Quell’assuefazione compulsiva che è l’infinite scrolling – ovvero il perpetuo movimento del pollice verso il basso sullo schermo dello smartphone, alla ricerca di contenuti che possano provvisoriamente saziare la nostra fame di stimoli – è un fenomeno oramai ben studiato, che fagocita anche e soprattutto gli appassionati di sport. In particolare, in questa grande abbuffata algoritmica di reels e tiktok, sarà sicuramente capitato a qualche calciofilo di imbattersi nei video del brasiliano Iran Ferreira, in arte Luva de Pedreiro. Un vero e proprio influencer del pallone, la cui parabola chiaroscura racconta con efficacia a che livello di interrelazione siano arrivati sport e social network, i rapporti di forza che regolano questo connubio e le contraddizioni incubate al suo interno.
Il format dei video di Luva de Pedreiro è, o almeno appare, visceralmente genuino nella sua semplicità.
Brevi spezzoni di gioco improvvisato in qualche campetto polveroso nel nordest del Brasile (Iran è di Bahia), che lo riprendono destreggiarsi in numeri da freestyle più o meno arzigogolati, fino alla conclusione: il gol e l’esultanza veemente, caricaturale, sugellata dalle grida contro la telecamera ( “Receba !” , “Obrigado, meu Deus”), come se fosse in mondovisione. E ci è andato davvero, in mondovisione: ad un anno e mezzo dal debutto, conta 18 milioni e mezzo di followers su Instagram, oltre 19 su Tik Tok.
I suoi video, in cui indossa maglie di squadre ogni volta diverse, trasudano entusiasmo, rievocano l’anima più pura del futbol: bastano solo una palla e una porta per nutrire la propria immaginazione e quella di chi guarda. Iran riesce a distillare il succo del calcio, quello apparentemente lontano dallo show business e dai contratti multimilionari. Curioso come questa umiltà tanto apprezzata ed ostentata nei suoi video lo porterà a scontrarsi, come in un contrappasso dantesco, con il crudo pragmatismo che ormai pervade lo sport ad alto livello.
Quando comincia a postare, nel marzo 2021, Iran ha vent’anni, è uno dei tanti ragazzi brasiliani che ha solo il calcio in testa e anela a essere un calciatore più di qualsiasi altra cosa. Farneun mestiere richiede però dei mezzi – tecnici, economici, mentali – che Iran non possiede. Ha però uno smartphone, e senza nessuna pretesa decide di lanciarsi su internet. Indossa sempre dei guanti da muratore, per imitare i guanti antifreddo dei professionisti in Europa: da qui deriva il nome “Luva de Pedreiro”. La sua ascesa sarà fulminante: il successo arriva quasi subito, e con esso giocoforza ecco gli occhi del mondo del pallone, incuriosito da Iran come bimbo viziato con un nuovo gioco.
Neymar Jr lo lancia oltreoceano ripostando le sue stories, tanti calciatori (tra cui Marcelo, Kimmich e il figlio di Cristiano Ronaldo) lo emulano nelle esultanze, lo stesso Mark Zuckerberg e il profilo ufficiale di Instagram iniziano a seguirlo.
Ovviamente arrivano a ruota le grandi aziende, attratte dal succulento bacino di utenti che si porta dietro: tra le altre, Iran firma contratti con Adidas, Mc Donald’s, Pepsi ed Amazon Prime. Anche i grandi club, accortisi della potenziale eco mediatica che può regalare, iniziano ad invitarlo nei loro centri sportivi come se fosse un nuovo acquisto. Dall’Atletico Madrid al PSG, dal Barcellona alla Juve: nessuno vuole essere da meno nell’esaltare questa specie di profeta del calcio di strada, e la relativa esposizione social ai milioni di suoi seguaci.
Iran diventa una macchina da soldi, una gallina dalle uova d’oro bramata da chiunque. In breve tempo arriva anche la grande proposta. L’Ibis Sports Club, squadra di seconda serie del campionato del Pernambuco, gli offre – ovviamente tramite video su tiktok – un contratto da professionista. La favola di Luva de Pedreiro è vicina al suo compimento più totale: dal potrero al calcio professionistico grazie ai social. Ma è davvero sufficiente qualche video virale su internet per diventare un vero calciatore?
Qualche giorno dopo la proposta dell’Ibis cominciano ad emergere le prime antinomie. Infatti, lo stesso club comunicherà sui propri canali social che Iran ha declinato la proposta di contratto. Il motivo non verrà mai chiarito, anche quello che traspare è che Iran abbia avuto il timore di finire in una trappola. L’Ibis Sport Club è conosciuto anche come “il peggior club del mondo” per via degli scarsi risultati sportivi a cavallo degli anni ’80: una cattiva nomea che nel tempo ha cambiato accezione, adottata come etichetta social e cavalcata dal club stesso per farsi pubblicità.
Nel 2015 inoltre, l’Ibis aveva fatto parlare di sé per una proposta di contratto a José Mourinho, al tempo senza squadra: una boutade con il solo fine di ottenere visibilità che lascia intendere quale sia l’approccio della società su temisocial. In aggiunta, il tesseramento di Iran non avrebbe potuto realizzarsi in tempi brevi, in quanto fuori tempo massimo dai parametri della Federazione. Date le premesse, la proposta fatta ad Iran assume contorni meno favolistici, ed in parte motiva la decisione del ragazzo – probabilmente sospettoso che tutta la pantomima inscenata fosse solo un inghippo acchiappalikes – di rifiutare. Così, mentre il suo profilo continua a fagocitare followers, Iran riceve un assaggio di quali sono i rischi di tanta esposizione. Ed è solo l’inizio.
In giugno, infatti, insorgono altri problemi tra Luva de Pedreiro ed il suo agente, Allan Jesus, in relazione ad alcune clausole nel contratto di rappresentanza. Il contenzioso si inasprirà velocemente, fino ad arrivare alla rottura unilaterale da parte di Iran e il conseguente indennizzo dovuto a Jesus, pari a 5,2 milioni di reales (circa un milione di euro). Iran si era autodefinito “in gabbia” sotto la procura di Jesus, che secondo la rivista LANCE! controllava il 45% del capitale sociale generato dall’influencer, assorbendo i ricavi provenienti dagli accordi con le aziende. Da qui la decisione di Iran di contravvenire al contratto, annunciando anche una pausa dai social in quanto “stanco”.
La querelle legale tra i due è ancora in corso e promette di non esaurirsi a breve; nel frattempo Iran si è affidato ad un altro procuratore, l’ex stella del futsal Falcao, il quale ha confessato come il ragazzo sia semi-analfabeta, e per questo facilmente ingannabile in tema di contratti. Quella che sembrava una scalata incessante ed indolore verso il successo, rischia di rivelarsi un cul-de-sac per Iran, un vicolo cieco gremito di illusioni, trappole e sanguisughe da cui è impossibile scappare. O forse c’è una maniera: abbandonare tutto. Così, qualche settimana dopo arriva lo shock: Iran cancella tutti i video (a parte due) dai suoi profili social.
“Non sono stato hackerato, sono stato io a cancellare i video. Smetto qui. Vivrò la mia vita di tutti i giorni, sereno”,
dirà poi in un video di chiarimento. La scelta, apparentemente illogica e controcorrente considerando l’enorme popolarità raggiunta, conferma una volontà – forse effimera – di smarcarsi da quel mondo luccicante ma ingannevole, fulgido ma subdolo, infarcito di personaggi e di interessi che poco hanno a che fare con lo spirito del calcio di strada. Iran manterrà gli impegni presi con le aziende e le squadre partner, pubblicando video-promozionali fino al termine dei suoi contratti. Poi, a suo stesso dire, eliminerà del tutto il profilo.
Al momento si sta limitando a qualche saltuaria diretta su Instagram. Qualcuno sostiene che si tratti di una furbesca trovata per continuare a far parlare di sé e cavalcare l’onda, ed il recente invito alla cerimonia di consegna del Pallone d’Oro sembra confermare l’efficacia della strategia. Che ne sarà di Luva e del suo inno al calcio di strada non possiamo saperlo. Di certo la sua carriera, fugace come una meteora, descrive bene il cumulo di paradossi che intingono lo sport al tempo dei social network. E se non si è attrezzati per affrontarli, il rischio è quello di venirne travolti.