Dalla leggenda in campo alla vicepresidenza del Senato.
Esistono stereotipi e luoghi comuni sugli abitanti di Rio de Janeiro. Sono dipinti come festaioli, indolenti, permalosi, rompicoglioni. Ma a loro modo anche generosi ed empatici, con una certa predisposizione a confondere l’essere sinceri con la brutalità. Ebbene, questi stereotipi Romário li impersona tutti, dal primo all’ultimo. Tenendo unite contraddizioni interiori talvolta stridenti. Ma c’è qualcosa che ha portato la sua figura oltre l’immagine del campione che è stato.
L’ex attaccante del Vasco da Gama e di mille altre squadre possiede una sensibilità per il sociale che lui stesso ha voluto trasferire in politica. Oggi, 56 anni appena compiuti lui è vicepresidente del Senato Federale Brasiliano. Lo potremmo definire un populista di sinistra, proprio lui che ha fatto di un sostanziale individualismo la cifra caratteriale in campo e fuori, e di una certa anarcoide insofferenza alle regole quasi uno stile di vita.
BRASILIANO ATIPICO MA MOLTO BRASILIANO
Romário de Souza Farianasce il 29 gennaio del 1966 a Rio de Janeiro. Tanto per mantenere fede a uno stereotipo, fin da piccolo sogna di diventare un calciatore perché è brasiliano, poi perché è carioca e soprattutto perché sente la qualità nel sangue. Per molti ciò equivarrà a dire che “di mamma ce n’è una sola” e che “non esiste più la mezza stagione” ma nel caso specifico c’è poco da fare: ha ragione. Non sarà alto e potente ma scaltro e preciso senz’altro sì. E fa un sacco di gol. Fin da ragazzo è un tipo smargiasso e le promesse che fa alla luna suscitano l’ilarità dei compagni. Tanto per dirne una, a 20 anni giura solennemente che nella sua carriera di professionista farà 1000 gol come Pelè. All’inizio qualcuno ride, tempo dopo c’è chi comincia a fare due conti e si accorge che c’è poco da stare allegri.
Sul piano del carattere Romário è brasiliano al 200%, come calciatore è un carioca atipico.
Non cerca la giocata a tutti i costi, anche se ne è perfettamente capace. Ha più che altro la sindrome del gol, non importa come. Al di là della forma,la praticità viene prima di tutto e non c’è pensiero al mondo meno brasiliano di questo. Per rubare le parole a Jorge Valdano: «Romario è il calcio, perché il calcio è soprattutto inganno e nessuno inganna meglio di Romario. L’estetica della pigrizia, caratteristica inconfondibile del suo creativo padrone, non è altro che una maschera, perché durante il gioco, lui è menzogna che cammina. I movimenti lenti sono la corda di un arco che si tende per scoccare una freccia inattesa, improvvisa e letale. Freccia precisa per ogni bersaglio».
Dopo essersi fatto le ossa nell’Olaria, a 19 anni debutta con il Vasco da Gama nel campionato carioca. Con la squadra fondata dagli immigrati portoghesi con la Croce di Malta sulla maglia, vince due volte il titolo (1987 e 1988), laureandosi capocannoniere con media realizzativa prossima a un gol a partita. Quando i presupposti sono questi, le porte della Seleçao si aprono, perché passare inosservati è impossibile. Partecipa alla Copa América del 1987 e alle Olimpiadi di Seoul l’anno successivo, al termine delle quali il Brasile del calcio arriva secondo.
L’EUROPA CHIAMA
Lo chiamano Baixinho (tappetto) perché è basso e tarchiato. Però è velocissimo, un fulmine, specie negli spazi stretti. Al Vasco fa coppia con un altro bomber straordinario: Roberto Dinamite. La società ha problemi economici, dunque fare cassa diventa una necessità imprescindibile. Nell’estate dell’88 O’ Baixinho va a giocare in Europa. Per l’esattezza al PSV Eindhoven, la squadra del colosso tecnologico della Philips, detentrice della Coppa Campioni. Molti pensano che la sola vista della neve farà venire all’attaccante un’incontenibile saudade e che, come la neve, si scioglierà presto. In campo Romário smentisce tutti.
Non è certo uno stacanovista, gli allenamenti saltati si sprecano, ma senza di lui vincere diventa complicato. Del resto, non è mica colpa sua se non ha granché bisogno di allenarsi per poi fare sfracelli in campo. Per tre anni consecutivi Romário è capocannoniere del campionato olandese, per altrettante volte il PSV è campione d’Olanda. Bobby Robson, che allena Romário dal 1990, ne fa una disamina perfetta. In una frase sono racchiusi la grandezza e i limiti di un bomber che la mette sempre dentro:
«Un giocatore entusiasmante, capace di svoltare un match in qualsiasi istante, ma poteva anche scomparire dal campo. Inoltre, spesso faceva tardi la sera prima di partite importanti».
C’è chi in quegli anni lo avvicina per tipologia a Hugo Sanchez del Real Madrid, ma alcuni sono convinti che Romário sia anche più bravo. Difficile dire. C’è soltanto un modo per fare un confronto vero: vederli entrambi nella Liga. Nell’estate 1993 il Barcellona di Cruijff si assicura le prestazioni di Romário affiancandogli una punta simile a lui per moltissimi aspetti, tecnici e caratteriali. Hristo Stoichkov. Risultato: scudetto e finale di Coppa dei Campioni, persa contro il Milan di Capello. Nella speranza di vincere il Mondiale 1994, gli occhi dei brasiliani sono tutti su di lui. Del resto, è normale. Chi vuole paragonarsi a Pelé deve vincere almeno una volta ciò che O’ Rey ha vinto. Altrimenti è solo un gran chiacchierone.
Il Brasile di Parreira concede poco allo spettacolo ed è molto attento alla fase difensiva, tuttavia può vantare una coppia di attaccanti di livello assoluto: accanto aRomário gioca Bebeto, bomber del Deportivo La Coruña, la squadra che quell’anno ha conteso lo scudetto al Barcellona fino all’ultimo. Romário segna nelle tre partite del girone. Agli ottavi contro gli Stati Uniti è Bebeto a risolvere i problemi, ma O’ Baixinho ritrova la via della rete contro Olanda e Svezia. Con la vittoria sull’Italia ai calci di rigore, dopo 24 anni di attesa il Brasile è tetracampeão. Nei primi giorni del 1995 Romário decide di tornare a Rio.
OGGI QUI, DOMANI LÌ
Tutti si aspettano una rimpatriata al Vasco e invece a spuntarla sono i rivali del Flamengo. Vince il campionato statale di Rio nel 1996 e il titolo di capocannoniere con 26 gol. Poi torna in Spagna, stavolta al Valencia, per 19 miliardi di lire. Segna 14 gol in 20 partite, ma nell’estate 1997 il bomber decide di fare le valigie. Dopo anni di spola fra Rio de Janeiro (sponda Flamengo) e Valencia, nel 2000 a 34 anni suonati la rimpatriata che ormai non ti aspetti più, finalmente si fa. I tifosi del Vasco da Gama possono riabbracciare il loro Baixinho. Passano gli anni, cambiano le latitudini ma il vizio è sempre lo stesso, il gol.
Seguono anni di altre peregrinazioni: quelle di Romário sono esperienze a loro modo profonde e sentite, perché ovunque vada segna e convince, ma lui non mette mai radici. Gioca fino al 2007. Ritiene di aver segnato il gol numero 1000 e decide di chiudere. In realtà gliene vengono attribuiti 746 ufficiali. Con la Seleção Romário conta 55 gol in 70 partite. Con un po’ più di costanza negli allenamenti ne avrebbe fatti anche di più ma sarebbe stato un altro, non lui:
«Non sono mai stato un atleta. Se avessi avuto una vita regolare avrei segnato molti più gol, ma sarei stato meno felice».
IN POLITICA
È forse proprio la ricerca della felicità la chiave di lettura di un personaggio contraddittorio come Romário. Godereccio e pieno di vita ma con un’aria eternamente torva, incazzata. Solista in campo ma di grande sensibilità verso i fenomeni sociali. Egoista in area di rigore, generoso fuori dallo stadio. Portato alla leadership ma pronto a fare spogliatoio al pari degli altri, quando serve. Il modo migliore per esprimere un caleidoscopio di sentimenti e di stati d’animo in apparente contrapposizione è darsi alla politica. Alle elezioni del 2010 Romário si presenta nelle fila del Partito Socialista Brasiliano. Non ha esperienza, anzi alla presentazione della sua candidatura sbaglia perfino il nome del partito, generando una certa ilarità. Le prime dichiarazioni sono piuttosto vaghe. Forse l’antipolitica prolifera anche in Brasile, tant’è che a sorpresa il suo nome funziona.
Romário de Souza Faria risulta il sesto candidato più votato nello Stato di Rio de Janeiro e viene così eletto deputato. In Parlamento, “l’onorevole Baixinho” dimostra di aver a cuore le sorti dei brasiliani ma soprattutto è un uomo alla ricerca della verità. Denuncia senza giri di parole lo sfruttamento e gli abusi che ritiene si nascondano dietro il carrozzone della FIFA. Non si fa problemi a condannare il Presidente della Federcalcio Martin, accusato di aver ordinato l’uccisione del giornalista Vladimir Herzog durante gli anni della dittatura. Presenta interrogazioni parlamentari sulle dubbie assegnazioni per le infrastrutture di Brasile 2014, sulle quali aleggia l’ombra della corruzione. Si schiera a fianco dei più deboli e degli abitanti delle favelas, per una scuola e una sanità davvero accessibili a tutti.
Si dimostra deputato coraggiosoe sinceramente vicino ai suoi connazionali, non uno che sta lì tanto per guadagnarsi lo stipendio, del quale peraltro non ha bisogno.
Nell’ottobre 2014 si ricandida e viene eletto senatore in Parlamento alle elezioni brasiliane, sempre con il Partito Socialista Brasiliano, risultando il candidato più votato nella circoscrizione di Rio. Nel giugno del 2017 lascia il Partito Socialista per entrare nelle fila di Podemos. Sarà populista, ma proprio perché lo è, crede nella democrazia diretta. In un Paese nel quale intere fasce sociali non hanno rappresentanza, né voce. Forse il Partito Socialista era diventato troppo istituzionale per uno come lui. Ma ecco la vera svolta istituzionale: da febbraio 2021 l’onorevole Romário de Souza Faria è vicepresidente del Senato brasiliano. Finta, controfinta e tutti restano spiazzati.