A distanza di vent'anni da Nesta, si chiude un cerchio.
Per chi ha vissuto l’epopea e il tramonto di Alessandro Nesta con la maglia della Lazio, l’acquisto di Romagnoli chiude un cerchio. Era il primo settembre del 2002 quando il simbolo della Lazio più forte di ogni tempo lasciava Roma e la sua squadra del cuore per approdare al Milan. L’articolo che Repubblica dedica al valzer degli acquisti di quello strano giorno (dove a muoversi sono anche Crespo e Ronaldo, tipo effetto domino) è emozionante anche a distanza di vent’anni: « Alcuni tifosi [della Lazio] si aggrappano al finestrino [di Nesta], piangono, “non te ne andare”. Lui mormora: “Dovevo farlo. Per il bene della Lazio” ». Per il bene della Lazio, e con la benedizione dello stesso Nesta, venti anni esatti dopo la Lazio riscopre un simbolo a guardia della propria difesa: Romagnoli, che al Milan aveva la 13 – come Nesta, suo idolo – e che alla Lazio, con invidiabile personalità, ha scelto lo stesso numero.
Nel video di presentazione del calciatore sui canali social del club capitolino il numero 13 domina la scena. Nesta lo scelse da ragazzino, quando nel 1985 giocò per la prima volta con la maglia della Lazio: « Ero ragazzino, nessuno la voleva e l’ho presa io che ero l’ultimo ». Sembra una frase priva di significato, ma non è così. La scelta di Nesta e quindi il numero 13 sono un simbolo di cosa significa essere laziali: scegliere l’eccezione e farne regola di vita. Romagnoli – reduce, anche se non da protagonista, da uno scudetto col Milan – ha scelto la Lazio, mettendola prima di qualsiasi altra opzione (anche economicamente più appetibile, come il Fulham). La sua scelta Romagnoli l’ha fatta in tenera età, ma confermarla da professionista – per giunta ad un livello così alto – ha un significato particolare:
« ho realizzato il mio sogno. Non volevo giocare in Serie A, volevo giocare nella Lazio », ha detto nell’intervista-video-presentazione apparsa ieri sui canali social del club.
La Lazio aveva bisogno di un colpo così, i laziali soprattutto. Come scriveva il 3 luglio scorso la storica voce di Tutto il calcio Riccardo Cucchi sul proprio profilo Twitter: « la voglia che ha Romagnoli di giocare con la maglia della Lazio mi carica di entusiasmo… ». Romagnoli non è un fenomeno, è un buon giocatore che alla corte di Sarri (il difensore ha ancora 27 anni) può completarsi. Soprattutto, però, è un simbolo sul terreno di gioco, come forse solo dai tempi di Paolo Di Canio i laziali non vedevano. L’esuberanza di quest’ultimo e il suo passato legato alla curva nord descrivono un vissuto e una caratura diversi da quelli di Romagnoli. Ma il ragazzo di Nettuno è parso sin dalla prima visita in Paideia – accolto da centinaia di tifosi alle 8 del mattino – sorridente, sereno, consapevole. Romagnoli sa chi è e sa dove si trova: « Mia nonna era laziale, mio papà era laziale e con loro andavo a vedere la Lazio allo stadio. Essere qui significa coronare un sogno, indossare la maglia che ho sempre sognato di indossare ».
La purezza del sorriso di Romagnoli parla da sé: è come il certificato di una lazialità profonda e radicata nel tempo, che di padre in figlio sfonda le barriere del professionismo. « Di Lazio ci si ammala inguaribilmente », diceva Chinaglia. Si può simpatizzare Juventus, Inter o Milan. Ma non si può simpatizzare Lazio: la Lazio o la ami o la odi. « Ogni volta che giocavo all’Olimpico contro la Lazio, ero solito mettermi la felpa sopra il naso per cantare l’inno senza farmi vedere dalle telecamere », confessa Romagnoli. Che sul finale dell’intervista concede ai tifosi un aneddoto succulento: « Ciro [Immobile] mi tempestava di chiamate, Danilo [Cataldi] anche: quando i compagni e i tifosi ti vogliono così tanto, è impossibile non accettare ». Nessun richiamo al progetto (che pure la Lazio ha avviato con Sarri, e l’età media degli acquisti, 22.5, lo dimostra), nessun accenno al DS né a Sarri (Romagnoli parla molto genericamente di “società”): l’amore è il simbolo più forte che esista, perché il suo significato non si ferma all’immanenza materiale ma risponde interrogando l’infinito.
« Non potevo tradire i tifosi. Loro mi hanno dato tanto, ed è giusto che ora sia io a dare tutto a loro ».