventive di Kroos? Molto poco, invero.
Eppure, il Real rimane una squadra fatta di individualismi eccentrici. Recuperata palla, pure con ordine e disciplina nella fase di attesa al possesso dell’avversario, quelli in maglia bianca ripartivano senza pensarci troppo. Molte sono state le situazioni di gioco in cui – controintuitivamente – giocatori come Vinicius, Rodrigo, Valverde e persino Carvajal, ripreso il pallone, partivano all’attacco della porta avversaria senza alcun tipo d’ordine tattico. Il gioco del Real è missionario, va sempre in avanti. Quello del City, al contrario, è riflessivo. Ma – colpo di scena che solo la Champions può regalare – non per questo meno individualista.
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Pensate un secondo ai gol della squadra di Guardiola. Val bene il possesso palla estenuante, il tiki-tiki-tiki-taka, per aggirare la difesa ben schierata del Madrid. Ma sono stati il colpo, l’intuizione e la giocata estemporanea ad aver deciso la partita di ieri.
In apertura, dopo appena un minuto, quando Bernardo Silva ha sorpreso un disattento Lunin calciando bassa una punizione che tutti – compreso il portiere madrileno – si aspettavano in mezzo all’area per i compagni. Sul 2-2, lo stesso, quando un – fino a quel momento – spento Foden si è acceso in un lampo di parabolica illuminazione, con un mancino poderoso e sensazionale, da vero fuoriclasse. E infine sul 2-3, quando Gvardiol, dopo uno stop terrificante si è inventato novello Del Piero con un tiro a giro imparabile per il portiere ucraino.
In quel momento, le emozioni del match ci sembravano troppe: e come Narciso che cade nell’acqua per il troppo specchiarsi, così noi, spettatori gaudenti di uno spettacolo irripetibile, eravamo pronti ad abbandonarci all’ipnosi dello schermo. Ma la realtà, nel calcio, supera sempre il pensiero.
E così Modric, neo-entrato, con la consueta e principesca eleganza, allargava il gioco per Vinicius, che alzata la testa vedeva al limite dell’area l’accorrente Valverde. Boom. Collo pieno, piede fermo come è fermo lo spirito dei calciatori sudamericani. E 3-3, imparabile per Ortega. Ancora un urlo, un ultimo flebile grido di emozione, si levava dalle nostre corde vocali. In attesa di un ritorno che, partendo dalla parità assoluta, si preannuncia celestiale.