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22 Dicembre 2022

È ora di riammettere gli atleti russi e bielorussi

L'obiettivo sono i Giochi Olimpici di Parigi 2024.

Nel corso dell’11esimo Summit Olimpico, andato in scena recentemente a Losanna, c’è stato un grande tema all’ordine dei lavori la partecipazione degli atleti russi e bielorussi ai Giochi Olimpici di Parigi 2024. Ferme restando le sanzioni a Russia e Bielorussia, che implicano il non ospitare alcuna competizione nei due Stati e il bando ad ogni riferimento alle due Nazioni (bandiere, simboli, inni nazionali), il Summit si è espresso per continuare ad “esplorare” la questione, dunque per procedere sulla strada della riammissione degli atleti russi e bielorussi. Una questione non semplice per il CIO, che solo qualche mese fa aveva “raccomandato vivamente” alle federazioni mondiali di “non invitare atleti russi o bielorussi” nelle competizioni sportive internazionali.

Eppure il presidente del CIO Thomas Bach aveva sempre descritto quella misura come una “protezione” per l’integrità degli eventi e non invece come una punizione, motivo per cui le condizioni sarebbero presto potute cambiare. In questo senso si sono espressi già il Comitato olimpico e paralimpico degli Stati Uniti, il Consiglio Olimpico Asiatico e altre Federazioni Internazionali, e pure lo stesso Macron – parte interessata per le prossime Olimpiadi francesi – si è augurato la riammissione degli atleti russi e bielorussi: «lo sport non dovrebbe essere politicizzato. Questi grandi eventi hanno lo scopo di consentire agli atleti di tutti i Paesi, a volte compresi quelli in guerra, di dare vita allo sport.

E di trovare, attraverso lo sport, un modo per discutere quando le persone non riescono più a farlo. Penso che tutto ciò dovrebbe essere preservato».



Assolutamente contrario invece, neanche a dirlo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha bollato come ‘sconcertante’ il parere espresso dal Comitato Olimpico e ha chiesto «il completo isolamento della Russia e dei Russi dalla comunità mondiale. Dal suo punto di vista, questo deve valere anche per gli atleti» – così ha riferito il CIO in una nota ufficiale pubblicata giovedì, dopo la telefonata tra Zelensky e Thomas Bach.

Bach da parte sua si trova davanti a un bell’enigma, “tra l’incudine e il martello”. Ne ha parlato l’ex capo marketing del CIO Michael Payne ad AFP, che ha poi aggiunto: «Non si può guardare a tutto ciò solo attraverso la cultura e il punto di vista anglosassone. Non c’è dubbio che la cultura asiatica veda ciò che sta accadendo in modo leggermente diverso dall’Occidente. Se sei un organismo globale, come il CIO, non puoi permetterti di guardare qualcosa solo attraverso un prisma culturale. Per quanto orribile sia la guerra Ucraina-Russia, non è l’unica in corso sul pianeta al momento. E se la guardi da una prospettiva asiatica, come la mettiamo con alcune delle ‘avventure’ americane in Medio Oriente?».



In senso aperturista si è espresso anche Sebastian Coe, presidente della World Athletics (la federazione internazionale dell’atletica leggera), un paio di giorni fa. Pur ribadendo, al Corriere della Sera, che al posto di Zelensky si sarebbe comportato allo stesso modo, si è poi detto disposto ad assecondare il CIO se si fosse trovato un “percorso accettabile” – posizione pesante, visti i rapporti non idilliaci tra la federazione di atletica e la Russia causati anche dallo ‘scandalo doping’ e dalla conseguente sospensione inflitta alla stessa Federazione russa.

Comunque, da tutto ciò è scaturito un dibattito che ha rinfocolato anche la linea più oltranzista anti-russa. Rob Koehler ad esempio, direttore generale di Global Athlete, ha dichiarato che la riammissione di atleti russi e bielorussi sarebbe un pessimo segnale dato allo sport e al mondo intero: «Se il CIO rifiuta di bandire la Russia, sta chiaramente incoraggiando la Russia a violare il diritto internazionale. Sarebbe un messaggio mandato a ogni atleta e al mondo, per cui si sono preferiti gli interessi della Russia rispetto agli interessi degli atleti». Quindi Koehler ha concluso:

«L’eredità del CIO sarà definita dalle sue azioni, e dovesse comportarsi così non sarebbe dalla parte giusta della storia».

Inutile far notare a Koehler – che dovrebbe rappresentare tutti gli atleti del mondo, e quindi tutte le sensibilità del pianeta – quante volte il CIO non si sarebbe schierato dalla presunta “parte giusta” della storia, o meglio non si sarebbe proprio schierato. La buona notizia è che la colpevolizzazione di un intero popolo, con discriminazioni ai suoi membri e alla sua cultura, sembra fare presa su sempre meno persone. E che la FIFA una volta, il CIO un’altra, stiano iniziando ad ignorare gli appelli tanto di Zelensky quanto di chi vuole alimentare una logica di guerra permanente, pure nello sport: nella speranza che si inizi a distinguere non più solo tra aggressore e aggredito, ma anche tra le responsabilità dei governi e quelle dei singoli individui.

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