Calcio
29 Agosto 2023

Lettera a Roberto Mancini, ragazzo fortunato

Giù la maschera, Roberto da Jesi.

Caro Roberto, ammettilo. Non è da tutti riuscire a togliere il saluto in questo modo. Passando all’incasso e facendo passare per fessi un popolo di santi, poeti, navigatori e tifosi. A volte bastano poche righe dentro una anonima mail, un goccio di malcelato e puerile risentimento e il gioco è fatto. E mentre tu prendi il largo verso Gedda, nelle terre italiche già si consuma l’altalena tutta nostrana di sentimenti. Una sterile commedia che non fa più sorridere nessuno. Un primo atto da eroe. Vincente. Padrone e indiscusso innovatore del pallone tricolore.

Un prosieguo con indosso i panni dello sconfitto. Deludente. Vergognoso. Una pausa utile a costruirsi un’immagine di martire da offrire al pubblico. Vittima del Diavolo in persona, venuto da Castel di Sangro a importi il nuovo staff tecnico. Il gran finale, con gran stuolo giornali e giornalisti proni al solo credo #iostoconroberto e tu lì, sorriso smagliante e chioma al vento pronto a goderti tra le mani il profumo dei petrolmilioni.

«L’Arabia è uno dei mercati più grandi al mondo, è normale che arrivino i migliori giocatori. In Italia avevamo davvero pochi giocatori, era difficile scegliere».

Roberto Mancini, 28.08.2023

Eccolo il progetto. Le ambizioni. Ah, caro Mancio, sapessi quali ambizioni potrà darti una nazionale così blasonata come i verdi d’Arabia. Guarda che manca poco e siamo al livello del Brasile dei cinque numeri di Mexico ‘70. O della Germania di Muller e Beckenbauer. Tre anni ad allenare undici Al nonsochè che scorrazzano per il campo, mentre sciami di bianchi emiri si godono lo spettacolo stretti dentro un similstadio, più somigliante a un centro commerciale. Ma come si fa a dire no?!


Incoerente di successo


No, non ti preoccupare, Roby, non ci hai presi per i fondelli. Al massimo, hai sbeffeggiato il presidente Gravina, ma l’uomo sembra avvezzo a ricevere schiaffoni in serie. Basta non staccargli di dosso quella bella poltrona federale, alla quale siede incollato grazie alla famosa “colla Carraro”. Roba che la Vinavil is nothing! Certo che l’hai studiata proprio bene, da talentuoso quale sei sempre stato. Una vacanza, una reazione stizzita a una clausola et voilà. Al resto ci pensa la tua dolce metà, sempre ottima nel trovarti nuove e allettanti destinazioni. Destinazioni e dichiarazioni, come quelle che stai rilasciando ai microfoni di mezzo mondo da qualche ora.



Roberto caro, ma perché mi rendi la vita difficile? Sere a pensare come e cosa scrivere, chiamate e messaggi con l’amico direttore di questa splendida rivista e tu, sempre un passo avanti a noi avari di talento, che ci pigli di sorpresa. Tu, ossessionato dal bel gioco mai visto, che con noi giochi in contropiede. Ma cosa scrivo a fare, dopo aver visto le tue mosse e letto le tue dichiarazioni? Si dovrebbe tornare all’ermetismo, basterebbe un foglio bianco per questa tragicommedia, in cui magari semplicemente campeggino le tue frasi, di oggi e di allora: ai lettori la (mica tanto ardua) sentenza.

È tutto un fiorire di “in Italia ero costretto a convocare ragazzi che non avevano mai giocato in A”. Oppure “gli stranieri in Arabia alzeranno il livello della competizione”. Prosegui a ubriarci di tunnel d’incoerenza. Dimenticando che descrivevi Retegui alla stregua di novello Batigol, che pescavi dal fondo di un barile già ampiamente raschiato Luiz Felipe, Joao Pedro, Emerson Palmieri, che in Italia avevamo almeno 4-5 Bellingham per qualità e livello” solo che i club non li facevano giocare. E ora, una veronica degna del vate Johan, un girotondo voltaggabanista per dire che sì, poverino, venivi forzato a chiamare inconsapevoli figli del tricolore sparsi chissà dove.

Un giorno ci spiegherai anche la convocazione del giovin Pafundi, giunto a un passo dal bruciarsi la carriera per la tua voglia matta di farti notare sempre e comunque. Dulcis in fundo, a meno che non ti fermino prima, il “grande mercato arabo”. Non sappiamo se ti stessi riferendo a un souk o a un bazaar, ma ti prego, Roberto. Ti supplico. Fermati e non aggiungere che vuoi la pace nel Mondo, anche perchè la famiglia regnante non sembra troppo incline alla pacificazione. Basta altrimenti questo pezzo diventa un feuilleton, altro che long form!

Forse il romanziere inglese Daniel Defoe per te avrebbe cambiato titolo alla sua novella “Moll Flanders”, sottraendo le sfortune che in vita pallonara ti hanno solo sfiorato. E concentrandosi sulle tante, e sfacciate, fortune.

Ci perdonerai se mettiamo da parte la tua carriera da giocatore, divisa tra glorie e bizze, trofei e scazzi, gol e polemiche. Il tutto, mentre marchiavi a imperitura memoria il tuo nome sull’epoca della SampD’Oro. Talentuoso numero dieci con il vizio del cartellino rosso, abile nel vestire i panni della vittima, colpevole di essere troppo forte quanto scomodo (a chi non si è mai capito). Con lo scudetto al petto e le coccole della stampa intera, che tu magari mandavi a quel paese – come agli europei tedeschi dell’88 – ma che ti ha sempre srotolato tappeti rossi, decidi di iniziare la tua nuova carriera.


Il quadrifoglio in panchina


In quei pochi allenamenti a Leicester devi aver studiato come uscire dalla porta e rientrare dalla finestra. Detto fatto, basta una telefonata a quel vulcanico di Cecchi Gori per allenare la non ancora derelitta Viola. Il regolamento te lo vieterebbe, ma nonostante l’Assoallenatori si schieri contro, Gianni Petrucci, altro allievo della scuola di Franco da Padova, alza il pollice in alto. E si vince la Coppa Italia. Il tuo curriculum da coach, lo ammettiamo, è buono. Non delizi il pubblico come sul prato, ma la bacheca la riempi. Però, dicci la verità, sotto la panca non hai trovato la capra, ma quel simbolo verde che in tante parti del mondo dicono porti bene.

Concedici qualche perla sparsa qua e là, forse ti faremo ricredere.

All’Inter diventi il mister del momento. Il biennio a Roma ti carica, a Milano arriva la solita campagna acquisti sfavillante. Peccato che ti ammali di pareggite il primo anno, vedi lo scudetto con i binocoli quello dopo, ma…..c’è sempre un commissario straordinario della Figc pronto a tenderti la mano. Campione d’Italia per tre volte con i nerazzurri e per la terza devi costruire un monumento altezza naturale a San Zlatan, che entra claudicante e ti salva e i suoi dal perdere uno scudo contro il retrocesso Parma, mentre a Roma già si sperava.

Il bel giuoco, per dirla alla Berlusconi, non arriva. I muscoli di Ibra, Vieira, la corsa di Maicon, le zuccate di Cruz. La fantasia al potere la cerchiamo su altri lidi. Non in Champions, dove gira tutto male, accidenti, ma tu anticipi i tempi, come sempre, e ti dimetti, dopo che Torres ti mata dentro San Siro. Quel cattivone di Moratti non ti sostiene abbastanza, la via Crucis milionaria prosegue altrove. Al City, prima versione araba – emiratina per la precisione –, dove ti riesce di ripetere lo stesso numero del 2008 con l’Inter.

Nel marasma di trasferimenti, mentre tutti pendono dalle labbra per Super Mario, dovresti ringraziare chi apre la borsa per sborsare una cinquantina di milioni per quel ragazzino che chiamano Kun. Agueroooooo al novantesimo e passa, dopo uno psicodramma troppo simile a quello di quattro anni prima e tutti ad alzare una Premier che i light blues avevano buttato al vento con fantasiosa tenacia. Non c’è tempo di aprire un ciclo, Sir Alex spara ancora qualche cartuccia e la sconfitta dal retrocesso Wigan in finale di FA Cup lascia le scorie.



Ancora non ti sei autonominato cantore del gioco spumeggiante. Parentesi. Meglio volare sul Bosforo. La Turchia, cimitero degli elefanti pallonari, ma per qualcosa devi farti ricordare. La Coppa nazionale? Certo che no! Meglio, molto meglio, la vittoria sul campo di patate contro la Juve del dicembre 2013. Anche ad Istanbul nevica e a darti la spinta verso gli ottavi ci pensa la titubante Signora europea di Conte e un meteo che ribalta la nuvoletta fantozziana, portandoti uno stellone enorme sui tuoi capelli vaporosi. Non smetti di stupire. Nononostante un ritorno all’Inter.

Quello che passa alla storia con i meme dei social, che raccontano ormai il cul del Mancio come nipotino di quello sacchiano.

Icaro volava troppo in alto e la discesa si conclude due stagioni dopo, con la scoppola di Oslo rimediata dal Tottenham. Del gioco da favola stendiamo un velo pietoso, la colpa affibbiamola a Suning e saliamo sulla giostra. Sorvoliamo sullo Zenit, ora c’è da salvare l’Italia, dopo che Garibaldi l’aveva fatta qualche decennio prima. Profeta ora del bel giuoco, come se lo fossi sempre stato, ci regali record di imbattibilità e un fantastico europeo – e su quello ci mancherebbe che dicessimo qualcosa – sfruttando la voglia di rivolsa di un gruppo fantastico.


Londra – Palermo sola andata


La storia è nota. Tanto di cappello al trionfo di Londra, costruito con una squadra modesta, ma aggressiva, senza nemmeno l’ombra di un campione o del talento, ma cementatasi in un gruppo granitico. La fortuna, quella con la C maiuscola che mai ti ha abbandonato, ti accompagna all’arco di Wembley dopo due lotterie di calci di rigore. E ora che sei sul tetto d’Europa un po’ per caso e un po’ per merito, diamante raro dentro quella che qualcuno aveva ribattezzato “estate magica dello sport italiano”, che fai? Saluta Coverciano da trionfatore, Roby.

Per una volta, dimentica la polemiche, sorridi ringrazia e stacca la spina. “Andatavene da vincenti e sarete ricordati per sempre”, disse una volta Max Allegri ai taccuini di Repubblica. Macchè. La sorte favorevole che nemmeno Arrigo da Fusignano portava in dote, va sfruttata. Puntiamo a vincere tutto” tuoni, con il risultato che il Qatar lo vediamo alla tv. Eliminati dalla Macedonia del Nord (avete letto bene!) e l’umiliazione ulteriore, semmai ve ne fosse bisogno, di perdere una amichevole utile come una tournèe americana a Vienna, nelle ore dell’inaugurazione della Coppa del Mondo.



Ma il Mancio non molla. Le sberle macedoni, unite ai rigori regalati da Jorginho agli svizzeri, non ti scalfiscono. La tua immagine, costruita ad arte dal tuo procuratore De Giorgis prima e della consorte Silvia poi, ti ritrae impeccabile, giacca grigia che fa pandan con il suo mitico ciuffo, pronto a buttarti alle spalle la Nations League (sic!), dopo la vittoria con l’Olanda, in quello che la Gazzetta descrive come “il patto di Enschede” (ri sic!). Pare il trattato di pace di una guerra secentesca, è solo l’ennesimo dei trattamenti di favore che ti riserva la stampa e diventa il primo step di una farsa che ci porta ai giorni nostri.

Roberto Mancini ha firmato un ricco contratto da commissario tecnico dell’Arabia Saudita.

Parte integrante di quel Vision2030 portato avanti dal principe Bin Salman. Obiettivi vari, tra cui il Mondiale, uno slot per la Champions League europea e chissà cos’altro. Qualche voce incredula, tante critiche leggere, nel solco della tradizione del voler bene al tecnico, poche quelle feroci. Ma te lo immagini, caro Roby, se un nome “a caso”, che ne so, un Marcello Lippi, avesse combinato un qualcosa di simile? Caratteraccio pure lui, eppure ancora odiato da una quota parte di tifosi che lo riconosce più come juventino che come l’artefice, quella sì, di una impresa memorabile.

Ancora abbiamo negli occhi gli insulti e gli sberleffi dopo la figuraccia sudafricana. Hai mai pensato, Roberto da Jesi, se fosse rimasto saldo con il sedere sulla panca di Coverciano, il finimondo che sarebbe scoppiato? Interrogazioni parlamentari. Rivolte sui social. Il fantasma del Divin Codino che riaffora, ricalcandolo come caudillo, come nel suo libro. Moti popolari e stronzate da bar. Dimissioni richieste (e mai ottenute) per i vertici della Figc: loro, stai pur tranquillo, restano in via Allegri vita natural durante. E figuriamoci poi se avesse detto e fatto certe cose!

Mentre tu, come il capitano Jack “Lucky” Aubrey, salpi verso un nuovo assegno da staccare e fortune da inseguire. Recitando come al solito il ruolo da vittima sui giornali, denunciando le ingerenze di Gravina e lamentandoti di essere stato “trattato come il mostro di Firenze“. Così, a noi non resta che scrivere la parola fine su questa farsa estiva degna di un Vanzina minore. Aspettando che Luciano da Certaldo apra un nuovo capitolo che la maglia azzurra, la nostra maglia azzurra, si merita. Calcistico e non solo.


P.S. legittimo accettare il ricco contratto saudita ma per favore, Roby, tieni fuori il povero Gianluca, quando spieghi i motivi del tuo addio alla nazionale. Nessuno mette in dubbio che l’aver perso dei cari amici, Vialli e poi Mihajlovic, tolga energie, lucidità, che rivoluzioni le priorità esistenziali – anche quelle per i propri figli e nipoti, magari. Carpe diem, senza pensare troppo agli altri o alla faccia. Ma, quantomeno, non sporchiamo di oro nero un totem che veglia sul nostro pallone.


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Giovanni Guido

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