Si chiude il rombo onirico. Vidal è tutta la pasión e la fierezza del Cile in un campo di calcio.
A San Joaquín, sobborgo funesto di Santiago del Cile, alle prime luci del 24 maggio 1987 riecheggia come un profumo denso la lirica patriottica di Pablo Neruda, Lentamente muore:
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce […].
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Accade qualcosa di irripetibile, dall’Isola di Pasqua fino al parco Torres del Paine si innalza un’eco misteriosa: è nato Arturo Vidal, elguerrero. Ricordate quella pellicola intensa di Michael Radford e Massimo Troisi, diffusa agli onori del 1994? Sì, Il Postino. Manifesto d’immacolata tenerezza con Pablo Neruda incursore artistico e Troisi pittore di malinconia. Quel postino, trapiantato nei campi di calcio più infuocati dei continenti, è proprio Vidal.
La mezzala perfetta. Predisposizione alla garra e al sanguinamento pugilistico. Feconda in lui, già negli anni giovanili al Colo Colo, un’inclinazione naturale al superamento dei propri limiti. Ambidestro dai piedi ottimi, polmoni alla Marco Pantani e intelligenza tattica che gli permette di inserirsi a fari spenti come un velivolo della RAF in cieli dal color di pece. Quanti goal pazzeschi e algide rifiniture alla Juve. Quanti spari da Western di Sergio Leone in Germania. Ricopre tutti i ruoli di movimento: fluidificante basso, centrale difensivo cagnaccio, play maker e incontrista (il suo pane), trequartista rivoluzionario – molti tecnici si ispirano alle sue caratteristiche per rintracciare un connettore tra centrocampo e attacco così maestoso –, attaccante fuori dagli schemi.
Una bellissima volée con la maglia della nazionale
Quando Arturo sembra in ritardo sull’avversario e il pallone viaggia lontano dalle sue orbite, lui rompe il fiato, si carica sulle spalle il peso di tutta l’infanzia di strada vissuta e con un sacrificio da stakanovista, spariglia le carte del gioco. In queste occasioni nasce, evolve e si dissolve il sospiro doloroso del Flauto di Pan degli Inti Illimani.
Durante la Copa America 2015 – giocata nell’intestino di un Cile affamato di gioie sportive quanto di giustizia sociale –, el pueblo unido, appassionato di anti-eroiche gesta, ha apprezzato in Plaza de Armas, all’Estadio Nacional o dietro le Ande il sacrificio del mediano numero 8, vestito rosso anima. Nella finale di Santiago del 4 luglio, contro l’Argentina di sua maestà Leo Messi, tutti gli occhi analitici del globo hanno compreso un messaggio impetuoso: no, non per lo spettacolo del football offerto, 0-0 e contesa decisa ai rigori; Arturo Vidal è la sintesi sportiva della tempra politica di Salvador Allende. Il primo ad alzare il pressing, l’ultimo a lesinare colpi proibiti. Il primo a calmare gli animi dei compagni, l’ultimo a lasciare liberi i funamboli albicelesti. Il “Compagno Presidente”, Allende – barbaramente spodestato dalla sua veglia marxista sugli orizzonti cileni l’11 settembre 1973 –, venne idealmente soffocato dalle cospirazioni del generale-ominicchio Augusto Pinochet. La dipartita di Allende, demiurgo della società civile, regala alla sua equilibrata opera un posto di rilievo nella gipsoteca della storia umana.
¡Histórico! Chile es campeón de América
Così Arturo Vidal. È caduto cento volte, cento e una si è rialzato. In campo, nella vita privata e nello spirito empatico. Dentro le vibrazioni dolcissime della notte del Nacional, conduce la banda di Sampaoli a divorare grintosamente gli argentini, dotati di piedi sublimi, ma non dei ruggiti necessari. Arturo segna il suo penalty, così come gli altri compagni. 4-1 finale nella serie, Cile campione del Sud America. Contemporaneamente, in un’altra dimensione più leale, Neruda si ubriaca di vino, il presidente Allende canta assieme agli Inti Illimani, e una pittrice gentile, chiamata Violeta Parra, tenta di sfumare su tela gli attributi del mediano dall’anima rossa. La mezzala più indomabile di sempre, il calciatore cileno più poetico della storia.