Una serie tv, ma dai risvolti non banali.
Ci vuole un fisico bestiale (in effetti ce l’ha, poiché da qualche anno è in costante sovrappeso). Ci vuole faccia tosta. Ci vuole inconsapevolezza. Ci vuole coraggio. Ci vuole ingenuità. Ci vuole immaturità. Ci vuole presunzione. Ci vuole anche una certa dose di masochismo. Insomma, per essere Romelu Lukaku ci vogliono tante cose. Più negative che positive, ma ne parleremo dopo. E facciamo anche una premessa: qui non si valuta la bontà dell’acquisto, l’inserimento negli schemi di Mou, l’intesa con Dybala, la possibilità che Lukaku faccia 30 o 300 goal. C’è gente molto più qualificata per questo compito.
È l’intera storia ad essere affascinante, dove la pavidità e il tradimento si mescolano a più riprese con il coraggio e la sfrontatezza.
I fatti sono noti. Lukaku vince lo scudetto con l’Inter, poi torna al Chelsea dove non si prende bene con Tuchel. Punta i piedi, mette il muso, rilascia interviste, fa incazzare un po’ tutti. I nerazzurri se lo riprendono, per sei mesi combina poco o nulla ma nel finale di stagione si risveglia. Arriva la finale di Champions, lui non è titolare, sbaglia da due metri il goal del pareggio eppure l’Inter, che lo ama, decide di tenerlo. Via Dzeko, via Onana, si va all in su Big Rom. Che però si eclissa. Letteralmente. Non si fa trovare. Non risponde ai messaggi. Sparito.
Si scopre che aveva raggiunto da qualche tempo un accordo preliminare con la Juventus. Con la nemica delle nemiche. Qui ovviamente (e giustamente) l’Inter esplode: i compagni, Zhang, Marotta, Ausilio, i tifosi, gli ex giocatori e perfino Zanetti, uno che spenderebbe parole gentili anche per un torturatore dei narcos. Fuori rosa al Chelsea, stoppato poi dalla stessa Juventus causa mancata vendita di Vlahovic (i fans bianconeri avevano comunque già manifestato a chiare lettere il mancato gradimento dell’operazione), evitato più o meno da altri club per l’ingaggio e per la fama che ormai lo accompagna, Romelu aspetta.
Qui c’è il primo colpo di scena. Un giocatore di 30 anni, dunque nella seconda parte della sua carriera, con un triennio così turbolento alle spalle e un’immagine compromessa cosa farebbe di questi tempi? La scelta più comoda: andare in Arabia Saudita, lontano da tutto, con il solito contrattone mostruoso che nessun club europeo potrebbe eguagliare. Lo fanno pure i ragazzini del Celta Vigo (e Kroos si è già espresso in proposito). Invece, no: Lukaku ci sorprende. Pur molto attaccato al denaro, sceglie di continuare a giocare in Europa. E dopo un blitz dei Friedkin stile Tom Cruise, sbarca a Roma.
Non solo. Accolto dal travolgente e intramontabile calore del popolo giallorosso, il gigante belga si unisce addirittura a José Mourinho per formare la coppia più divisiva, dal punto di vista mediatico, della prossima annata. È un pazzo? È un bambino? È un romantico? È un giocatore di poker? È un deficiente? È un superficiale? Solo il tempo lo dirà. Di sicuro, Lukaku sa cosa lo attende: un disprezzo generalizzato da parte dei tifosi italiani, ad eccezione dei romanisti. Perché c’è poco da discutere: lui è diventato il simbolo del traditore, del collega o compagno o amico o conoscente inaffidabile.
Le bandiere e i colori non c’entrano. È l’intera tribù del calcio, soldi o non soldi sauditi, a sostenere e a riconoscere ancora determinati valori. Primitivi, se vogliamo. Aulici, di sicuro. Ma non negoziabili. È come in carcere: puoi essere grande e grosso, piccolo o magro, minaccioso o remissivo, pluriomicida o semi innocente, tuttavia se non rispetti la parola, qualsiasi parola, sei segnato. L’etichetta di infame non te la toglie più nessuno.
Romelu però non è il tipo da scomporsi. La personalità, per quanto discutibile, non gli manca. Ed è il suo mix di populismo e opportunismo a renderlo un personaggio unico nel suo genere. Già in patria, da giovane, aveva preso posizioni scomode con frasi tipo: “Quando segno o vinciamo sono belga, quando non segno o perdiamo sono congolese”. Certo, il Belgio è il Belgio. Qui la musica sarà diversa.
Come ogni vicenda romanzesca l’affaire Lukaku, che in questa assurda estate italiana sale sul podio insieme all’affaire Vannacci e all’affaire Mancini, presenta un finale sorprendente. Almeno per ora.
Flash back. Fine dicembre 2021. Il nostro protagonista è nella propria casa londinese: camino ardente alle spalle, divano a più piazze, tuta beige, clima intimo e confidenziale. Romelu, in versione crepuscolare, confessa i suoi disagi in terra d’Oltremanica. L’intervistatore chiede a voce bassa: “Andresti mai al Milan?”. Lukaku, con postura da filosofo esistenzialista, sussurra: “Mai…mai…”. L’intervistatore insiste: “E alla Juventus?”. Romelu ribadisce scandendo bene le parole: “Mai…mai…”.
Flash forward. Fine agosto 2023. Lukaku è un giocatore della Roma: niente Milan, niente Juventus. In fondo, è stato di parola. Proprio lui. Da non crederci. L’appuntamento è per la prossima stagione. Ma non in campo. Su Netflix.
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