Calcio
02 Settembre 2023

Roma-Milan, la differenza è nelle due rose

Ha vinto la squadra costruita con più logica.

Ne abbiamo lette di ogni da ieri sera. Secondo alcuni la Roma di Mourinho, indietro dal punto di vista fisico (è un fatto visibile ad occhio nudo), deve ritrovare quell’unione di intenti che ne costituito la forza nelle passate stagioni: deve insomma ritrovare l’identità, una parola abusata ma corretta per descrivere le idee di un allenatore che ha basato la propria carriera più sullo spirito che sulla legge. Secondo altri il Milan gioca un calcio fluido e meravigliosamente contemporaneo (vero, e in linea con ciò che diciamo da un paio d’anni sulla squadra di Pioli), dove i ruoli non esistono perché esiste solo lo spazio da attaccare, in una danza perpetua di dieci elementi il cui coordinatore funge quasi da deus ex machina.

Tutto questo è vero ma non c’entra ancora la reale differenza che intercorre al momento tra Roma e Milan (1-2). Prima di ogni discorso tecnico, tattico e psicologico-attitudinale, bisognerebbe parlare un momento di come le due rose sono state costruite in estate. La sensazione dopo queste tre giornate è che la coppia Cardinale-Moncada abbia ripetuto lo schema De Laurentiis-Giuntoli: rivoluzionare senza snaturarsi, quindi evolversi. Il Milan è una squadra costruita con un senso, ed è giusto dare a D’Ottavio e Moncada, dopo gli addii di Maldini e Massara (che pure avevano fatto un grande lavoro negli ultimi anni), il merito di aver messo su una formazione fortissima e profondissima, dove le combinazioni tecnico-tattiche per Stefano Pioli assomigliano a quei videogame con più esiti possibili, eppure sempre diretti ad un solo esito.



Nello specifico: siamo rimasti abbacinati dalla prestazione di Loftus-Cheek, un giocatore che non a caso Sarri avrebbe voluto come post-Milinkovic. L’ex Chelsea ha fisico, tecnica, personalità e un dinamismo che crescerà ulteriormente nel corso della stagione, ne siamo certi. Pulisic si è ambientato benissimo e Leao ieri ha fatto quello che voleva sul povero Celik, in grande difficoltà. Davanti il Milan ha ancora Olivier Giroud, giocatore che si inserisce in quel filone dei “rinati dopo la Premier League”. Avere uno come lui davanti è una manna dal cielo, ma l’ingresso in campo di Okafor, con il Milan già in dieci (Tomori espulso al 60’), ha dato risposte altrettanto positive a Pioli. Dietro il Milan rimane solido, e ha il miglior portiere della Serie A. A sinistra ha uno dei terzini più forti al mondo (quella fascia fa paura), e a centrocampo può contare su un calciatore (Reijnders) tanto elegante quanto concreto: uno che è nato con la bacchetta in mano.



Tutto questo è stato esaltato da una Roma scadente, senza idee per almeno 85’, quando ha iniziato con la forza della disperazione ad attaccare verso la porta di Maignan trovando pure il gol dell’1-2 con Spinazzola (92’) – peccato che il Milan era in dieci uomini già da trenta minuti. L’ingresso di Lukaku ha fatto vedere quanto Big Rom – presentato a stelle e strisce prima della partita – possa aiutare questa squadra ad alzare il baricentro, ad essere più pericolosa davanti e a giocare con più fiducia dietro. Mancava Dybala, e non è cosa da poco. Ma Dybala c’era già nelle ultime 12 partite ufficiali dei giallorossi con José Mourinho, nel corso delle quali la Roma ha ottenuto 12 punti sui 36 disponibili – contando solo il campionato, sono 7 punti nelle ultime 9 partite, al netto di 4 pareggi, una sola vittoria (contro lo Spezia all’ultima di campionato dello scorso anno) e ben 4 sconfitte.

Possiamo parlare di gioco, di mancanza di motivazioni (perché lo scorso anno quei risultati coincidevano col momento più caldo della cavalcata europea dei giallorossi), di stanchezza fisica. Ma c’è dell’altro, e di nuovo riguarda – come nel bene per il Milan – la costruzione – nel male – della rosa della Roma, che sembra non avere una logica.

Il 3-5-2 è il modulo di José Mourinho, chiaro. Ma chi sono gli esterni? Celik, Kristensen e Karsdorp a destra, Spinazzola e Zalewski a sinistra. Poca roba per una squadra che punta parecchio sulla forza dei quinti nella costruzione di gioco. A centrocampo è il marasma più assoluto: Aouar è un giocatore vero, ma è fragile come una piuma. Idem Renato Sanches, ultimo protagonista di un ruolo che vede in «quello che ha gamba e cambia passo» una sorta di maleficio all’ombra del Colosseo – la Roma doveva prendere Frattesi. L’addio di Matic è più pesante di quanto le parole di Mourinho abbiano provato a nascondere e Paredes non può diventare improvvisamente Daniele De Rossi perché ha la 16 sulle spalle.

Dietro, poi, se è vero che la Roma davanti rimane una delle migliori squadre del campionato con Dybala e Lukaku – ma devono stare bene entrambi –, l’addio di Ibanez pesa tantissimo, al pari di Matic. N’Dicka non gioca, Mourinho se non lo ha bocciato lo ha almeno rimandato; Smalling al momento sembra la controfigura di se stesso e né Mancini né Llorente sono giocatori aggressivi e dinamici come il brasiliano: ne risente tutta la squadra, perché la Roma è costretta a difendere bassa e se prende gol non ha la forza di tenere la difesa alta. In porta poi, c’è un grosso problema da risolvere: ma ancora una volta, lo si risolverà domani.

Qualcuno, con l’arrivo di Lukaku a Roma, ha parlato di Scudetto. Non era chiara, probabilmente, la reale forza di questa squadra: costruita male, con enormi lacune in più reparti e con un paio di grandi nomi che – in un contesto simile – rischiano di illudere. Qualcun altro, con la partenza di Tonali e Maldini/Massara, ha sentenziato il fine Milan per come lo avevamo conosciuto nelle ultime tre stagioni. Prima di parlare, insomma, occorrerebbe analizzare lucidamente il quadro generale. La verità è che il Milan quest’anno lotterà fino alla fine per il titolo, e ad avviso di chi scrive è avanti a tutti al momento. La Roma, dal canto suo, proverà la scalata in Coppa, dove Mou è Re. E in campionato? La stagione è lunghissima, e le parole rischiano di disperdere il fiato.

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