A nessuno frega più niente del patrimonio culturale italiano. Neanche agli italiani.
La mancata indignazione dei milanesi per il paventato abbattimento di San Siro è l’altra faccia del gesto con cui quelli della Stella Rossa hanno dato fuoco allo striscione dei Fedayn: l’architettura sportiva e il valore storico-artistico del calcio Italiano non godono del riconoscimento che spetterebbe loro, in patria come in ampie sacche d’Europa. L’inerzia nei confronti di cosa sta accadendo con San Siro mette in luce il ludibrio a cui l’architettura brutalista e modernista è sottoposta nel Belpaese.
Sembrerebbe che il calcio sia esclusivamente riconosciuto come elemento astratto ed intoccabile (chi legge si ricorderà della levata di scudi seguita alla proposta della Superlega) dal suo altrimenti fondamentale contesto socio-architettonico e politico. Un business votato all’intrattenimento, a prescindere dalla sua necessaria esistenza di culto laico, di estatico fenomeno collettivo. Una mentalità simile a quella che sta iperbolicamente portando a celebrare il tifoso solitario del Südtirol in trasferta a Benevento, anziché sollevare perplessità su come orari impensabili e costi spesso proibitivi castrino l’altrimenti ardente (e naturale) desiderio di seguire la propria squadra in trasferta.
Non è forse questo atteggiamento lo stesso, non solo dei tifosi della Stella Rossa ma anche dei commentatori italiani, che hanno fallito nel riconoscere il valore storico-artistico dello striscione dei Fedayn, soffiato alla tifoseria romana e poi bruciato?
È una forma mentis, verrebbe da suggerire, figlia di un’istruzione nella quale agli studenti della scuola dell’obbligo vengono ricamati gli zebedei con il grandeur del Barocco italiano o con l’arte rupestre, lasciandoli totalmente all’oscuro, chessò, dell’opera dei BBPR, dell’importanza dell’edilizia di Olivetti, dei perché del Sequestro Moro o di Mani Pulite: insomma tutti strumenti utili a decifrare il presente e a far capire ai giovani milanesi che un Sala che ramingamente osserva “nessuno vuole più il vecchio San Siro” sarebbe da cacciare cosparso di pece e piume, come si faceva con i signorotti medioevali tanto studiati nelle opere del Manzoni, come primo responsabile dello stallo di San Siro.
Il primo cittadino che a Sky Sport ha dichiarato che “una parte del Consiglio Comunale […] il nuovo stadio non lo ha mai veramente voluto” sembra piuttosto interessato a schivare le critiche, mettendosi la coscienza in pace senza davvero alzare il tono del dibattito sul valore che la ristrutturazione e preservazione dell’edificio avrebbe, anche come primato in ottica futura. Perduto per sempre uno degli striscioni più importanti del calcio italiano, il rischio è quello di vedere lo stesso destino condiviso da quello che è il più celebre stadio della Penisola.
San Siro non c’entra nulla con la Milano accelerazionista che vuole parlare inglese anche a costo di incartarsi in figure barbine, e che ha sostituto Jannacci e i trani con Myss Keta e i take away di pokè. San Siro non spetta alle presidenze di questo Inter investitore in Bitcoin, non a questo Milan che sembra in primo luogo interessato a far fare la passerella ai suoi giocatori in capi Off White. Tantomeno a Sala, la cui smania nel mettersi in pari alle macerie di un’Europa globalizzata sta annichilendo gli ultimi fuochi di autenticità meneghina, nascondendo sotto il tappetto della gentrificazione e degli affitti impazziti le ampie sacche di disagio sociale.
Noi italiani che tanto amiamo sbrodolarci agli occhi del mondo con la nostra superiorità culturale, stiamo morendo di parole vuote. Verrebbe, dunque, da domandarsi perché sfiorammo lo scontro diplomatico per la Barcaccia danneggiata dai tifosi del Feyenoord, mentre si nicchia su San Siro vilipeso dagli italiani stessi nel nome di chissà quale progresso. Un tentennamento ancora più grave se si pensa che nemmeno gli architetti italiani – i quali assieme ai tifosi delle due meneghine dovrebbero essere i numi tutelari dello stadio – hanno assunto una presa di posizione categorica. A Manchester esiste da decenni il museo del calcio britannico, e noi, che veniamo chiamati Roberto dagli inglesi sbronzi, tanto è il loro amore per Baggio e la Serie A, non vediamo l’ora di inaugurare un nuovo stadio-supermercato, sulle macerie di una delle opere milanesi più iconiche al mondo.